“Buongiorno!” - esclamò l’inquilina dell’ultimo piano, ma Olga non le rispose. Raggiunse spedita la porta di casa, l’aprì e la richiuse accompagnandola sino al clic della serratura, quindi si diresse verso la cucina. Lungo il corridoio e passando attraverso un paio di saloni guardò in ogni stanza. Tosca non era ancora rientrata ed Olga tirò un sospiro di sollievo. Le piaceva quel silenzio, potersi dedicare in santa pace ai preparativi per il pranzo senza doversi preoccupare delle proprie sbadataggini. Tosca la teneva d’occhio, ogni occasione era buona per imporle la sua autorità, per ricordarle quanto fosse maldestra, insicura – stupida. Olga non la sopportava, se avesse potuto l’avrebbe mandata al diavolo.
Tosca apparve e lei dovette alzare lo sguardo dal tagliere: «Non ti ho sentita arrivare.»
«Lo sai che la porta non cigola più da quando le abbiamo oliato i cardini.»
«Già… Sei stata dal medico?»
«Sì.»
«Che cosa ha detto?»
«Pressione alta. Non avevo bisogno di lui per saperlo.»
«Tu sai sempre tutto…» – sospirò Olga imburrando una teglia, senza guardarla.
Tosca finse di non sentirla, giocherellò con la collana di perle per qualche istante quindi le chiese cosa avesse fatto quella mattina.
«Sono andata al mercato: ho preso il pane, un cesto d’insalata, melanzane e zucchine.”
«Lo sai che non mi piacciono.»
«Non sono per te.»
«La stai viziando.»
«Per favore, non ricominciare.»
Tosca annuì: «Come vuoi, Olga.» – si aggiustò i capelli e chiese se c’era un po’ di caffè. Olga le indicò il termos: «Dev’essere ancora caldo.»
Tosca se ne versò una tazzina, ne bevve un sorso, poi, appoggiandosi alla credenza, chiese: «Come mai hai preso la rubrica prima di uscire?»
«A cosa servirà mai una rubrica?!»
«Del tuo sarcasmo non so che farmene, cara. Ti ho fatto una domanda, aspetto una risposta.» – Olga continuò a sminuzzare le verdure in preda ad una vampata di rabbia – «Non mi piace che tu faccia le cose di nascosto. I patti erano chiari, mi sembra…»
«E va bene, va bene! Ho telefonato a casa degli zii per sapere come stavano ma non mi ha risposto nessuno – fatica sprecata…”
«Appunto – e per avere conferma che loro stanno meglio li chiami da una cabina telefonica? Il nostro telefono è troppo vicino al mio studio, per caso?»
«Se proprio la vuoi sapere tutta, sì, il nostro telefono è davvero troppo vicino al tuo studio, alla tua camera, insomma, al tuo orecchio!»
«Mi chiedo cosa avete mai da dirvi…»
«Non è questione di cosa, ma di dove, ed io esigo che il telefono venga spostato nell’ingresso! Anzi, esigo di avere il mio telefono personale, in camera – d’altro canto non capisco perché tu ce l’hai ed io no…”
«Perché la bolletta la pago io e il telefono è mio, quindi ne faccio quello che voglio!»
Le due donne si guardarono dritte negli occhi, una stizzita, l’altra infuriata, ma ognuna preferì non andare oltre - Olga ricominciò a sfaccendare e Tosca decise di prendere una boccata d’aria in giardino.
Dopo una mezz’ora Tosca tornò in cucina. Naturalmente Olga se ne accorse ma la ignorò. Allora Tosca aprì il forno ed assaggiò le melanzane: «Squisite…» – disse sapendo che ad Olga avrebbe fatto piacere sentirselo dire e subito aggiunse - «Certo che come le fai tu nemmeno la tua povera nonna…»
Olga divenne diffidente: non era da sua madre farle dei complimenti, non gratuitamente almeno. Decise di non darle peso: «Mi è sempre piaciuto cucinare ma la nonna era una cuoca straordinaria qualsiasi cosa facesse.» – s’infilò i guanti – «Ti spiacerebbe preparare la tavola? La tovaglia pulita è fra i panni da stirare…»
Tosca la trovò facilmente, la stese sul piano di marmo, sistemò piatti, bicchieri e posate, prese dal frigo la brocca con l’acqua fresca, una bottiglia di vino bianco e si sedette di fronte alla figlia. «Stavo pensando…» – Olga sporzionò le melanzane guardandola di sottecchi – «e se comprassimo uno di quegli apparecchi, come li chiamano? Sai, come quello della pubblicità, quello senza fili…»
«Un portatile?»
«Eh, lui!»
«Preferisco avere un telefono in camera.»
«Olga, il portatile lo possiamo portare dove ci serve, è più utile…»
«Sarà più utile a te, a me basta di averne uno in camera.»
«Pensiamoci bene, Olga…»
«D’accordo, facciamo così: se tu rinunci al tuo telefono io rinuncio al mio!»
«Non fare la testarda, lo sai che non lo sopporto!»
«E tu smettila con le tue prepotenze: spadroneggi sempre, ti approfitti di me…»
«Io? Approfittarmi di te? Ma se ti ho sempre protetta!»
«Protetta un corno!»
«Modera le parole, Olga!»
«Con la scusa che il babbo stava male mi hai scaricato addosso tutte le responsabilità: “Bada tu alla nonna che io devo uscire”, “pensa tu alle faccende che io ho da fare”, provvedi tu a tutto che io mi faccio i fatti miei!»
«Se non ci fossi stata io, se non mi fossi rimboccata le maniche, se non avessi sopportato quel che ho dovuto sopportare, non so come sarebbe andata a finire! Di che ti lamenti? Non t’è mancato niente, Olga, e se vivi nell’onorabilità lo devi a me!»
«Tu mi hai negato la possibilità di fare delle scelte mie!»
«E tu credi davvero di non avermi tolto nulla?»
«Niente che tu non fossi disposta a perdere.»
Tosca posò la forchetta, prese fiato: «A causa tua sono stata umiliata, ho dovuto rinunciare ad un futuro sereno e soddisfacente. Niente al mondo potrà restituirmelo. Niente al mondo potrà risarcirmi del prezzo che ho pagato per averti generata.»
Olga ingoiò il boccone senza masticarlo. Tosca si alzò gettando il tovagliolo sulla tavola e se andò in giardino sbattendo la porta.
Olga finì di mangiare, con calma. Gli occhi gonfi di pianto ed una gran voglia di fuggire via, di lasciarsi alle spalle quella galera, quell’inferno. Si fece coraggio dicendosi che, nonostante tutto, non si era ancora piegata, non aveva ceduto, ancora poteva combattere sua madre e il pensiero che non sempre usciva perdente da quelle scaramucce la rincuorò. Era solo questione di aspettare il momento giusto: prima o poi le avrebbe inferto una delle sue feroci stoccate e allora… Sorrise, lavò i piatti e mise sul fuoco la caffettiera: «Lo vuoi il caffè?», disse sporgendosi dalla finestra e Tosca annuì senza smettere di trafficare intorno ad una camelia. Poco dopo la raggiunse in giardino: «Ti ho messo una puntina di zucchero.»
«Il dolcificante è finito?»
«Sì.»
Rimasero in silenzio a lungo, una strappando erbacce e l’altra sfogliando distrattamente una rivista.
«Sono belle le tue piante…» – disse Olga infastidita dal continuo andirivieni di sua madre.
«Bellissime.» – puntualizzò Tosca continuando a trascinare vasi e conche nel ghiaino.
«Certo che ne hai tante quest’anno…»
«Ma no, Olga, è una tua impressione – però è vero che rispetto all’anno scorso sono fiorite più in fretta e meglio.»
«Troppo.»
Tosca rinunciò a spostare un vaso troppo pesante, si mise le mani sui fianchi e guardò sua figlia: «Credi?»
«Ne sono convinta, anzi, penso che dovresti levarne qualcuna.»
«Perché?»
“Perché se non lo fai tu lo dovrò fare io.»
«Non ti azzardare…»
«Vedrai…» – Olga fece un mezzo sorrisetto davvero irritante.
«Il giardino è di tutte e tre!»
«Appunto. Nessuno ti vieta di piantarci quello che ti pare, ma se permetti io ci voglio passeggiare senza dovermi fare strada a colpi di machete! Le tue stupide piante stanno invadendo il vialetto.»
«Dimentichi che del giardino mi sono sempre occupata io…»
«Bene, allora sai cosa fare.»
Il resto del pomeriggio lo trascorsero ignorandosi: Olga stirò, Tosca mise ordine nella sua biblioteca e verso sera s’incontrarono in veranda per riposarsi.
«Sabato è il compleanno del Marchese Filitosa Dalla Torre – la Marchesa ci ha invitate.»
«Che carina.»
«Potresti indossare quell’abitino che hai comprato il mese scorso. È un po’ troppo giovanile, forse, ma ti sta così bene.»
«A quale ti riferisci? Ne ho acquistati due…»
«Entrambi eccentrici, Olga, uno vale l’altro. Ancora tè?»
«Sì, grazie.» – Tosca le riempì la tazza ed Olga vi aggiunse un poco di latte - «Te ne presterei uno volentieri, mamma, ma temo che la mia taglia non ti stia più, ormai.»
«Eh sì, cara Olga, da quando hai deciso di deliziarmi con i tuoi manicaretti pseudomacrobiotici ho difficoltà persino ad andare in bagno.»
«È proprio vero, mamma, in quanto a parsimonia sei davvero imbattibile.»
E da quel momento non si rivolsero più la parola fino all’ora di cena.
«Non capisco come possano non piacerti le zucchine.»
«Per la stessa ragione per cui a te piace il vino e a me no, suppongo.»
«Lo sai che ne bevo un bicchierino appena durante i pasti.»
«Che puntualizzazione sciocca – che c’entra?»
«È a te che dispiace se ne bevo.»
«A me non dispiacerebbe, ma a volte esageri. Una bottiglia a pranzo ed una a cena fanno due bottiglie al giorno. Troppe.»
«Ah, è una questione di quantità…»
«No, è soltanto una questione di tasso alcolico – quando bevi sei intollerabile.»
«Anche papà beveva ed anche lui diventava intollerabile ma non mi sembra che tu gliel’abbia mai impedito…»
«Il fatto che tu non sappia tenere la lingua a freno su certi argomenti dimostra quanto inutilmente io abbia tentato di educarti…»
«Quanto sei ipocrita, mamma…»
«Olga!»
Ma la discussione fu interrotta dall’arrivo improvviso e inatteso di Arianna: «Beh? Ma possibile che non vi si possa lasciare sole che subito ne approfittate per scannarvi?» - Arianna si diresse verso Olga – «Ciao, ma’…» – la baciò su una guancia, quindi raggiunse Tosca – «Buonasera, nonna…» – e la baciò sulla fronte – «Cosa avete preparato di buono?»
«Zucchine ripiene per voi e l’avanzo delle melanzane al forno di oggi per me.» – precisò Tosca indicando la teglia quasi vuota.
«Dov’è il problema?» – Arianna era di buon umore – «Uhm, che fame…»
«Il problema è che tua madre ha deciso di rendermi la vita impossibile!»
«No, mamma, il problema sei tu con i tuoi puntigli e le tue assurde recriminazioni!» – replicò Olga chiudendo il discorso seccamente.
«Su via, quante storie… Mi passereste il tegame?» – Arianna si riempì il piatto e cominciò a mangiare di buona lena.
«Mangia piano e mastica bene altrimenti non digerisci e poi dormi male…» – le raccomandò Olga tagliandole una fetta di pane.
«Beh, non mi chiedete com’è andato l’esame?» – chiese Arianna a bocca piena.
«Oddio, Arianna, ce n’eravamo proprio diment…»
Tosca interruppe la figlia bruscamente: «Te ne sarai dimenticata tu, io no di certo!» – e poi, rivolgendosi alla nipote: «Allora, cara, raccontaci…»
Arianna si pulì la bocca, bevve un sorso di vino e sebbene avesse perduto un po’ dell’entusiasmo con il quale era giunta a casa, iniziò il suo breve ma significativo racconto: «È stato fantastico. Io e il professore abbiamo discusso per un’ora, poi si è alzato, mi ha stretto la mano e mi ha chiesto: “Trenta va bene secondo lei?”, “Altroché” gli ho risposto e lui mi ha invitata a pranzo!»
«Non capisco cosa ci sia di fantastico in un vecchio marpione che circuisce una studentessa… E tu?» – chiese Olga alquanto costernata.
«Beh, ho accettato – che dovevo fare?»
«Arianna!» – sbottò Olga – «Ti sembra normale il tuo comportamento? Posso capire lui (per quanto discutibile, un uomo non si tira mai indietro di fronte ad una bella ragazza), ma tu, tu…»
Tosca intervenne con durezza: «Olga, non fare una delle tue solite scenate melodrammatiche. Tua figlia ha accettato un invito a pranzo dal suo professore e poiché, se non sbaglio, la tesi di laurea la dovrà discutere proprio con lui, trovo la cosa oltremodo opportuna.»
«Non t’intromettere!» – Olga stava per perdere il controllo. Arianna se ne accorse, capì che la discussione rischiava di trasformarsi in un violento litigio, uno di quelli dove madre e figlia finivano immancabilmente per sputarsi addosso tutto il veleno del quale erano capaci: «Va bene, va bene! Lo chiamo e disdico – tutto qua, fine del chiasso!»
Un grande silenzio riempì la stanza. Le tre donne erano in piedi, una di fronte all’altra, mute. Gli occhi di Tosca ed Olga pieni di rabbia, di rancore. Quelli di Arianna pronti al pianto. Sarebbe bastata una scintilla o molto meno, ma Tosca ebbe il buon senso di chiedere un po’ di caffè…
«Lo preparo io, nonna…»
«Non occorre, Arianna, la caffettiera è già pronta, basta metterla sul fuoco.» – le disse Olga crollando a sedere, esausta. Poi si versò del vino, lo bevve tutto d’un fiato e quasi sotto voce aggiunse: «Sono fiera di te, Arianna…», ma Tosca la interruppe chiedendo che il caffè le fosse portato nello studio e se ne andò.
Poco dopo Arianna raggiunse sua nonna: «Posso entrare?»
«Ma certo, figliola, entra.»
«La caffeina ti fa male e tu ne abusi, nonna. Dovresti moderarti.» – le disse porgendole la tazzina fumante.
«Cos’altro mi è rimasto? Tua madre adesso ha deciso che le danno noia persino le mie piante… Pensavo che il tempo l’avrebbe migliorata, che con la maturità certi estremismi sarebbero spariti, mi sbagliavo…»
«Il tempo e l’esperienza non servono a niente se non si vuole cambiare.»
«Credimi, Arianna, anche se a modo mio voglio bene a tua madre… Certo, non nego che abbia sofferto, ma al tempo del tuo concepimento lei era poco più d’una ragazzina, cosa dovevo fare? Ho dovuto proteggerla, le ho impedito di commettere delle sciocchezze – erano altri tempi, Arianna, sono state scelte difficili, dolorose, umilianti per entrambe…»
Arianna l’ascoltava standosene seduta sul bracciolo d’una bella poltrona, le braccia puntellate sulle ginocchia, il mento appoggiato sui pugni chiusi, dubbiosa: «Ci sono molte cose che non capisco, nonna.» – disse passandosi una mano fra i lunghi capelli rossi.
«Cioè?»
«Penso che dovreste provare a parlare, dovreste chiarirvi. Cosa ve lo impedisce? Perché fra voi c’è tanto rancore?»
«Quello che dovevamo dirci è già stato detto, più d’una volta. Adesso faremmo meglio a starcene zitte – fiato sprecato.» – Tosca si appoggiò allo scrittoio alzandosi dalla sedia con fatica, tagliò corto – «Dovresti andare a dormire, domani sarà una giornata importante, se non ricordo male…» – Arianna finse di non capire – «Sono vecchia, bambina mia, ma non del tutto rimbecillita. Non hai ancora disdetto il tuo appuntamento e non lo farai. È giusto, sei abbastanza grande per badare a te stessa, per fare liberamente le tue scelte. Olga è cieca come una talpa, non capisce che il suo comportamento può metterti nei guai molto più di quanto possa farlo chiunque altro. Gioca bene le tue carte, Arianna, e dì a quello sfrontato del tuo professore che Tosca Malpigli, tua nonna, manda tanti cari saluti al suo vecchio padre.»
«Nonna!» - Tosca non le aveva mai detto di conoscere personalmente quella famiglia. Arianna era stupita, senza parole – avrebbe voluto saperne di più ma siccome sua nonna adorava prenderla in giro, dovette accontentarsi di una maliziosa strizzatina d’occhio.
«Buonanotte, Arianna.» – concluse Tosca trattenendosi per non mettersi a ridere, e lei che ci cascava sempre: «Ma nonna…»
«La nonna è stanca e non intende attardarsi… Ti spiacerebbe chiudere la porta quando esci?»
«Ho capito, uffa, ho capito - buonanotte!»
Arianna se ne andò, senza risentimento. Più d’una volta le sue domande erano rimaste senza risposta. Sua nonna l’aveva abituata a certe burle, sapeva che per lei quello era un gioco irresistibile, ma allo stesso tempo sentiva che c’era una zona oscura nella quale non le era permesso entrare e in cui, forse, stagnavano verità inconfessabili. Fra Tosca ed Olga c’era un sentimento molto simile all’odio. Le divergenze d’opinione e di carattere, da sole, non potevano giustificarlo. Tutto quel battibeccare, quello scannarsi per un nonnulla, quei silenzi improvvisi quando Arianna si frapponeva tra loro, non potevano che essere causati da un conflitto assai più grave o irragionevole – Arianna lo sapeva ma preferiva non indagare, non più di tanto, almeno. Se qualcosa le tacevano di certo era per il suo bene – non aveva ragione di dubitarne, quindi non era il caso di preoccuparsi. E così rimuginando andò in salotto dove trovò sua madre intenta a rovistare in un cassettone.
«La nonna è andata a letto?»
«Sì… Cosa stai cercando?»
«Vecchie fotografie. Volevo riguardarle insieme a te ma non ricordo più dove le ho messe…»
«Hai guardato nella cassapanca?»
«Già, che stupida...» – Olga corse ad aprirla e vi trovò la vecchia scatola di latta nella quale conservava i suoi piccoli ricordi – «Eccole…» – poi, sottovoce – «Tua nonna le sue le ha nascoste non so dove…» – estrasse una manciata di stampe in bianco e nero, ingiallite. Alcune avevano il bordo sfrangiato come usava una volta, altre erano incorniciate di bianco, in certe vi era una dedica o l’indicazione di un luogo, una data o un nome – «Dio, com’eri bella…» – sospirò – «Qui non avevi neppure un anno eppure eri già così grande!» – finalmente rovesciò il contenuto della scatola sul tavolo: una biglia di vetro colorato rotolò sul tappeto, un ricciolo di capelli rossi rimase impigliato ad una scheggia di ruggine, un quadrifoglio fece capolino ma subito sparì in quella gran confusione di oggetti e figure d’altri tempi. Ogni volta che Olga trovava una fotografia di sua figlia esclamava: «Guarda!», oppure «Vedi?» - e giù a raccontare storie che Arianna sapeva a memoria, ma poi le capitò fra le mani una foto strappata rimessa insieme piuttosto malamente e allora smise di sorridere, si ammutolì, sbiancò.
Arianna non aveva mai fatto caso a quella fotografia. Sbirciò, ma era ridotta talmente male che poté distinguere soltanto la figura di un uomo che le parve assai alto e ben vestito: «Chi è?» – chiese allegramente, senza rendersi conto del mutamento di sua madre.
«Non… non capisco…» – balbettò Olga.
Arianna alzò lo sguardo verso di lei e nel vederla così pallida si allarmò: «Insomma, mamma, si può sapere che succede? Chi è quell’uomo e da dove salta fuori?»
«Non lo so, Arianna… Questo, questo… Beh, questo è un vecchio conoscente di tua nonna…»
«E perché se è un vecchio conoscente della nonna la sua foto è tra le nostre? Lo conoscevi?»
«Di vista, Arianna, lo conoscevo solo di vista…» – Olga frugò nella sua mente. No, Quella foto lì dentro non c’era mai stata. Non aveva ragione di esservi e poi, comunque, tutte le fotografie nelle quali era ritratto quell’uomo le aveva distrutte tanti anni prima, o almeno credeva di averlo fatto… L’unica persona che poteva averne salvata una era sua madre, ma perché si era presa la briga di farle una cosa simile, cosa sperava di ottenere?
Olga sentì lo sguardo di Arianna aggirarsi fra le sue carte. Pensò che non poteva permetterlo: «Beh, ora basta.» – disse fingendo di aver perso qualcosa e come se parlasse fra sé aggiunse: «Ma dov’è finita?»
«Cosa?» – chiese Arianna che si faceva distrarre facilmente.
«La tua biglia di vetro…»
«L’ho vista cadere…» – e senza pensarci due volte si tuffò sotto il tavolo per cercarla. Olga accartocciò la foto e se la mise in tasca, fulminea – «Trovata!» – esclamò Arianna tirandosi su.
«Grazie, sei il mio angelo adorato.»
Arianna sorrise, fiera di sé. Olga ripose la biglia e tutto il resto in fretta, spinse con forza il coperchio contro il bordo della scatola e gliela porse: «Arianna, ti spiacerebbe rimetterla a posto? È tardi e poi mi è venuto un terribile mal di testa. Le foto le guarderemo un’altra volta, va bene?»
Arianna capì che sua madre era più che turbata, era spaventata – non l’aveva mai vista così. «Ma certo, mamma, non ti preoccupare… Sembra anche a me che tu non stia bene, vuoi che ti prepari qualcosa di caldo?»
«No, no, stai tranquilla. Adesso vado a coricarmi e vedrai che domani starò meglio…» – si alzò e la baciò dolcemente – «Mi raccomando, Rinny, non stare alzata fino a tardi e ricordati di chiudere il gas prima di andare a letto…» – le disse con quel tono di voce che sapeva incantarla.
«Ma certo, mamma…»
«Buonanotte, cara.»
«Buonanotte.»
Il mattino seguente, come di consueto, Tosca, Olga e Arianna si ritrovarono in cucina per fare colazione.
«Mio Dio, che brutta cera avete stamattina!» – esclamò Tosca versandosi una tazza di caffè – «Nottataccia?»
«Accipicchia, ho dormito malissimo…» – disse Arianna soffocando uno sbadiglio.
«E tu, Olga, come mai quella faccia?»
«Perché è l’unica che ho, mamma» – rispose Olga scrutando negli occhi sua madre.
«Per favore, vi dispiacerebbe rimandare le ostilità a quando me ne sarò andata?» – disse Arianna mostrando tutto il suo disappunto.
«Ma certo, cara, non preoccuparti, con tua nonna ho tempo sino a stasera per chiarire una certa faccenda – vero mamma?»
«Non capisco a cosa ti riferisci…»
«Non lo capisci, eh?»
«No, Olga, ti garantisco che quel che mi dici mi è totalmente incomprensibile.»
«Non lo capisco nemmeno io, mamma. Sei sicura di star bene?» – chiese Arianna costernata.
«Potrei star meglio, credimi, molto meglio.» – e dopo qualche istante di silenzio – «Beh? Dov’è finito il vostro appetito?» – quindi lasciò cadere alcune fette di pane tostato sul tavolo e se andò senza dare alcuna spiegazione.
Tosca e Arianna si guardarono. Arianna allargò le braccia e Tosca le sorrise: «Finisci la tua colazione, Arianna, non è il caso di darle importanza.»
«Cosa le è preso?»
«Non ne ho idea, ma lo sai com’è fatta…»
«Anche ieri sera era strana: è stata tranquilla sino ad un certo punto, poi è saltata fuori quella fotografia e…»
«Fotografia?»
«Sì, l’abbiamo trovata in mezzo alle altre ma io non l’avevo mai vista. La mamma dice che era la foto di un tuo conoscente…»
«Ah, capisco. Su, spicciati, altrimenti farai tardi.» – e senza aggiungere una sola parola continuò a sorseggiare il suo caffè.
Arianna finì di mangiare, si lavò e vestì, quindi salutò in fretta le due donne e corse via.
Madre e figlia rimasero sole.
«Ebbene?» – chiese Tosca accendendosi una sigaretta.
«Dove hai trovato quella foto?»
«Quando le distruggesti riuscii a salvarne una.»
«Per quale ragione?»
«Pensai che forse un giorno avresti dovuto raccontare la verità a tua figlia e lei avrebbe voluto vedere la faccia di suo padre.»
«E perché hai fatto in modo che la vedesse prima che questo avvenisse?»
«Perché ho aspettato tanto quel momento, ma siccome non arrivava…»
«Hai pensato di intervenire personalmente, d’intrometterti – come al solito!» – Olga aveva alzato la voce, era infuriata.
«La storia del “vecchio conoscente” non l’ha convinta ed anche la balla di un padre morto in guerra tre giorni prima del matrimonio comincia ad essere poco convincente – non tornano i conti e poi tua figlia non è una stupida!»
Olga ebbe un mancamento ma reagì: «Io non le dirò un bel niente e giacché ti sei presa il disturbo di ficcare il naso in faccende che non ti riguardano più, ti consiglio di stare alla larga da mia figlia perché mi potrebbero scappar dette certe tue schifezze che non credo le piacerebbero…»
«Le mie schifezze sono inscindibili dalle tue, non dimenticarlo!»
«Appunto!»
«Appunto cosa? Tua figlia ha il diritto di sapere! Basta, sono stanca del tuo rancore, della tua codardia, della tua ostinazione! Hai delle responsabilità, non meno di me…»
«Cosa c’entra Arianna?»
«Niente ed è proprio per questo che dobbiamo dirle la verità – perché capisca e con ciò possa finalmente scrollarsi di dosso il peso dei nostri silenzi, delle nostre menzogne…»
«Fallo tu perché io non ho la presunzione di credere che sia meglio così, nossignora, io non lo credo affatto…»
«Certo che lo farò! Speri forse che ne avrò il coraggio?»
«Ma credi davvero che dopo potrà ancora guardarci in faccia? Credi davvero che tutto tornerà come prima? Devi essere diventata completamente pazza…»
«La pazza sei tu, Olga, così pazza e cieca da non renderti conto del male che le stai facendo.»
«Ah, adesso capisco che cosa stai cercando di ottenere: hai escogitato questo piano diabolico per portarmela via, per spingerla ad odiarmi – ma pensa che beffa se ti desse quel che meriti, se ti ricacciasse nell’inferno da dove sei venuta!»
«Mamma!» – Arianna comparve all’improvviso, pallida, spaventata.
Olga sentì che le gambe non l’avrebbero sorretta, sentì che sarebbe crollata come un burattino cui avessero tagliato i fili.
Tosca socchiuse gli occhi, inspirò: «Non avrei mai voluto che accadesse in questo modo, ma tant’è…»
Olga sbatté i pugni sul tavolo: «Se lo fai t’ammazzo!»
E Tosca, sfidandola apertamente: «Che aspetti?»
Arianna si precipitò fra le due donne, le guardò con durezza, infine intimò loro di smetterla. Olga, forse intimidita da quel tono di voce così risoluto e inusuale per sua figlia, parve soccombere e rassegnarsi al peggio. Crollò a sedere. Tosca le chiese cosa avesse sentito di quella discussione…
«Tutto, tranne quello che dovrei sapere già da un pezzo…»
«È vero, Arianna, certe cose si dovrebbero saper prima, un poco alla volta…»
Arianna la interruppe: «Adesso è tardi per farsi degli scrupoli…»
«Hai ragione, è tardi – non si torna indietro…»
Olga afferrò il braccio di sua figlia: «Per carità, Arianna, non farlo – non chiederle niente…»
«Mamma, io voglio sapere.»
«Ti prego, non crederle… Sono tutte bugie, invenzioni…» – Olga era pronta a negare l’evidenza pur di difenderla da quel terribile segreto, ma Arianna non era più una bambina: guardò sua nonna e le fece un cenno con il capo.
«D’accordo, come vuoi…» – Tosca si accese una sigaretta, inspirò avidamente una boccata di fumo e cominciò: «Tuo nonno, come sai, ci lasciò molto presto. Olga aveva dodici anni, io trentacinque. Ero ancora giovane, forse bella. Avevo bisogno di un uomo che si prendesse cura di noi, che fosse capace di colmare il vuoto nel quale mi ero trovata quasi improvvisamente. Quell’uomo, evocato, dopo dieci anni d’assenza apparve dietro al feretro di suo fratello…» – Arianna non poteva credere alle sue orecchie: suo nonno aveva un fratello e lei non ne sapeva nulla…
Olga si strinse la testa fra le mani, disperata.
Lo sguardo di Tosca precipitò in un abisso imperscrutabile.
Arianna vide l’esile figura di sua nonna stagliarsi in controluce, avvolta in un alone di fumo e luce.
«Da principio la sua presenza mi fu solo di conforto, poi, giorno dopo giorno, mi divenne indispensabile. Certo non era attraente come tuo nonno, ma almeno non aveva le sue idiosincrasie: non beveva, non era violento, era gentile, premuroso – in apparenza l’uomo migliore del mondo e invece…»
Olga, ormai incurante della presenza di Arianna, non riuscì a trattenersi: «Tu giudichi senza pietà ma dimentichi che non fu lui ad allontanarsi da te, già prima ci avevi abbandonati. In realtà non t’importava nulla di nessuno e neanche t’importava del mio dolore, della mia solitudine – non ci vedevi, non mi capivi…»
Tosca rimase in silenzio qualche secondo, poi riprese a parlare: «Olga, ci sono cose che non sai ed altre che non ti ho mai detto. Il rapporto con tuo padre non fu semplice, men che mai felice. Probabilmente non mi aveva mai amata e non mancava di dimostrarmelo. Così, quando morì, dovetti ammettere d’esserne contenta e questo senso di liberazione, per altro parziale perché tu non te n’eri andata con lui e rappresentavi un legame indissolubile con il passato, m’inebriava e mi spaventava insieme. Mi sentivo malvagia e vulnerabile. Mi sentivo divisa a metà fra i sensi di colpa e il desiderio di fuggire via, lasciarvi alle mie spalle…»
«Avresti dovuto parlarmene.»
«Eri una bambina…»
«Sì, ma sapevo che ti stavo perdendo – lo sentivo…»
«E comunque, a parte la storia con tuo padre, tutto il resto non l’avevo capito nemmeno io, non chiaramente, almeno.» – Tosca le offrì una sigaretta ed Olga l’accettò senza rendersi conto che per la prima volta le permetteva di fumare in sua presenza – «Ma quando lui entrò nelle nostre vite tutto cambiò. Non molto tempo dopo morì tua nonna e finalmente potesti dedicarti allo studio senza dover badare ad altro, senza sbattermi in faccia continuamente le tue richieste, il tuo malessere…»
«Che c’era ancora, come e più di prima, solo che tu eri occupata, avevi altro da fare: le gite al lago, gli inviti a teatro e lui che stava sempre in mezzo… Mamma, ho cercato di farti capire che mi mancavi, che ero infelice, mi sentivo sola, ma niente, tu non c’eri, non c’eri mai per me. Non contavo più nulla, ti davo solo fastidio…»
Tosca l’ascoltò a testa bassa, annuendo – poi, impietosa verso se stessa, franca come mai prima, si rivolse ad Arianna: «È vero, ma per me che non mi occupavo più di tua madre, quello fu un periodo tutto sommato felice. Mi sembrò che persino lei avesse ritrovato un certo equilibrio, una certa serenità… Improvvisamente smise di osteggiarlo…» – Olga implorò sua madre di fermarsi ma Tosca non la sentì – «Sì, in loro accadde qualcosa che io avvertii ma non riuscii a capire. Solo una mente malata avrebbe potuto supporre che erano divenuti amanti... Dio mio, il fratellastro di mio marito, un uomo di quasi cinquant’anni e una bambina di quindici... Arianna, ti giuro che per quanto io stessa vivessi nell’ignominia mai il mio pensiero arrivò a tanto. Non mi resi conto di nulla ed anzi, interpretando quelle strane attenzioni reciproche come manifestazioni di un affetto innocente, giunsi persino a favorirne la vicinanza…»
«Lo amavo…» – disse con un filo di voce Olga, chinando il capo ormai incapace di sostenerne il peso.
«Un amore innaturale, certo, come il mio del resto. Non so come accadde, ma perdemmo in un sol colpo inibizioni, pudore, la ragione ed il timor di Dio…»
Olga la interruppe ancora, piena di risentimento: «Dio lascialo stare dov’è, mamma – non hai il diritto di fartene scudo!»
«Ti ostini a non voler capire. Quello che rende impossibile un dialogo è che io ho smesso di attribuirti responsabilità che non ti appartengono, ma tu nemmeno ci provi. Lo so, Olga, sono stata io ad innescare quel diabolico processo e nessuno meglio di me conosce le ragioni che ci segnano e condizionano l’esistenza ma, credimi, le abbiamo pagate care le nostre colpe. Ora basta. Cerca di avvicinarti, vienimi incontro...» – Tosca distolse lo sguardo da sua figlia e nuovamente si rivolse ad Arianna – «Vedi, parlare di umiliazione, ripugnanza, tradimento e abbandono è riduttivo per entrambe. Quando scoprii che tua madre mi aveva estromessa e in questo modo, inconsapevolmente punendomi per le attenzioni che le avevo negato, persi il controllo di me stessa. Avrei voluto ucciderli, cancellare per sempre la storia delle nostre vite, ma non ne fui capace, mi accanii nella vendetta…» – Tosca continuò a parlare osservando senza vederlo il volo di una rondine – «Rispedii tuo padre alla sua famiglia e rinchiusi tua madre in un istituto. Non volevo più saperne nulla e pagai perché si prendessero cura di lei tenendomi completamente fuori dalla sua vita. Avevo tentato d’infliggerle una punizione che fosse peggiore di quella alla quale mi aveva destinata…»
«E ci riuscisti. Mi chiedo se ti sei mai resa conto del male che mi hai fatto…»
«Certo e il tuo male era anche il mio ma allora non potevo saperlo.»
«Ho sperato che lo fosse, mamma, ma quello che mi facesti fu talmente cattivo che per sopravvivere mi adattai all’idea di averti perduta, preferii pensarmi orfana piuttosto che figlia tua…»
Una gran tristezza s’impossessò di Arianna ed un dolore acuto attraversò il cuore di Tosca. La prima guardò fissa una goccia di condensa scivolare lungo il vetro azzurrognolo della brocca d’acqua e pur non avendo sete si riempì il bicchiere sino all’orlo. L’altra strinse forte i pugni, fronteggiò il dolore, quindi nuovamente udì se stessa parlare: «Dopo cinque anni di silenzio ricevetti una lettera in cui mi si informava che pochi mesi dopo il suo arrivo aveva partorito una bella e sana bambina…» – Arianna dovette nascondere le mani che improvvisamente avevano cominciato a tremare, vide il suo riflesso nello sportello della credenza distorcersi, sentì le parole di sua nonna sovrapporsi, echeggiare in lei come se tutto fosse divenuto irreale – «Mi si ingiungeva, inoltre, di provvedere ad entrambe giacché l’istituto non era più in grado di farlo. Pregai la Madre Superiora di avere pazienza. Vendetti tutte le proprietà, scelsi un luogo ove la nostra famiglia fosse del tutto sconosciuta ed acquistai questa casa. Cos’altro potevo fare?!» – Tosca sorrise di sé, Arianna ricordò le belle giornate di sole trascorse nel chiostro del convento, il pianto di sua madre mentre implorava Suor Ildegarda di non mandarla via – «Avevi sei anni quando ti vidi per la prima volta. Eri timida e scontrosa. Parlavi poco. Avevi timore di me. Ricordo d’essermi sentita a disagio. La tua esistenza smentiva e confermava tutto quello che era avvenuto. Attraverso te i sentimenti peggiori e i peggiori accadimenti si annullavano e vivificavano. Non mi ci volle molto per capire che il conflitto nel quale mi dibattevo nasceva dall’orgoglio e dalla vergogna…»
«Volevi conquistarne l’affetto per continuare a ferirmi!» – esclamò Olga.
«Sì, all’inizio forse. Poi, però, cominciai a volerle bene sinceramente… Arrendermi a lei era come ammettere di avere, almeno in parte, accettato le mie responsabilità, la mia parte di torto…» – Tosca guardò sua figlia con insolita dolcezza – «Era ammettere di amarti, Olga, nonostante tutto – e di aver sbagliato. Come potevo sopportarlo? Come potevo perdonarti, come potevo perdonare me stessa?»
«Mamma…» – Olga sentì che era sul punto di esplodere ma Tosca alzò la mano come per chiederle di aspettare.
«Essere madre per la seconda, prima ed unica volta – solo questo potevo tollerare. Sublimare così l’amore che non volevo riconoscerti e nuovamente punirti per il tuo tradimento… Dio, che mostro sono stata…» – ancora Olga dovette reprimersi. Tosca le aveva posato una mano sulla spalla e facendo una lieve pressione le impediva di muoversi – «La tua presenza, Arianna, avrebbe dovuto acuire l’odio, rinfocolare il rancore e invece ti vedevo crescere, stupita e ammirata osservavo da lontano i tuoi lineamenti così simili ai nostri ed un unico desiderio s’impose sugli altri: recuperare il tempo perduto, darti quello che non avevo dato a tua madre e gioire di te, delle tue conquiste, della tua piccola vita…» – rimase in silenzio qualche istante, immersa nei suoi pensieri, poi guardò le due donne e aggiunse: «Ci somigliamo tanto noi tre…» – una lacrima le scivolò lungo il viso e ad Olga quel pianto parve la cosa più bella che avesse mai visto.
Finalmente si abbracciarono. Tosca esitò, infine trovò il coraggio di passarle una mano fra i capelli: «Avevo dimenticato quanto mi piacesse farlo…».
Arianna le osservò quasi senza respirare, incapace di violare quell’attimo di ritrovata intimità – quindi sentì la tensione allentarsi, il volto distendersi, sentì ogni parte del suo corpo trasfondere tutta la comprensione che provava per quelle donne miserabili eppure a loro modo magnifiche.
Capì che l’unica cosa che desiderava era vederle sorridere.
Tutto il resto, ormai, non aveva più alcuna importanza.

|