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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Dall'ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002)

 

Alvise Nicolis Di Robilant, di una nobile famiglia proveniente da due dinastie, quella dei dogi Mocenigo di Venezia e quella dei Di Robilant, 72 anni, veneziano di nascita, viveva da molto tempo a Firenze e aveva una ex moglie americana, Betty Stoke, dalla quale era divorziato da anni. Aveva tre figli: Andrea corrispondente da New York per "La Stampa", Tristano scultore a Roma, Filippo carriera diplomatica a Bruxelles, allora portavoce della commissaria europea Emma Bonino.

(…) Il corpo, trovato dalla cameriera il 16 pomeriggio, era seminudo (solo una vestaglietta corta), a terra nel salone, un copriletto adagiato sopra. I carabinieri hanno commentato che appariva come un gesto femminile, "un'attenzione tipica di una donna". Il cranio era stato fracassato con un soprammobile, probabilmente un oggetto in pietra o in marmo, e l'autopsia stabilì che fu colpito dall'alto in basso, senza aver avuto la possibilità di difendersi. Poco prima stava suonando il pianoforte, testimoniano i vicini. La stanza era in disordine, con del sangue schizzato alle pareti, in camera il letto era disfatto, sul tavolo in cucina una bottiglia di spumante ancora chiusa. Sono 10 i colpi che lo hanno ucciso: i primi dati sulla fronte e gli ultimi sulla nuca. Sfregiato un quadro (con S.Girolamo) in camera da letto, rotto il video del computer. La polizia sostenne che il disordine era una messa in scena. Il conte abitava in un bel palazzo rinascimentale (palazzo Rucellai, iniziato nel 1446 su progetto di Leon Battista Alberti), in pieno centro storico, e dall'appartamento pieno di cose di valore pare non sia stato rubato nulla. La porta di casa è risultata senza scasso, quindi anche in questo omicidio la vittima aveva ricevuto come ospite il suo assassino. La polizia ha precisato che non poteva non essere una persona da lui conosciuta, e che tale persona ha accuratamente cancellato le impronte digitali.

Il Di Robilant, descritto come persona riservata e mite, apprezzata e ricercata da tutti, amante delle belle cose, era un esperto d'arte, ex amministratore delegato della casa d'aste londinese Sotheby's, che aveva una sede a Firenze.

Il 17 gennaio i giornali riportavano la notizia che ad averlo ucciso era stata una mano femminile, con titoli curiosi tipo "cherchez la femme", ma il 31 gennaio gli investigatori ammettono che non era stata una amica ad uccidere: tutte le conoscenti del conte erano state interrogate e i loro alibi le escludevano. Il conte avrebbe potuto avere una doppia vita insospettabile, poiché nel suo palazzo esistevano anche porte di servizio e un cortile che collegava con la strada opposta all'ingresso principale.

Si fecero anche dei paragoni con un altro delitto eccellente, quello di un antiquario veneziano, conte Filippo Giordano delle Lanze, ucciso a 46 anni nel 1970 alla Ca' Dario, palazzo sul Canal Grande dal destino triste, abitato poi da Raul Gardini. Per quel caso fu condannato a 18 anni un marinaio croato, Raul Blasich, amico della vittima. E veniva accostato anche al delitto fiorentino di Rodolfo Lodovigi, avvenuto nel '91, per una serie di particolari comuni. Ma gli inquirenti non trovarono alcun collegamento. Il 6 febbraio i quotidiani riportavano che gli investigatori "non escludono che Di Robilant prima di morire abbia avuto un rapporto sessuale", sottolineavano l'accanimento feroce sull'anziano, spiegavano che le prime botte erano state date sulla fronte dall'alto in basso (il conte era alto 1,90).

L’autopsia aveva riscontrato la presenza di liquido seminale in bocca al conte (particolare tenuto a lungo segreto dagli investigatori), e che quasi certamente vi era stato un rapporto orale immediatamente prima del delitto, anche per il modo in cui la vittima aveva ricevuto i primi colpi. "La Repubblica" titolava: "Gay e amante dell'arte il killer del conte", "L'Unità" invece: "Svolta nell'omicidio di Robilant: l'assassino è l'ultimo amante del conte. Sarebbe un gay legato al mondo dell'arte". Franco Grillini, intervistato da "Repubblica" il 9 aprile, dichiarava: "Io l'ho pensato sin dal primo istante. A me sembra che l'assassino si debba cercare tra gli eterosessuali che si prostituiscono con un gay e poi si vergognano. Queste esplosioni di violenza sono tipiche di persone divorate dal senso di colpa". Dopo questa scoperta la polizia ha rintracciato amicizie del conte del tutto ignote agli amici più cari.

Il 16 maggio però c'è stata la smentita: secondo l'avvocato di famiglia il Dna nel liquido seminale trovato in bocca è quello del conte... "Che non c'entrasse affatto la pista gay è sempre stata la nostra convinzione" , diceva il figlio Andrea da Washington. Il perito di casa Di Robilant spiegava però che le analisi del tampone orale potrebbero aver "letto" il Dna delle sostanze salivari ed epiteliali appartenenti alla vittima, invece di quelle del liquido seminale, mescolato ad esse. Insomma, smentite come scatole cinesi che contengono controsmentite.

Infatti il 12 novembre 1997 la Procura fiorentina giungeva ufficialmente alla conclusione che il delitto era da ricercare nella "pista gay": il Dna trovato nel liquido in bocca del Di Robilant non era suo. I familiari di nuovo reagivano indignati smentendo che in bocca fosse stato trovato liquido seminale di un altro uomo, forse eccessivamente ossessionati dal fantasma dell'omosessualità.

Il caso, comunque, non è stato risolto.

 

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