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Aggiornato Sabato 29-Set-2007


Chiederti se si muore?
- Dolce crudeltà –
Certo, ma a un’altra ora.

Così lavora il pazzo suicida:
Uccide di sé la vita
Per sanare in sé la morte.


  …Cosa v’importa di cadaveri
E guanti e fratelli adottati –
E delle mie attese
Che v’importa?


“E mentre le palpebre si schiudono come grandi cuori assetati di sangue, ecco che per amore ti do l’immortalità – uccidendoti. Tu – che per paura non parli, che sbigottita sgrani gli occhi – tu – che amo e desidero con tutto me stesso – non potrai sfuggire alla generosità della quale sono indegna mente e dolce abbraccio. Ecco il dono migliore: una lama sottile e poche stille di sangue a suggellare in eterno il batticuore. Non temere, non t’agitare – sarà bello dopo ed ora non fa male…”

Ciò accadde e nulla poté fermare quel gesto omicida, l’infinita follia d’essere più che un amante, d’essere, attraverso il sacrificio dell’amata, l’amore stesso – incarnato e palpitante in due cuori che sono uno.


Arianna tendeva il suo filo
Dal bandolo al primo lembo.
A ritroso, amore mio, a ritroso –
È così dolce lasciarsi morire.


Molti anni erano trascorsi.

Il tempo si era fermato quel giorno ed anche la vita. Senza alcun pudore ogni cosa avevo preso ad ingiallire e odorava di muffa e s’era coperta d’un pesante strato di polvere giacché nulla veniva spostato e mai, da allora, si aprì la finestra. Le tende serrate a perpetuare l’eterno riposo della giovane sposa – quadri, mobili, fotografie, profumi e belletti: un tutt’uno uniforme senza più identità, né storia.

Gli ultimi giorni che l’uomo ebbe a scolpire per sé, gli parvero assai più lunghi del solito. L’immobilità rassicurante di quel tempo senza tempo, cominciò a vacillare e in lui s’insinuò un’ansietà ch’egli non riusciva a ricordare.

Le ultime ore furono davvero terribili. L’innocuo ticchettio di un vecchio orologio da taschino rallentò la sua corsa, si amplificò tanto da somigliare al rintocco greve di una campana che suona a morto, ma egli non aveva mai pensato alla morte e quell’oscuro presagio lo stupì, spaventò. Certo, si era preparato sin dal primo momento ad una sicura partenza, quindi aveva preparato la valigia, si era infilato il paltò e si era seduto nell’ingresso appoggiandosi il bastone, i guanti e il cappello sulle ginocchia. Aveva atteso paziente il tempo di partire, sulle sue labbra non si era mai spento lo strano sorriso di chi sta per andarsene, nel suo sguardo senza vita correva l’immagine continuamente ripetuta di un orizzonte vuoto al quale si giunge dopo un lungo viaggio cominciato chissà dove, ma non aveva mai sentito il fischio del treno, né mai il brusio del mondo gli era parso così vicino al suo orecchio, minaccioso.

Ma durante gli ultimi minuti la bocca assunse un’espressione contorta, una smorfia disarticolata come se i denti avessero, in un masticare lento, quasi impercettibile e apparentemente indolore, cominciato a mangiare ciò che gli stava intorno – a partire dalla lingua. Le pupille si dilatarono e ben presto divennero un profondo buco nero dal quale qualsiasi mostruosità o meraviglia avrebbe potuto effondersi o implodere, senza fragore.

Così fu.


Stanotte la luna
È pallida in volto
Come una Madonna

“Chi parla di miracoli mente,
Una sola occasione ancora
È menzogna e burla –
Ma io sono solo un bestemmiatore”

La Madonna aveva un amante.


L’uomo si alzò e raggiunse la stanza ove orrore e contemplazione avevano brindato allo stesso calice. Una crepa implacabile irruppe lasciando dietro di sé fitte screpolature. Nessun polverio si levò, né l’uomo udì scricchiolii o colpi sordi alla porta.

Sul letto una veste nuziale di seta annerita, dentro, ancora immobile nell’atto disperato di levarsi, un corpo d’ossa e pelle avvizzita, ancor più grigia e misera della vita che vi era trascorsa. Dalle profondità del cuscino, due abissi di tenebra spiavano quel presente del tutto identico ad ogni passato e futuro. Improvvisamente egli se ne avvide. Si precipitò alla finestra e nell’aprirla un’orda di luce gli crollò addosso trasformandosi nella sua ombra.

L’ossessivo ripetersi niente altro fu che uno scrigno prezioso nel quale egli aveva protetto e glorificato le sue inestinguibili vanità.

Lo scrigno finalmente s’aprì soffocandogli l’ultimo, inutile respiro.

 

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