I tedeschi occuparono Liepaja (Lettonia) il 29 giugno del 1941 e da subito iniziarono la persecuzione della popolazione ebraica: lavori forzati, rastrellamenti, confisca dei beni, cacciata delle famiglie dalle loro case. L'8 e il 9 luglio circa un centinaio di prigionieri vennero condotti sulla spiaggia e fucilati. Alla fine del mese venne svolto un secondo massacro con le stesse modalità ma con un maggior numero di vittime. Secondo un rapporto della polizia locale, tra il 22 settembre ed il 13 dicembre 1941 erano stati uccisi 658 ebrei, per la maggior parte "inabili al lavoro". Nel novembre 1941 un altro rapporto informava che in città rimanevano vivi 3.890 ebrei. Nella notte del 14 dicembre la polizia lettone rastrellò gli ebrei ancora vivi e li condusse in prigione. Soltanto coloro che avevano ricevuto i permessi di lavoro furono rilasciati insieme alle loro famiglie. Tutti gli altri vennero fatti marciare sino a Skeden, un villaggio di pescatori a nord di Liepaja. Il massacro iniziò al mattino del 15 dicembre e proseguì sino al pomeriggio del 17. Furono massacrati 2.731 ebrei, uomini, donne e bambini e 23 "comunisti". Nel febbraio e nell'aprile 1942 vennero ripetute le fucilazioni a Skeden. Morirono 805 ebrei (secondo altre fonti 829), altri 22 riuscirono a fuggire. Ciò che rimaveva della comunità ebraica fu confinato in una dozzina di appartamenti in città che divennero il ghetto di Liepaja. L'8 ottobre 1943 i tedeschi decisero di liquidare anche quello. Quando le truppe sovietiche liberarono la città, il 9 maggio del 1945, erano sopravvissuti poco più di venti ebrei su 7.379. L'elaborazione mostra una foto del massacro delle donne (alcune incinta) e dei loro figli. Le vittime, vennero costrette a denudarsi e poi, divise in piccoli gruppi, furono costrette ad allinearsi sul ciglio di una fossa, quindi vennero uccise a colpi di arma da fuoco. Le terribili fotografie che documentano il massacro di Liepaja vennero scattate dal comandante delle SS e della polizia della città Karl Strott.

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