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Aggiornato
Domenica 04-Mar-2012
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Daniele non prese un bicchiere, si attaccò direttamente alla bottiglia. «Quant’è buona l’acqua quando si ha sete…» - disse fra sé tergendosi le labbra con il dorso della mano. La posò sul tavolo e tornò in camera. Giunto in cortile si rese conto di non avere le chiavi dello scooter: «Ma porc…» - non era il caso di tornare su, decise allora di chiedere a Marco se poteva andarlo a prendere, poi, per la sera, un altro passaggio lo avrebbe trovato sicuramente. «Ma sei scemo? Farti trattare così da una donna…» Daniele non era un cattivo ragazzo, stava semplicemente attraversando un momento delicato: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ammesso che per un maschio fosse possibile fare distinzioni di questo tipo. Frequentava con scarso profitto l’ultimo anno dell’istituto tecnico. Terminati gli studi avrebbe messo in un cassetto il diploma e avrebbe cercato un lavoro qualsiasi. Non aveva grandi interessi e aspirazioni: a parte i videogiochi, la squadra di calcio che seguiva anche in capo al mondo con gli Ultrà e il segreto desiderio di comprarsi uno di quegli inutili gipponi all’americana come se ne vedevano a frotte sulle strade di città. Sua madre era una modesta casalinga che si occupava solo dalla casa, del marito e dei figli - non aveva grilli per la testa. Suo padre era un operaio, faceva i turni in cartiera, non lo vedeva quasi mai se non accidentalmente, o la domenica, quando doveva scendere in garage e lo trovava ad armeggiare con le canne da pesca. Sua sorella si era sposata da poco lasciandogli libera la camera che aveva prontamente rinnovato riempiendola di cianfrusaglie: adesivi, gagliardetti, sciarpe e bandiere con i colori della squadra, un poster raffigurante il Duce che arringa la folla ed altra robaccia simile piena di strani simboli e croci uncinate, celtiche, proclami xenofobi, deliranti. A entrare in camera sua c’era da sentirsi male. Daniele sapeva poco o nulla di quella roba. La storia non gli era mai interessata, e poi aveva sentito dire da un sacco di gente che i libri raccontano soltanto balle - erano persone perbene, con i soldi, che avevano studiato, se lo dicevano loro che dopo la guerra il paese era finito in mano ai comunisti non c’era da dubitarne - per questo non guardava la TV e non leggeva i giornali, perché tanto era tutta propaganda. Lui sapeva come stavano le cose davvero grazie agli attivisti della sezione locale di “Vigore e Fede”, un’organizzazione di estrema destra che distribuiva una pubblicazione periodica dettagliatissima e faceva proseliti. Erano bravi ragazzi, pieni di sani principi e valori, uniti, sui quali si poteva contare. Mica come quei debosciati del movimento studentesco sempre pronti a piangersi addosso, o quelle checche schifose del coordinamento omosessuale. Tuttavia, a volte gli sembrava che esagerassero… come quella volta che diedero fuoco alla macchina di un travestito e ci mancò un pelo che s’incendiasse il palazzo. «Dai, scendi.» - Daniele esitò - «Muoviti, mammoletta – è tardi! Gli altri saranno già arrivati…» - Marco gli diede una spinta e quasi lo costrinse a camminare. Era la prima volta che Daniele si trovava davanti i capi sezione, gli irriducibili, quelli che la polizia andava a cercare se succedeva qualcosa, così, tanto per dare l’idea di non stare con le mani in mano, di non averli in simpatia. Oh, sì, li aveva già visti e qualcuno lo conosceva anche perché faceva parte del consiglio direttivo dell’associazione sportiva, ma non aveva mai avuto a che fare direttamente con loro per altre cose che non fossero legate al campionato di calcio. Quella non aveva l’aria di essere una festa di compleanno. C’erano tutti, compresi dei camerati che venivano da fuori e tutti trattavano con referenza. «L’hai riconosciuto?» - gli chiese Marco sottovoce, sgomitando. Daniele non capiva nulla di quello che gli stava dicendo. Era a disagio. Sì, la pensava come loro, ma non voleva mettersi nei pasticci… Figuriamoci, già aveva fatto fatica a radersi i capelli a zero. Certo, da quando esibiva la sua testa a uovo nessuno si azzardava a mancargli di rispetto, era temuto, sembrava un duro e le ragazze si accorgevano di lui, ma… Prima o poi sarebbe capitato, doveva aspettarselo. D’altronde non si era mai tirato indietro: senza attirare l’attenzione aveva menato le mani, imbrattato muri e vetrine, portato gente nuova – insomma, si era distinto per essere uno che sa stare nel gruppo facendone gli interessi ed ora ne raccoglieva i frutti. Betta si avvicinò a Marco e gli diede un bacio sulla bocca: «Sempre in ritardo, eh?» L’avvocato Palombo arrivò trafilato. Salutò con un abbraccio caloroso Pieri e chiamò sua figlia: «Citofona alla mamma e dille di portare giù da bere… Bene, signori, cominciamo?» Tutti assunsero un’espressione accigliata, compunta. Presero posto con educazione, senza far chiasso, litigare. A Daniele scappò da ridere. «Come sapete, l’esito delle elezioni amministrative ci ha largamente premiati…» - qualcuno non riuscì a trattenersi e cominciò ad applaudire - «La segreteria nazionale ha molto apprezzato il contributo che i nostri ragazzi hanno responsabilmente dato alla campagna elettorale. Finalmente abbiamo dimostrato la forza e la fondatezza delle nostre idee, il nostro valore e il nostro peso politico, ma è ora che comincia il duro lavoro! Non possiamo più permetterci certe intemperanze che gettano discredito sulla nostra organizzazione e sul nostro programma!» - gli astanti si guardarono gli uni con gli altri, cominciarono a rumoreggiare - «Siamo tutti d’accordo: quel che è storto va raddrizzato, con le buone o le cattive, ma occorre adottare strategie che siano all’altezza degli obiettivi, non il contrario! Le teste calde che agiscono per conto proprio creando problemi e chiacchiere, da ora in poi devono essere tenute a bada! O stanno alle regole o fuori dalle balle – il che non significa dare via il culo, fare come quel branco di finocchi che stanno al governo e hanno venduto il nostro paese, rinunciare a ristabilire l’ordine, ma dobbiamo imparare a farlo con intelligenza, furbizia. Gli appoggi, i consensi e i soldi per fare di più e meglio non ci mancano, stiamo lavorando proficuamente per farli fruttare – impegniamoci tutti per non vanificare sforzi e risultati!» Scrosciò un applauso fragoroso. Palombo bevve una sorsata d’acqua e passò la parola a Pieri che portò i saluti dei camerati laziali con i quali stava organizzando il raduno nazionale e una serie di manifestazioni da contrapporre alle celebrazioni del 25 aprile. Il resto della discussione si articolò intorno a pochi altri temi di rilevanza locale: tenere fuori dalla città gli extracomunitari, far sparire dalla faccia della terra il campo nomadi, ottenere la piena e incondizionata fiducia della curia, anche di quei sacerdoti che non condividevano il clima di restaurazione che il nuovo Papa stava portando avanti con successo, dare una bella lezione senza dare nell’occhio a quelli del centro sociale e a quei quattro finocchi che si stavano allargando un po’ troppo, e… Gli obiettivi non mancavano, erano le strategie che mal si adattavano al nuovo corso. «Ragazzi, non vi potremo coprire in eterno, non su tutto. I nostri amici cominciano a fare pressione, qualcuno ha esagerato e l’opinione pubblica vuole risposte – prima o poi un contentino dovremo darglielo. Lo volete un consiglio? Da ora in avanti chiamate gente da fuori e non lasciate tracce, niente firme, è meglio…» Daniele cercò Marco: «È tardi, devo rientrare…» Daniele capì che si era infilato in un casino gigantesco. Marco era una di quelle teste calde dalle quali l’organizzazione fingeva di prendere le distanze. Quelli come lui facevano comodo, erano loro che si sporcavano le mani, era facile manovrarli, fargli credere di avere un compito speciale. In altre epoche, mentre i potenti ingrassavano decidendo le sorti del mondo, erano quelli come lui che impalavano gli infedeli, sterminavano intere civiltà, bruciavano gli eretici, le streghe e i libri, spingevano nelle camere a gas o giù per le foibe altri uomini, donne, bambini, li denunciavano condannandoli a morte. Daniele non le sapeva queste cose, ma gli si gelò ugualmente il sangue. «Se rifiutassi?» - Marco non rispose e il suo silenzio fu più significativo di qualsiasi parola. |