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Sabato 18-Mar-2006

REPUBBLICA DI WEIMAR

 

Premessa

 

Con questo nome è generalmente designato il regime repubblicano e democratico che, nato in Germania con la Costituzione del 1919, non durò più di 14 anni, cioè fino alla conquista del potere da parte del nazionalsocialismo di Hitler (1932-33). Fatali le furono, oltre alla crisi economica mondiale esplosa nel 1929, vanificando la ripresa dal collasso dell’immediato dopoguerra, la sopravvivenza della vecchia classe dirigente con le sue inclinazioni autoritarie, la mancanza di un solido baricentro democratico espresso dal ceto medio, la divisione della classe operaia fra socialdemocrazia riformista e comunismo di obbedienza staliniana, nonché gli strascichi della guerra (problema delle riparazioni sulla base della “colpa” attribuita alla Germania dai vincitori, comportamento vessatorio della Francia prima dell’intesa Briand-Stresemann, irredentismo nelle terre perdute ad Oriente, ecc.) che, favorendo il nazionalismo, alimentarono la spinta all’avvento del nazismo.

La Costituzione che la nuova Repubblica si dava, con richiamo a quella del 1849, era impostata sull’autonomia degli Stati (Länder), quelli stessi dell’ex Reich, sul suffragio universale, comprese le donne, anche nei singoli Länder, su un’avanzata legislazione sociale, tra cui la giornata lavorativa di otto ore. La Repubblica detta di Weimar aveva però la vita difficile: le sue strutture democratiche erano state accettate dalla vecchia classe dirigente a malincuore solo con la speranza di ottenere un trattamento più mite dai vincitori. Le dure clausole territoriali ed economiche, invece, avevano diffuso irritazione, facendo presto attribuire al “sistema di Weimar” il cedimento di fronte ai vincitori e le molteplici conseguenze della guerra, tra cui la svalutazione che nel 1923 annullava la posizione economica del ceto medio. Così nella burocrazia e nell’esercito si radicava un’avversione a tale sistema e ai partiti che lo rappresentavano. La Repubblica riusciva tuttavia a fronteggiare i tentativi insurrezionali di destra (Putsch di Kapp a Berlino del 1920, quello di Hitler a Monaco del 1923) e di sinistra a Berlino e altrove (1920-23). La stabilizzazione del marco alla fine del 1923 rappresentò insieme un consolidamento del regime e dell’economia. Le elezioni fino al 1928 assicurarono la maggioranza ai partiti democratici. La politica estera era di conciliazione: sotto la guida di Stresemann vennero ristabiliti rapporti di fiducia con la Francia che portarono al Trattato di Locarno (1925), in seguito al quale la Germania era ammessa alla Società delle Nazioni (1926); vennero riprese relazioni politiche, economiche e militari con l’Unione Sovietica, in seguito al Trattato di Rapallo del 1922; altrettanto avveniva con gli Stati Uniti, che col piano Dawes e coi loro apporti di capitale contribuirono a ridurre le riparazioni e insieme svilupparono l’economia tedesca. Ciò permise alla Germania di ampliare iniziative sociali nell’edilizia, nelle assicurazioni, nell’istruzione: in tale atmosfera si ravvivavano le arti vecchie e nuove, le scienze, il pensiero filosofico e teologico restituendo prestigio anche internazionale alla Germania. Codesta rifioritura era presto travolta dalla gravissima crisi internazionale del 1929 che, partita dagli Stati Uniti, si propagò in Europa e particolarmente in Germania. Qui per il ritiro dei capitali esteri si fece sentire a ritmo crescente la disoccupazione, che arrivò a ben sei milioni di disoccupati e che ebbe i suoi riflessi in tutti i ceti.

 

APPROFONDIMENTO

 

L’abdicazione del Kaiser, piegato dalla sconfitta militare, il 9 novembre 1918 diede via libera alla proclamazione della repubblica. Essa sorse più dal venir meno dell’impero che da un moto popolare. La rivoluzione di novembre, di cui furono protagoniste le minoranze della sinistra socialista e comunista, non fu in grado di conferire alla repubblica il volto di una radicale trasformazione. Nel gennaio 1919 le elezioni per l’Assemblea nazionale costituente, che si riunì a Weimar, lontano dagli scontri politici e sociali della capitale, offrirono la prima risposta alle rivendicazioni di alternative radicali di tipo socialista o sovietico. Il rinnovamento della società tedesca avvenne a metà: alle trasformazioni istituzionali, simbolo delle quali era la stessa proclamazione della repubblica, non si accompagnarono trasformazioni strutturali – né una riforma agraria che spezzasse il potere del latifondismo prussiano, né una riforma industriale che colpisse i gruppi monopolistici – capaci di modificare il rapporto tra le classi e di operare una redistribuzione del potere sottraendone il monopolio ad agrari e grandi gruppi capitalistici. La stessa trasformazione istituzionale incontrò limiti severi, che dovevano ritorcersi contro la democratizzazione dello stato e della società: la continuità della burocrazia, dell’amministrazione della giustizia, in qualche misura dello stesso potere militare, cui i socialdemocratici moderati avevano affidato il mantenimento dell’ordine nel momento dello scontro con la sinistra radicale, furono tutti fattori che minarono sin dall’inizio la repubblica e che avrebbero sabotato l’attuazione della Costituzione democratica. Ridimensionata territorialmente, economicamente e militarmente dal trattato di Versailles, la Germania riceveva con la Costituzione dell’agosto 1919 un ordinamento politico sulla carta tra i più avanzati dell’epoca.

Per la prima volta nella storia della Germania unita erano affermati il principio della sovranità popolare e il primato del sistema parlamentare, temperato dai poteri conferiti al presidente della Repubblica; questi, che doveva risultare da una elezione popolare diretta, poteva in situazione di emergenza sostituirsi agli organi parlamentari e al potere legislativo. Nella prassi, ad opera del presidente P. L. Hindenburg, i poteri presidenziali non funsero da correttivo delle disfunzioni del sistema parlamentare ma concorsero alla distruzione del sistema stesso.

Un altro aspetto fondamentale del processo di democratizzazione introdotto dalla Costituzione era il riconoscimento della funzione insostituibile dei partiti politici, che il Reich fondato da Bismarck aveva tollerato ma mai pienamente legittimato. L’introduzione del suffragio universale senza più riserve (compreso cioè il voto alle donne) era il complemento naturale del sistema rappresentativo e del ruolo attribuito alla libera espressione della volontà popolare. L’ordinamento dello stato era in armonia con la conquista dei diritti civili e politici e dell’eguaglianza tra i cittadini. Il Reich acquistava la struttura di uno stato federale, con la presenza di poteri legislativi e di competenze parallele, tra la federazione e i Länder. Come risultato di una drastica semplificazione della struttura federale e della detronizzazione delle dinastie locali, il Reich risultò dall’aggregazione di 17 Länder, dotati tutti di eguali poteri e autonomia. La Prussia rimase il Land di gran lunga più consistente, ma il meccanismo federale impediva che essa potesse trarre privilegio dalla sua dimensione. Questo non significa che non sorgessero problemi nel rapporto centro-periferia e che tutti i particolarismi fossero di colpo scomparsi. La stessa Prussia, che pure, paradossalmente, negli anni della repubblica fu un bastione della democrazia, la Renania, soprattutto la Baviera, con le sue tendenze reazionarie, antiprussiane e antiprotestanti, furono al centro di conflitti con il Reich che denotavano la necessità di un ulteriore perfezionamento della soluzione adottata dalla Costituzione. Quest’ultima, infine, tra le sue novità, apriva la strada a soluzioni di compromesso nel campo della politica economico-sociale, venendo incontro alle aspettative di larghe masse emerse al momento del crollo dell’impero. In un certo senso ispirava un modello di collaborazione tra capitale e lavoro, legittimava ad ogni effetto l’esistenza e la funzione delle organizzazioni sindacali (dei lavoratori come del padronato), quasi a risarcirle della precaria situazione di incertezza anche giuridica che aveva presieduto alla loro esistenza nell’impero.

Ma il progetto di una “democrazia economica” sviluppato dal movimento sindacale si scontrò con la situazione oggettiva della repubblica e con le resistenze di un padronato non disposto a perdere il suo potere. La base politica della repubblica fu costituita dal consenso espresso dai partiti democratici della cosiddetta coalizione di Weimar, la socialdemocrazia, il centro cattolico, il partito democratico (espressione dei liberali di sinistra). In realtà, questa piattaforma fu più una eccezione che la regola, rappresentata dall’incessante sforzo di allargare il consenso sul versante della destra, verso l’ala conservatrice del liberalismo tedesco, che fornì con G. Stresemann l’uomo di stato e il ministro degli Esteri di maggiore statura della repubblica. La stabilizzazione della repubblica incontrò due ordini di ostacoli, sul piano internazionale e sul piano interno. Sotto il profilo internazionale la repubblica fu sfibrata dalla lotta per la revisione del trattato di Versailles, dall’imposizione delle riparazioni ai vincitori, dal superamento dei controlli militari imposti con il trattato di pace. La politica di adempimento di Stresemann indicò la via per un onorevole reinserimento della Germania tra le potenze. Ma anch’essa fu violentemente osteggiata dalla destra nazionalista e dall’agitazione nazionalsocialista, che alimentò fra l’altro la leggenda della “pugnalata alla schiena” per identificare nella democrazia la protagonista della sconfitta del 1918. Sin dalle sue origini pertanto la repubblica fu messa in stato d’accusa da uno schieramento di nemici, nel quale si erano aggregati, con i residui del vecchio militarismo e i sostenitori della monarchia, forti tendenze nazionaliste, antidemocratiche per tradizione e per lo spirito bellicista ereditato dalla guerra, e un antisemitismo inasprito dalla sconfitta e dai fermenti rivoluzionari del dopoguerra.

Le aspettative riposte nella repubblica come protagonista di una grande trasformazione politica e sociale furono deluse: nel 1925 l’elezione alla presidenza del maresciallo P. L. von Hindenburg, alla morte del presidente socialdemocratico F. Ebert, segnò l’inversione di tendenza. La democrazia fu sconfitta dalle sue debolezze interne e dall’attacco, senza risparmio di colpi, portatole dalla destra antidemocratica, che ebbe la sua punta di diamante nello spregiudicato partito nazionalsocialista di A. Hitler. A partire dalla fine degli anni Venti la crisi mondiale ebbe in Germania uno dei suoi epicentri, data la dipendenza dall’economia statunitense che gli aiuti concordati per il pagamento delle riparazioni avevano generato. Colpito dalla depressione e dalla inadeguatezza dei mezzi per fare fronte alla disoccupazione dilagante, il sistema politico fu messo in crisi dalla gestione extraparlamentare avviata dal cancelliere H. Brüning, con il sostegno del presidente Hindenburg, e soprattutto dalla determinazione e dalla demagogia nazionale e sociale del Partito nazionalsocialista (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, NSDAP); dal 1930 al 1932 questo lavorò sistematicamente per la distruzione della repubblica democratica, operando attraverso l’ascesa elettorale e parlamentare e attraverso la lotta di piazza soprattutto contro le organizzazioni e i militanti socialdemocratici e comunisti. Screditando lo stato democratico e il sistema dei partiti, la NSDAP prometteva l’uscita dalla crisi attraverso la restaurazione di uno stato forte, nel nome di una unità nazionale fondata sul razzismo e sull’antisemitismo, formule di facile presa in un momento di collasso e di lacerazione del tessuto politico e sociale.

 

GLI ALTRI CAPITOLI…

 

Premessa
Paragrafo 175
Assemblea e Costituzione di Weimar
I fermenti culturali a Berlino
Letteratura: il primo dopoguerra
La filosofia germanica da Hegel ad oggi

 

L’arte dal neoclassicismo alla Nuova Oggettività

 

Il Cinema dalle origini all’avvento del nazismo
L’architettura
La pittura
La musica tra i due secoli
Il Teatro
La Danza

 

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