Home Page di ethanricci.cloud - Collegamento a sito esterno Clicca per accedere alla sezione...
Clicca per accedere alla sezione...
Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione...
Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione...
Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca per accedere alla sezione... Clicca Clicca per accedere alla sezione...
Contattaci!
Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Di Ambra Radaelli, da La Repubblica delle donne - 17 Settembre 2005

 

Che la Chiesa cattolica non sia tenera con gli omosessuali è cosa nota. No al corrispettivo italiano dei Pacs, no matrimonio, meno che mai l’adozione. Quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger richiamò i politici del mondo affinché non avallassero le unioni civili. Diventato Papa, non è certo tornato sulle sue posizioni. Wojtyla aveva escluso dal sacerdozio don Franco Barbero, il prete piemontese che benedice le unioni gay.

Di recente, l’arcivescovo di Québec City, il cardinale Marc Ouellet, ha annunciato la decisione della Conferenza episcopale cattolica: i figli dei genitori dello stesso sesso non saranno battezzati se entrambi i padri o entrambe le madri vorranno firmare l’atto di battesimo. In Usa esistono varie associazioni, sedicenti cristiane, che hanno tra gli obiettivi quello di rimettere i gay sulla retta via (per altre notizie su omosessualità e discriminazione: village.splinder.com).

Ciò nonostante molti gay continuano a credere, a frequentare le parrocchie, alcuni si fanno preti. Ci siamo chiesti il perché. Perché stare in una istituzione che li disprezza e nega i loro diritti? Abbiamo girato la domanda a loro e la risposta è stata: noi non siamo nell’istituzione. Quella è la gerarchia, il Vaticano, e non ci appartiene. Noi siamo parte della Chiesa, ovvero del popolo di Dio.

Gianni Geraci è portavoce del Coci, Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti, ce ne sono una decina in tutta Italia (l’elenco si trova nel sito it.gay.com oppure www.gruppolafonte.it, cliccando su Amici). Lo incontriamo nella sede milanese di “Il Guado”, un sotterraneo umido e freddo dove si fanno feste e riunioni. In queste occasioni sono state scattate le foto dei soci: uomini per la maggior parte maturi. Per il resto, l’ambiente è un curioso mix: alle pareti convivono il ritratto del cardinale Martini e il calendario sexy di Luca del Grande Fratello 3; una vetrinetta custodisce le statuette del presepe mentre il portariviste propone Pride e Babilonia. «Nel Vangelo, Gesù dice che quando qualcuno si ritrova nel suo nome, lui è presente» dice Geraci. «È questa la Chiesa, ed è una forzatura dire che non ami gli omosessuali: tanti credenti mostrano attenzione nei nostri confronti. Crediamo nella Chiesa, non nella gerarchia che, quando rifiuta i gay ma anche i divorziati e le donne nel ministero, non è fedele al Vangelo, non è popolo di Dio».

L’ufficio stampa del Vaticano dichiara che, al di là del Catechismo, la pratica pastorale può essere più morbida. «Il vescovo di Como, Alessandro Maggiolini, afferma che la Chiesa deve essere dura sui pulpiti e comprensiva nei confessionali. Spesso è così. Ma la durezza pubblica può portare alcuni fedeli all’omofobia. Pochi anni fa un gruppo cattolico Usa ha fatto autocritica: alcune espressioni usate potevano avere alimentato il clima che ha portato, nel 1998, all’uccisione del 21enne gay Matthew Shepard. Inoltre una dissonanza tra teoria e prassi può creare personalità schizofreniche: se gli si instilla il senso di colpa, è facile che il credente gay cerchi di espiare attraverso rapporti non protetti o una promiscuità nevrotica. Si rischia di cadere nello stereotipo tipico dei cattolici: saltare una continenza che non si cerca e condannare una promiscuità che si pratica. Vorrei portare a esempio le parole del teologo monsignor Luigi Serenthà: una fede che non può essere proposta a tutti non è una fede cattolica».

Gianni Geraci accetta di raccontare qualcosa di sé: «Da ragazzo ho cercato di seguire le indicazioni del mio confessore: niente rapporti sessuali, né amicizie con altri gay, per non cadere in tentazione. Prima mi sono condannato a una solitudine devastante e poi ho intrapreso una terapia, fallita, per cambiare il mio orientamento. Risultato: ho perso la fede. Ora, di nuovo credente, considero la mia omosessualità come una grazia particolare: da giovane ero più integralista, oggi capisco l’esigenza della Chiesa di aprirsi a tutte le diversità. Anche nella liturgia: i fratelli africani, per esempio, chiedono che l’eucaristia venga celebrata con il pane di miglio e il vino di palma. Il vaticano è impreparato a tutto questo. Ma se queste tensioni ci sono è la volontà dello Spirito Santo».

Ma come vivono la fede di questi gay gli altri gay, quelli più politicizzati, in genere laici che chiedono diritti e non risparmiano critiche a una Chiesa nemica? «Da qualche anno, la nostra esperienza di credenti è più capita», afferma Geraci. «Un tempo questo posto era chiamato “la catacomba”: perché era un sotterraneo ma soprattutto perché nessuno lo conosceva. Ci sentivamo isolati da entrambe le parti: la Chiesa cattolica ufficiale e il movimento omosessuale. Lo scorso giugno aprivamo la sfilata del Pride milanese». Conferma Aurelio Mancuso, segretario generale Arcigay: «Abbiamo migliaia di soci credenti, io stesso lo sono. All’interno del movimento, fino a qualche anno fa, c’era una grossa diffidenza. I militanti laici e atei ci chiedevano: come potete credere mentre la Chiesa vi bastona? Inoltre, se per la Chiesa l’omosessualità è male, l’Arcigay è un male ancora più grande, perché fa emergere ciò che dovrebbe restare in ombra. Ora, però, all’interno del movimento la diffidenza ha lasciato il posto a un grande interesse verso omosessualità e fede. Perché se davvero l’uomo è a immagine e somiglianza di Dio, anche l’omosessualità deve far parte del Suo progetto».

Un’idea condivisa da don Franco Barbero, che nella sua comunità Viottoli (www.viottoli.it) a Pinerolo (Torino) “sposa” le coppie gay e quelle formate da un religioso e un laico. «Ho cominciato nel 1978, con un’unione tra uomini. Ogni tanto vengono a trovarmi, hanno festeggiato i 25 anni a casa mia; sono ancora felicissimi insieme». Si tratta di benedizioni, perché né lo Stato italiano né tanto meno la Chiesa ammettono i matrimoni tra persone dello stesso sesso. «Ma per la coppia, ha valore sacramentale». È facile immaginare con quale entusiasmo il Vaticano abbia preso l’attività di don Barbero. Il quale, però, non se ne fa un cruccio: «Sono stato sanzionato da un decreto personale di Papa Wojtyla, nel marzo 2003. C’era scritto che con quella sentenza, infallibile e inappellabile, venivo “dimesso” dallo stato clericale e ridotto allo stato laicale. Ma uno dei dogmi della Chiesa prevede che chi è sacerdote rimanga tale per sempre. Quindi, certo che posso celebrare i sacramenti. Vorrà dire che me la vedrò con Dio. Comunque, il decreto è stato un’ottima pubblicità: non ho mai lavorato come quest’anno». Barbero respinge l’accusa di andare contro le sacre scritture che, dice, «rendono lecito qualsiasi matrimonio, purché due persone si amino. Ogni forma d’amore vive sotto il sorriso di Dio. Gesù non ha dato un modello: i modelli venivano in base alle culture. Ha dato un orizzonte. Se vogliono sposarsi due eterosessuali, li si facilita con corsi di preparazione accelerati che fanno passare tutti, fede o non fede. Per gli omosessuali, c’è una proibizione assoluta. Il fatto è che ancora si pensa al gay come a un affamato di sesso. Del resto, il sospetto verso il corpo e il piacere nel cristianesimo ha una storia che parte dalla metà del II secolo d. C., quando le donne furono estromesse dal ministero». Cosa pensa del Catechismo? «È ridicolo: si riconosce un’inclinazione ma non il suo esercizio. Come si può chiedere a qualcuno di non vivere ciò che è? Questa è induzione alla patologia. E poi, quel linguaggio unto e bisunto di misericordia: “ci vuole misericordia, noi che siamo i buoni”... Se fossi un gay, nulla per me sarebbe più offensivo». Franco Barbero si rifà alla teologia della liberazione, «la riflessione, da quarant’anni a questa parte, su una fede che porta libertà. E che è imparentata con il femminismo, il meticciato, i movimenti politici in America Latina e in Africa. Che mette in discussione il patriarcato e le gerarchie del Vaticano». Quali lettere riceve questo sacerdote? «Spesso di ragazzi gay che cercano un prete in grado di ascoltare. Anche i colleghi mi scrivono a migliaia, omosessuali e no». E questo è un grande capitolo. «Alcuni preti gay hanno trovato un amore felice e lo vivono. Ma moltissimi vivono nella paura di essere scoperti e messi ai margini».

 

TORNA SU
HOME
Le immagini, se non diversamente segnalato, sono prevalentemente tratte da materiali fotografici e grafici preesistenti modificati e riadattati dall'autrice. La riproduzione parziale e non a scopo commerciale del materiale pubblicato (immagini e testi) è consentita citando la fonte (indirizzo web) e l’autore (Cinzia Ricci o altri), diversamente tutti i diritti sono riservati.

Questo sito, testato principalmente con Firefox, Internet Explorer e Safari, è privo di contenuti dannosi per i computer. On-line dal 2003, nel 2015 diviene antologico, da allora non viene aggiornato. Gli odierni Browers non supportano più gran parte dei materiali multimediali prodotti prima di tale anno, le numerose pagine che sembrano vuote in realtà contengono tali contenuti ormai non più fruibili - ne siamo dispiaciuti. Risoluzione schermo consigliata: 1024x768.