![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
|
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
Contattaci! |
Aggiornato
Domenica 04-Mar-2012
|
«Siamo intesi, allora: ognuno per la sua strada – qualsiasi cosa accada non ci siamo visti… Il primo che parla è un uomo morto.» - disse Marco guardando dritto negli occhi prima Daniele, poi Franco – e non scherzava, lo sapevano. Annuirono e se ne andarono, senza salutare, dileguandosi nella notte. * * * Franco buttò nel cassonetto il passamontagna ed entrato in casa si chiuse subito in bagno. Si sentiva potente, fiero di se stesso, orgoglioso perché aveva tenuto testa agli altri due, non aveva fatto cilecca. Il membro era ancora turgido, tanto da fargli male. Si sbottonò i pantaloni, lo tirò fuori e alla vista del sangue eiaculò un’altra volta, inaspettatamente. Fu quasi un’implosione – le gambe si piegarono e dovette sedersi. Rimase così a lungo, inebriato, gustandosi il suo coraggio, la sua prestanza, cercando di fissare nella mente le fasi dell’azione. Gli avevano dato una bella lezione a quelle puttane, a quelle lesbiche di merda. Così imparano, capiscono qual’è il loro posto. «Ti piace, eh? Lei non te le fa queste cose, non è capace, vero?» - e giù con colpi sempre più forti e violenti, quasi a volerle arrivare in gola, da lì cacciarle fuori l’anima, la vita… «Godi, cagna!»… Si rese conto che era stato davvero facile - e divertente. Lei non aveva opposto resistenza, non aveva urlato, era rimasta tutto il tempo inerme, quasi senza respirare, con lo sguardo fisso, le lacrime che scendevano, da sole - una frigido, squallido buco. Che schifo. Marco, ci aveva messo anche meno di lui a venire - e dire che si vantava di essere uno dai tempi lunghi! Quel vigliacco di Daniele, invece, non aveva voluto saperne – si era limitato a tenerle le braccia, per quel che serviva. Coglione. Riprese le forze, mise in lavatrice i vestiti e si fece una doccia per levarsi di dosso il puzzo insopportabile di fica. Poco dopo s’infilò a letto e subito s’addormentò, senza alcun pensiero, preoccupazione. D’altronde, si sentiva in una botte di ferro: quando si tratta di stupro, molestie, abusi sessuali, le donne raramente sporgono denuncia. Nel caso di due lesbiche, poi, anche si fossero rivolte ai carabinieri, chi avrebbero denunciato, chi le avrebbe credute, chi avrebbe sprecato tempo, energie e risorse per occuparsene? Non era possibile che qualcuno avesse una buona ragione per andarli a cercare e, comunque, non era possibile risalire a loro. Un piano perfetto. * * * «Le mettiamo solo un po’ di paura e ce ne andiamo…» - avevano detto. Daniele era sconvolto, incredulo, disperato. «Dio, cosa ho fatto…» - si ripeteva. Corse in bagno a vomitare, poi cominciò a lavarsi ma per quanto strofinasse non riusciva a sentirsi pulito. Aveva negli occhi il viso di quella ragazza. Lo ricordava bello, così bianco che quasi rifrangeva la luce, rivedeva le lacrime segnarlo, risentiva le risa dei suoi amici, le loro parole piene di odio, disprezzo… La violenza inaudita dei loro gesti, l’oscenità del loro sesso brandito con fierezza, senza pudore, come un’arma… Tanto si erano accaniti che per un attimo aveva temuto volessero ucciderla – forse lo avevano fatto, lei non reagiva, non si muoveva più… E se fosse morta davvero? Panico: cominciò a piangere, a singhiozzare, sperando che sua madre lo sentisse e corresse da lui, lo abbracciasse, consolasse, salvasse, invece… Ma dov’era? La chiamò una, due, tre volte, sempre più forte - inutilmente. Allora andò in camera ma il letto era in ordine, vuoto, non c’era traccia né di lei né del padre. Daniele era sotto shock. Non ragionava. Nella sua testa i genitori erano già in questura. Si precipitò nella sua stanza e buttò in uno zaino le prime cose che gli capitarono in mano, quindi cercò i risparmi di sua madre e se li mise in tasca. Uscì di casa, montò sullo scooter e scappò, senza una meta, senza sapere dove. * * * Marco rientrò a casa tranquillo. Soddisfatto. Era filato tutto liscio, secondo i piani. E poi, ammesso che qualcosa andasse storto, poteva sempre contare sull’assistenza legale di Palombo, sull’appoggio politico di Pieri e le coperture di altri camerati, anche all’interno della questura, tra i carabinieri. Ma erano stati bravi, attenti. Non credeva che ce ne sarebbe stato bisogno. Lui e Franco avevano scelto un obiettivo facile, indifeso – impersonale, per giunta. Sino all’ultimo erano stati indecisi se colpire quelle puttane o qualche frocio che batteva ai giardinetti. Avevano optato per le prime perché i giardini erano frequentati anche da personaggi in vista, che si pescasse nel mucchio o meno, si rischiava in ogni caso di scatenare un vespaio. E poi, Franco, dopo essere andato in avanscoperta al bar per vedere che aria tirasse, aveva insistito: «Sono due lesbiche bolsceviche, ragazzi, dobbiamo agire subito, stanotte, non possiamo fargliela passare liscia!» - ed era scattata l’azione punitiva. Conoscevano perfettamente le loro abitudini, le tenevano d’occhio da mesi. «Un gioco da ragazzini delle elementari…» - aveva convenuto Marco - «Se si può fare va fatto!». L’unico che lo impensieriva un po’ era Daniele. Si era dimostrato senza palle, ma aveva una paura fottuta di entrambi – non avrebbe detto una parola, ne era certo. Entrò e rimase al buio per non svegliare i suoi che dormivano in fondo al corridoio in una camera con la porta a vetri. La luce si accese e lui si trovò davanti suo padre: «Marco, sono stan…» - Piergiorgio impallidì - «Ma quello è sangue…» Anna scoppiò a piangere, Piergiorgio lo lasciò cadere e dovette sedersi. «Tu sei pazzo, Marco… Un pazzo criminale… Questa è l’ultima volta che ti copro… Vai a preparare le tue cose… Qui non puoi più stare…» Mentre Marco faceva la valigia, Piergiorgio organizzava la sua fuga. Mentre Anna si disperava, Piergiorgio la insultava attribuendole ogni responsabilità. Dopo appena un’ora Marco era già in viaggio, diretto in Inghilterra da fidati amici di famiglia. Camerati anche loro, ma vecchio stampo - mica stronzi. |