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Aggiornato Martedì 19-Dic-2006


LENI RIEFENSTAHL

Danzatrice, attrice, regista, scrittrice e fotografa

(Berlino, 22 Agosto 1902 - 9 Settembre 2003)

Scheda di C. Ricci

 

Bertha Helene Amalie Riefenstahl, figura di grandissimo rilievo anticipatrice dell’estetismo moderno.

Il cinema le deve molto più di quanto sia disposto ad ammettere e ancora ne nasconde le qualità e i meriti per due semplici motivi, entrambi ridicoli e ingiustificabili - uno manifesto, l’altro inconfessabile ma fondamentale, allora come adesso: Leni Riefenstahl sconta la colpa di aver vissuto negli anni più bui del ventesimo secolo e, soprattutto, di essere stata ambiziosa e caparbia, onnivora, tenace, sicura di sé, autorevole, abile, instancabile, versatile, che ha pianto spesso come una femmina ma ha saputo imporsi come un maschio, con un talento straordinario per la composizione visiva, l’estetica dinamica. Caratteristiche e doti rare, imperdonabili, inammissibili in una donna - talmente inaccettabili che, mentre altri (ideologicamente aderenti alla follia nazifascista, essi davvero responsabili di morti e orrori) hanno pagato poco o nulla e nel tempo sono stati riciclati o reinseriti nel sistema politico, culturale e produttivo continuando a lavorare indisturbati, Leni è rimasta ai margini, vessata, boicottata, bandita, perseguitata, esclusa da qualsiasi valutazione che ne trascendesse il coinvolgimento con il nazismo. Dopo la guerra, intere generazioni hanno scaricato su di lei la propria cattiva coscienza.

Una sorte, la sua, che pochi hanno subito con tanto incrollabile, imperituro accanimento.

Questo mio modesto contributo, vuole in parte rimediare e al contempo renderle un sentito, doveroso omaggio.

 

 

PROLOGO

 

Quando nasce quell’incredibile fucina politica e culturale che è stata la Repubblica di Weimar, Leni ha 16 anni. Si forma in seno ai suoi fermenti, alle sue promesse e cocenti disillusioni, in una Berlino contraddittoria, in una Germania che ha perso la guerra, ridotta in povertà, ferita nell’orgoglio, derubata, alla ricerca di un’identità nuova che la risollevi e riscatti.

Contro il volere dei genitori (la madre era casalinga e il padre un imprenditore che l'aveva destinata a succedergli nell'impresa di famiglia), organizza spettacoli, s'interessa alla poesia e alla pittura, pratica ginnastica e sport, ma soprattutto s'iscrive di nascosto alla Staatliche Kunstgewerbeschule für Zeichnen und Malen di Berlino dove studia danza classica e moderna sotto la direzione di Eugenie Eduardova, Jutta Klamt e Mary Wigman, una passione che le permetterà di scoprire la plasticità del corpo, il suo potenziale, la sua estetica e la sua poetica. Più tardi, questa conoscenza troverà una sua precisa espressione nelle sequenze più belle dei suoi film, nei documentari e nelle fotografie.

Nel 1923 debutta come danzatrice e il suo talento è subito notato. Max Reinhardt la scrittura e il successo la travolge. Ma una lesione al menisco, nel 1925, la costringe a decidere altrimenti e casualmente, come quasi tutto nella sua vita, approda al cinema.

 

DALLA DANZA AL CINEMA

 

Dopo aver visto un film di Arnold Fanck, “Il monte del destino”, il primo lungometraggio nella storia del cinema ad avere come soggetto un dramma di montagna, gli fa avere tramite l’attore Luis Trenker alcune fotografie e le più lusinghiere recensioni che la riguardano. Lui ne rimane affascinato. S'incontrano e nel 1926, Fanck la ingaggia per il film “La tragedia di Pizzo Palù”, con la co-regia di Pabst, e scrive per lei “La montagna dell'amore” ed “Ebbrezza bianca” (1931). Attraverso Fanck apprende le basi della tecnica cinematografica, grazie a Pabst quelle della drammaturgia dell’attore. Leni è capace e attenta, curiosa, professionale. Non esistono le controfigure e il realismo di Fanck la costringe a tirare fuori tutto il suo vigore fisico, il suo coraggio, la sua adattabilità: scala montagne, antesignana pratica il free climbing a piedi nudi, interpreta scene pericolose travolta da valanghe autentiche, sfida i rigori del ghiaccio (28 gradi sotto lo zero). Leni s’impone anche come attrice.

Nel teatro di posa berlinese che oggi porta il nome di Marlene Dietrich, Leni incontra von Sternberg. Lui la porta con sé sul set de “L’angelo azzurro” ma Marlene, che ha un caratteraccio e non la sopporta, la fa allontanare. Tuttavia, da queste visite e dall’amicizia con von Stemberg, Leni impara molto sulle tecniche cinematografiche e fotografiche. Alla fine lui vorrebbe portarla a Hollywood per farne una stella, ma lei è impegnata in una relazione sentimentale che non desidera lasciarsi alle spalle - rimane a Berlino.

Passa con disinvoltura dal muto al sonoro e l’anno successivo si cimenta nella sua prima regia: “La bella maledetta - La luce azzurra” (1932), scritto con Béla Balázs e Carl Mayer, prodotto e interpretato da lei. Una storia romantica acerba ma innovativa, visionaria, che fonde insieme paesaggi realistici di montagna, effetti sperimentali estremamente suggestivi ed elementi fiabeschi. Leni, montando le scene in modo serrato, dinamico, accostando inquadrature e sequenze diverse, anche molto brevi, in contrapposizione, crea una tensione narrativa e visiva inedita per l’epoca.

Il film, sul quale l’ombra di Dreyer (il grande maestro del bianco e nero) aleggia con evidenza, e che recupera il gusto figurativo espressionista con inquadrature fortemente angolate, effetti luminescenti dati da una pellicola creata dall’Agfa appositamente per lei (la pellicola Riefenstahl, appunto) ed un uso del tutto originale dei filtri rossi e verdi che anticipa i tempi e colora di blu le sequenze notturne consentendole di girare senza luci, ha uno straordinario successo (vince una medaglia a Venezia e una Berlino) e la consacra come uno dei più dotati e promettenti registi tedeschi.

Più tardi, De Sica e Rossellini le riconosceranno il merito di essere stata la prima a girare gli interni dal vero, fuori dai teatri di posa, con personaggi interpretati da attori non protagonisti, persone del luogo.

 

TRA LE SPIRE DEL SERPENTE

 

Il 22 Febbraio del 1932, Leni Riefenstahl che sino a quel momento si era del tutto disinteressata alla politica e non aveva la più pallida idea dell’esistenza di Hitler, assiste ad un comizio del Führer in occasione dell’adunata dei nazionalsocialisti al palazzo dello sport di Berlino. Ne rimane fortemente impressionata, come ogni altro tedesco di quei tempi, d'altronde. Pensa: «Che sia questo l’uomo che può salvare la Germania?» - e gli scrive. Hitler l'ha vista danzare in riva al mare nel film "La montagna dell'amore" e ne è rimasto affascinato, ha visto “La bella maledetta” e ne ha compreso l’enorme potenziale. I due s’incontrano per la prima volta nel Maggio del 1932 e lui ha già stabilito che una volta al potere la vorrà al suo fianco, dietro la cinepresa. Leni protesta: è innanzitutto un’attrice, vuole fare buoni film ed essere libera di scegliere. Hitler è indulgente: «Quando sarà più vecchia e matura, allora forse capirà le mie idee». Leni intuisce che è meglio stare alla larga da quell’ambiente, da quell’uomo che gli appare semplice, modesto, il contrario dell’immagine pubblica che dà di sé.

Il 30 Gennaio del 1933, Hitler è nominato cancelliere del reich. Il 28 Febbraio il Reichstag brucia e Hitler ottiene pieni poteri. L’11 Marzo Goebbels diviene ministro della Cultura e della Propaganda nazista.

In quei mesi, Leni è in Groenlandia e sulle Alpi svizzere dove sta girando il film di Fanck “S.O.S. Iceberg”. Quando torna apprende che molti suoi amici ebrei sono dovuti emigrare perché per loro non c’è più lavoro, in Germania. La notizia la «preoccupa e rattrista», ma pensa che si tratti di una mossa propagandistica. Tuttavia, quando Hitler la convoca per proporle di realizzare un film sul congresso del partito che si terrà a Norimberga, chiede spiegazioni. Lui taglia corto: «La prego di non parlarmi di questo argomento». Leni si considera solo un'attrice, non vuole fare film propagandistici, men che mai documentari che di artistico non hanno nulla. Hitler insiste e lei non può rifiutare. Il 26 Maggio è sul Mar Baltico in compagnia del Führer e dei coniugi Goebbels per discutere i dettagli. Paul Joseph, che la tiene d’occhio e già se n’è incapricciato, annota sul suo diario che si è intrattenuta «dal capo durante la notte». In seguito, questa e molte altre frasi del suo diario, saranno abilmente sfruttate dagli instancabili detrattori della Riefenstahl che se ne serviranno per insinuare che fra lei e il Führer vi fosse una relazione – un rapporto che Leni negherà sempre e di cui non vi è alcuna prova testimoniale o documentale.

 

“LA VITTORIA DELLA FEDE”

 

Nel 1933, dunque, realizza controvoglia il suo primo documentario, “La vittoria della fede”, che riprende il 5° congresso del partito, il primo dopo l’ascesa al potere. Leni non ha abbastanza tempo e mezzi, fa fatica: non dispone delle attrezzature necessarie, Hitler è ancora impacciato davanti alla cinepresa, l’organizzazione dell’evento è difettosa e la nomenclatura nazista è in subbuglio, non vuole il film voluto da Hitler e non sopporta la presenza di Leni, non si capacita come possa una donna essere presa in tanta considerazione dal Führer. D’altronde, il nazismo ha fra i suoi obiettivi «emancipare la donna dall’emancipazione» - di più: «La donna ha il compito di essere bella e di mettere al mondo i bambini» - dichiara Goebbels - «L’uccello femmina si abbellisce per il suo compagno e cova le uova per lui, in cambio lui si preoccupa di raccogliere il cibo e di tenere lontano il nemico». Il temperamento e l’autorevolezza di Leni, quindi, mal si conciliano con l'ideologia maschilista che la circonda. La direzione del partito, Goebbels in testa, boicotta lei e il film, ordisce intrighi, fa di tutto per ostacolarla, screditarla. Hitler s’infuria ma alla fine, anche se incompleto e raccogliticcio, il film dissipa ogni dubbio sulle capacità professionali della Riefenstahl ed ogni attacco, anche se a malincuore, cessa. Tuttavia la pellicola è poco dopo distrutta perché, accanto al Führer, vi appare troppo spesso il suo ingombrante e obsoleto rivale, il capo delle SA, Röhm (fatto uccidere il 30 Giugno del ‘34) – solo alla fine degli anni Ottanta se ne rinverrà fortunosamente una copia.

 

“IL TRIONFO DELLA VOLONTÀ”

 

Sebbene abbia tentato di rinunciare all'incarico in tutti i modi, fuggendo persino in Spagna nella speranza che Hitler si dimenticasse di lei e affidasse le riprese ad altri, tra il 1934 e il 1935 realizza il documentario più famoso della storia del ventesimo secolo: “Il trionfo della volontà”, celebrazione solenne del 6° congresso della NSDAP di Norimberga.

Leni, che insiste a non voler realizzare documentari e non vuole compromettersi oltre con il regime, accetta di girarlo solo dopo che Hitler le promette di non farla mai più lavorare per il partito.

Il periodo nel quale lo realizza è importante: un anno prima delle leggi razziali, quattro anni prima della “Notte dei cristalli” e cinque prima dell'invasione della Polonia. «Il film riflette la verità di ciò che era nel 1934 la storia. È dunque un documento, non un film di propaganda; so bene cos’è la propaganda. Io ho filmato la verità dell’epoca, niente di più» - e ancora - «È pazzesco che un film che non volevo assolutamente fare, abbia poi segnato la mia vita non solo professionale».

Leni si avvale della collaborazione di sessantacinque fra operatori, tecnici e assistenti, impiega tutta l’attrezzatura mobile e fissa disponibile ed altra la inventa o commissiona lei stessa (carrelli, piattaforme, binari circolari, pattini a rotelle, teleobiettivi capaci di inquadrare un volto a trenta-cinquanta metri, e persino un ascensore per effettuare riprese dall'alto). Leni realizza un montaggio dinamico, in sincrono con la musica, senza commento, come sino a quel momento non si era mai visto in campo documentaristico. Un film stilisticamente, esteticamente e tecnicamente esemplare.

Per realizzare “Il trionfo della volontà”, Leni Riefenstahl blocca, di fatto, l’imponente macchina cinematografica legata al ministero di Goebbels – e lui, sentendosi minacciato e messo in secondo piano, perde il controllo. Inoltre, è dal 1932 (prima del loro incontro ufficiale) che tenta di averla senza successo e questo è, se possibile, il peggior affronto. L’odio di Goebbels diventa ostracismo e i pettegolezzi, più che mai strumentali, si sprecano: per screditarla, arriva persino ad accusarla pubblicamente di essere ebrea. Leni è nei pasticci: ripara in Svizzera. Hitler è furente, non vuole dare l’impressione che fra le persone che godono della sua fiducia vi siano conflitti: organizza un incontro pacificatore ad uso e consumo della stampa e tutto sembra sistemarsi.

 

“OLYMPIA”

 

Tra il 1936 e il 1938 realizza “Olympia - Apoteosi di Olimpia”, un documentario commissionato dal Comitato Olimpico che ritrae l’evento sportivo svoltosi a Berlino nel 1936, con il quale vince il primo premio come miglior film straniero al Festival di Venezia e riceve premi in Francia e in Svezia.

Per realizzare il film inventa nuovi tagli e possibilità d’inquadratura, sfrutta ogni punto di vista, monta carrelli ovunque, scava buche, installa cineprese su palloni aerostatici, si fa costruire un obiettivo speciale e potentissimo, il Tele 600, con il quale può realizzare primi piani da distanze impensabili allora, compie per la prima volta riprese subacquee, dirige 180 operatori e collaboratori – uno sforzo organizzativo, creativo, tecnico ed economico impressionante. Leni litiga e piange per avere quello che le serve, e alla fine lo ottiene sempre. Finite le riprese si ritrova con 400 chilometri di pellicola impressionata, 220 ore di immagini girate – si chiude in sala di montaggio e vi rimane quasi due anni trasformandole in un capolavoro assoluto, mai uguagliato. Monta sequenze al contrario per evidenziare i movimenti atletici, sceglie la musica per sottolineare la potenza, lo sforzo, la determinazione, gioca con le diverse velocità per creare pathos e nuove suggestioni - incomparabile.

Ma, diviso in due parti lunghe complessivamente quattro ore, “Festa dei popoli” e “Festa di bellezza”, non piace ad Hitler perché, oltre a non essere personalmente interessato all'evento sportivo in sé, il film esalta le vittorie anche degli atleti di colore, mostra lo sforzo fisico ed emotivo certamente non ariano degli atleti di tutto il mondo, uomini e donne. “Olympia” è, in buona sostanza, una rappresentazione entusiastica e raffinata della gioventù, dell’abilità, della volontà e della forza al servizio dello sport, l’osservazione acuta e ammirata di un’umanità capace di travalicare le differenze razziali e i limiti del corpo umano. Un contributo straordinario alla bellezza e all’armonia, ma anche alla tecnica e all’estetica cinematografica.

“Olympia”: una pagina di storia del cinema (negli Stati Uniti è considerato uno fra i dieci film migliori del mondo), una pietra miliare.

Molte cose che oggi sono ordinaria amministrazione, Leni Riefenstahl le inventa e sperimenta allora, per prima, e con ciò stabilisce una volta per tutte lo standard per la fotografia sportiva.

A Novembre, quando Leni è in viaggio per promuovere il film in America, ha luogo la cosiddetta “notte dei cristalli”. La sua trasferta è un disastro. I giornali parlano delle sinagoghe in fiamme, dei negozi saccheggiati, degli ebrei perseguitati, ma lei non ci crede, non riesce a credere che i tedeschi e il suo Führer siano capaci di una tale barbarie, non può crederlo. Per lei questa è solo, ancora una volta, propaganda.

Ma quando torna in patria, è l’indifferenza del Führer e dei gerarchi del partito di fronte al film e il disprezzo manifestato contro le opere cosiddette “corrotte, degenerate, razziste e giudaiche” dei più grandi artisti e autori dell’epoca, che la colpisce e genera in lei i primi, seri dubbi: se si sbagliano tanto sull’arte non potrebbero sbagliarsi anche sul resto? Alla buon’ora.

 

IL CERCHIO SI STRINGE

 

Il 1° Settembre del 1939, la Germania invade la Polonia. Leni segue le truppe al fronte per effettuare delle riprese ma accade l’imprevedibile: alcuni soldati tedeschi vengono uccisi, per ritorsione un gruppo di ebrei è costretto a scavare una fossa e subito dopo inizia il massacro. Leni è lì e ne rimane profondamente sconvolta (nella foto). Protesta, rassegna le dimissioni e fugge spaventata.

Ma deve sopravvivere e più di ogni altra cosa la mondo vuole lavorare. Tenta di farlo in autonomia, dedicandosi a qualsiasi cosa purché sia interamente suo, svincolato dal nazismo e dalla propaganda, attraverso il quale possa esprimere pienamente e liberamente la sua creatività, in tanto orrore mostrare quello che i suoi occhi vedono, filtrano: “Phenthesilea” (1939), un film su Eleonora Duse, uno su Van Gogh - progetti, ma non trova più né finanziamenti né appoggi per realizzarli.

Nel Giugno del 1940, Hitler e le sue truppe entrano a Parigi. Leni Riefenstahl, e molti altri come lei, esulta. Pensando che adesso la fine della guerra sia imminente, si felicita con il Führer. Fallace, illusoria speranza. Di lì a poco il conflitto dilaga e la guerra diviene totale.

 

“TIEFLAND”

 

Per non dover lavorare per conto della propaganda, si ritira in montagna e tra il 1940 e il 1944 decide di realizzare “Tiefland” (da un'idea risalente al 1934, con una sceneggiatura scritta insieme a Georg Wilhelm Pabst e Harald Reinl, dall'opera omonima di Eugène D'Albert - storia di un umile pastorello che sconfigge il potere di un tiranno che insidia la sua amata, di un conflitto sociale fra contadini e latifondisti). “Tiefland” è ambientato in Spagna ma a causa della guerra la troupe è costretta a tornare in Germania, ripara in Baviera. Per le scene è ricostruito un intero villaggio che non rimane in piedi mai abbastanza a lungo per completare le riprese, occorrono comparse dai tratti somatici meridionali e la produzione decide di ingaggiare, tramite l’ufficio di collocamento, gli zingari internati nei lager vicino a Salisburgo (ed anche questo, alla fine della guerra, creerà alla Riefenstahl parecchi problemi e processi - lei dichiarerà sempre che non ne sapeva nulla) e poi la neve, non prevista nell’ambientazione: un disastro dopo l’altro, per due anni consecutivi. Leni tenta anche di produrlo da sola quando i finanziamenti vengono a mancare, ma Goebbels s’intromette, sequestra il set perché serve alla propaganda. Il nazismo non ha altro da chiederle, pretendere, né altro da darle.

Il paese è in rovina. Quando Hitler arriva ad arruolare la milizia popolare e i bambini, Leni Riefenstahl comincia a capire che è tutto sbagliato – ma ormai è troppo tardi.

Durante le riprese, il 21 Marzo del 1944, si sposa con Peter Jacob, un comandante dell’esercito. Il matrimonio è infelice e breve. Leni non ne parlerà mai volentieri, ricorderà quel periodo come uno dei più dolorosi e tristi della sua vita. Quel giorno incontra per l’ultima volta il Führer, o meglio, il suo fantasma.

Il 30 Aprile del ’45, Hitler si uccide.

La guerra è finita. Tutto il materiale realizzato per “Tiefland” è trafugato, finisce in Francia dove ne è fatto scempio.

 

PERSECUZIONE

 

Finita la guerra è arrestata e condannata come collaborazionista a quattro anni di carcere.

Di fronte alle foto e ai filmati realizzati nei lager, Leni atterrisce. Tutta la sua vita, ciò in cui ha creduto, passa in secondo piano, va in pezzi. Ha solo due alternative: imparare a convivere con l’orrore e la colpa, o morire - «è stata una lotta permanente». Le occorreranno molti anni prima di riuscirci. Non sconfesserà mai il suo lavoro perché mai ha agito con lo scopo personale di favorire il nazismo, ma sino alla fine dei suoi giorni farà i conti con le sue responsabilità umane, il peso di non aver capito prima il crimine che si stava compiendo.

Passa tre anni in vari campi di prigionia, è internata per tre mesi in un manicomio, le confiscano tutti i beni, affronta una decina di processi sino a quando, nel dicembre del 1949, il tribunale di Friburgo la proscioglie definitivamente e la classifica come semplice fiancheggiatrice. Non le viene inflitto il divieto di esercitare la professione. Dall’inchiesta risulta che non ha svolto alcuna attività politica a sostegno del regime nazista. Ma sono molti, troppi, quelli che non sono d’accordo, che vorrebbero vederla morta, cancellata dalla storia, forse al solo scopo di oscurarne l’opera, per invidia, misoginia, ignoranza, ottusità, acrimonia personale: Luis Trenker, ad esempio, s’inventa un diario di Eva Braun pieno di menzogne sul suo conto, i giornali si avventano come sciacalli con ossessiva reiterazione, gli stupidi ci cascano.

Per oltre vent’anni vive in una modesta mansarda a Monaco di Baviera, con sua madre – sola, senza potersi esprimere. Il suo talento, il disinteresse per qualsiasi cosa che non fosse in relazione con il lavoro, sono stati la sua rovina.

 

L’INCONTRO CON I NUBA

 

Dagli anni '50 in poi, prova con tutte le sue forze a risorgere, risollevarsi, ma a lei non è più permesso volare, può solo correre.

Nel 1951, grazie al sostegno di una produzione italiana (Iris Film) e di una distribuzione austriaca (National Film), cura una nuova edizione del suo film “La bella maledetta - La luce azzurra”.

Nel 1954, dopo una ventennale odissea ed una lunga battaglia giudiziaria, riesce a rientrare in possesso di quello che rimane del film “Tiefland”, e finalmente lo termina - meglio che può.

Nel 1956 si reca per la prima volta in Africa orientale, in Kenia e Tanzania, alla ricerca di luoghi dove ambientare un film sul commercio degli schiavi. Leni ha un incidente che le costa quasi la vita e il film, “Carico nero”, non potrà mai essere ultimato.

Impiega ben sei anni prima di trovare un popolo che incarni culturalmente e fisicamente l'armonia, la fierezza del guerriero africano. Nel 1962 si trasferisce in Sudan dove filma e realizza con la sua Leika dei réportages “etnologici” (editi in “Die Nuba von Kau”, 1973, “Die Nuba”, 1976, e “Mein Africa”, 1982) di rara bellezza, dinamismo e intensità sulle incorrotte popolazioni dei Nuba Masakin e Kau. Organizza spedizioni e trascorre presso di loro lunghi periodi, dal 1963 al 1969. Non filma e non scatta fotografie con lo scopo di pubblicarle, esse sono appunti di viaggio, la testimonianza di un’amicizia, di un’ammirazione autentica per quelle genti antiche e pure, disinteressate, che l'accolgono senza timore, diffidenza, preconcetti. Un amore sincero, ricambiato, che non scorderà più e rimpiangerà.

Tornerà dai Nuba nel 2000, scoprendoli con dolore decimati dalla guerra civile, ormai assimilati, costretti a convertirsi all’islamismo, contaminati da quella che noi chiamiamo civiltà, prossimi all’estinzione. Durante quest’ultimo, commovente viaggio (un commiato, oggi lo sappiamo), sfidando i pericoli della guerra, il caldo soffocante, le mine e gli acciacchi dell’età («Io non vado a caccia del pericolo» - dice all’operatore che la riprende - «ma a volte è necessario correre dei rischi. Io non ho paura, non l’ho mai avuta e non l’avrò neanche questa volta»), lei e i suoi accompagnatori (fra cui Horst Kettner, suo compagno dal 1968, più giovane di lei di quarant’anni, e una troupe cinematografica che racconterà l’avventura nel documentario “L’Africa di Leni Riefenstahl”), prima rischiano di rimanere coinvolti in un attacco della guerriglia, poi l’elicottero che li trasporta precipita: Leni ha due costole rotte, gli altri ferite e fratture, ma sono tutti vivi.

L’uscita dei réportages realizzati sui Nuba, fa nuovamente gridare allo scandalo. I suoi detrattori, fra i quali sorprendentemente vi sono figure d’indiscusso rilievo quali Susan Sontag, tornano ad accusarla di avere una visione estetica di stampo nazifascista (!!!).

Dei suoi viaggi in Africa esistono più di 3.000 metri di pellicola girata e purtroppo molto altro materiale importante è andato distrutto. Ad oggi non se ne conoscono che pochi frammenti.

 

EPILOGO

 

Negli anni Settanta inizia la sua carriera fotografica da principio con lo pseudonimo di Helen Jacobs.

Nel 1972 lavora per il “Times” di Londra alle Olimpiadi di Monaco. Ma l’ombra del Terzo Reich la perseguita ancora. Nel 1974, mentre ritira un riconoscimento al Telluride Film Festival, alcuni dimostranti anti-nazisti l’aggrediscono pesantemente.

Poi, nel 1973, all’età di settantuno anni (!), impara ad immergersi, ottiene il brevetto barando sull’età ed inizia a dedicarsi alle immersioni subacquee, esplorando, filmando e fotografando i fondali delle riserve marine più belle e interessanti del mondo: Mar Rosso, Carabi, Maldive, Oceano Indiano.

Colori e forme di straordinaria bellezza, un paradiso precluso agli esseri umani, un’esplosione di vita che conquista Leni e la spinge ad immergersi per altri trent’anni facendo di lei la più anziana subacquea del mondo. Una nuova sfida tecnica ed estetica, fotografica e cinematografica, ma anche un impegno preciso in favore del mare: preoccupata dal degrado ambientale sottomarino, diviene membro di Green Peace. I libri fotografici “Giardini di corallo” (Korallengärten, 1978) e “Wunder Unter Wasser” (1990), raccolgono alcune delle più belle immagini che ha realizzato. Il materiale cinematografico è perlopiù inedito.

Nel 1987 esce la sua discussa autobiografia, “Memoiren”. Il libro è pubblicato in molti paesi, ma sarà tradotto in italiano solo nel 1995 con il titolo “Stretta nel tempo – Storia della mia vita”.

Nel 1993, il regista Ray Müller realizza, fra molte difficoltà ed un ostruzionismo ancora forte, un documentario di tre ore sulla vita e l’opera di Leni Riefenstahl: “Die Mach der Bilder” (La forza delle immagini), edito in italia solo nel 1997.

Successivamente, nel 1999, anche Hollywood progetta un film sulla sua vita, ma non sappiamo se sia mai stato realizzato.

Leni Riefenstahl cessa di vivere il 9 Settembre del 2003.

 

 

Nel 2003, all’età di centouno anni, Leni Riefenstahl si spenge. Rai 3 trasmette il documentario “L’Africa di Leni Riefenstahl”, girato in Sudan tre anni prima. Un film che non ha pretese e, come in quello di Müller (il significativo “La forza delle immagini”, del 1993, trasmesso anch'esso da Rai 3 nella programmazione notturna curata da Ghezzi & C., il 29 Gennaio 2005), mostra senza fronzoli una signora anziana autocelebrativa, vanitosa, esigente, puntigliosa, ma al contempo sincera, franca e diretta, anche a costo di apparire del tutto stupida o prepotente. Una donna certamente controversa, teutonica, che ha sempre anteposto il suo lavoro, la sua passione per le immagini, per la trasposizione visiva, per la tecnica cinematografica, la composizione e il dinamismo estetico. Si ha l'impressione di trovarci di fronte ad un’ingenua o una sprovveduta, talvolta appare ostinata e dispotica, altre sembra superficiale, insensibile o sciocca - non una pazza criminale. Ma, una volta di più, non è il giudizio sulla persona che dovremmo esprimere, non è di lei e della sua storia personale che dovremmo occuparci, né dei suoi errori, della sua forza o delle sue debolezze, bensì della qualità del suo lavoro, e vergognarci di averle impedito di continuarlo.

Nel gennaio del 2004, in prossimità de “Il giorno della memoria”, Rai 3 trasmette in prima serata un altro documentario della serie “La grande storia”, “Leni Riefenstahl – La vestale del Führer”. Ancora pettegolezzi, insinuazioni, falsi storici. Dopo sessanta anni nulla è cambiato. Nemmeno da morta può riposare in pace, nemmeno da morta ha diritto ad essere ricordata esclusivamente per il valore del suo talento, un talento che è stato rigettato con disgusto, coperto di fango e offese, offuscato da allusioni che non hanno alcun fondamento documentato o documentabile e perciò offendono l’intelligenza e il buon senso di chiunque abbia a cuore la verità, la libertà, l’arte, la poesia.

Quando un regime (sociale, culturale, politico o religioso), reprime o assoggetta le sue menti più brillanti, quando si erge a giudice di se stesso o del precedente, quando un’epoca ne giudica un’altra e pontifica, la punisce colpendone e disconoscendone le personalità più geniali che accidentalmente l’hanno attraversata, non ci troviamo di fronte ad un paradosso, ma ad una tragica realtà che depaupera l’intero genere umano.

C. Ricci

 

 

FILMOGRAFIA ESSENZIALE


INTERPRETAZIONI
01
"La montagna dell'amore" di A. Fanck (Der heilige Berg, 1926)
02
"Il grande salto" di A. Fanck (Der Grosse Sprung, 1927)
03
"Il crollo degli Asburgo" di Rolf Raffé (Das Schicksal derer von Habsburg - Die Tragödie eines Kaiserreiches, 1928)
04
"La tragedia di Pizzo Palù" di A. Fanck (Die weisse Hölle vom Piz Palü, 1929)
05
"Tempeste sul Monte Bianco" di A. Fanck (Stürme über dem Montblanc, 1930)
06
"Ebbrezza bianca" di A. Fanck (Der weisse rausch - Neue Wunder des Schneeschuhs, 1931)
07
"S.O.S. Iceberg" di A. Fanck (1933)
REGIA E INTERPRETAZIONE
09
La bella maledetta - La luce azzurra (Das blaue Licht - Eine Berglegende aus den Dolomiten, 1932)
10
Bassopiano (Tiefland, 1954)
REGIA
01
La bella maledetta (Das blaue Licht, 1932)
02
Der Sieg des Glaubens (La vittoria della fede, 1933)
03
Trionfo della volontà (Triumph des Willens, 1935)
04
Il giorno della libertà (Tag der Freheit - Unsere Wehrmacht, 1935)
05
Olympia - Apoteosi di Olimpia (Fest der Völker - Fest der Schönheit, 1936)
06
Tiefland (Bassopiano, 1934/1954)
07
La luce azzurra ("The Blue Light", remake de "La bella maledetta" - 1960)
PROGETTI E FILM INCOMPIUTI
01
“Una fiaba invernale” di Arnold Fanck (Ein Wintermärchen, 1927)
02
“Il gatto nero” di Arnold Fanck (Die schwarze Katze, 1931)
03
“Mademoiselle Docteur” di Arnold Fanck (1933)
04
“Phenthesilea” di Leni Riefenstahl (1939)
05
“Eleonora Duse” di Leni Riefenstahl (1939)
06
“Van Gogh” di Leni Riefenstahl (1939)
07
“I diavoli rossi” di Leni Riefenstahl (Die roten Teufel, 1959/1954)
08
“La figlia di Jorio” di Leni Riefenstahl (1951)
09
“Cime eterne” di Leni Riefenstahl (Ewige Gipfel, 1954)
10
“Il ballerino di Firenze” di Leni Riefenstahl (Der Panzer von Florenz)
11
“Federico e Voltaire” di Leni Riefenstahl (Friederich und Voltaire)
12
“Tre stelle sul manto della Madonna” di Leni Riefenstahl (Drei Sterne am Mantel der Madonna, 1955)
13
“Sole e ombra” di Leni Riefenstahl (“Sole y ombra, 1955)
14
“Carico nero” di Leni Riefenstahl (“Schwarze Fracht”, 1956)
15
“Diario Africano” di Leni Riefenstahl (“Afrikanisches Tagebuch, 1962)
16
“I Nuba” di Leni Riefenstahl (Die Nuba, 1964)
DOCUMENTARI SU LENI RIEFENSTAHL
01
“Die Mach der Bilder” di Ray Müller (“La forza delle immagini”, 1993)
02
“L’Africa di Leni Riefenstahl” (2000)
03
“Leni Riefenstahl - La vetale del Führer” (nella serie “La grande storia”)

 

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


LIBRI SCRITTI O ILLUSTRATI DA LENI RIEFENSTAHL
Kampf in Schnee und eis (1933)
Schönheit im Olympischen Kampf (1937)
Die Nuba, 1973 (I Nuba, 1978)
Die Nuba von Kau, 1976 (Gente di Kau, 1977)
Korallengärden, 1978 (Giardini di corallo, 1979)
Mein Afrika, 1982 (La mia Africa, 1983)
Momoiren, 1987 (Stretta nel tempo – Storia della mia vita, 1995)
Wunder unter Wasser (1990)

 

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