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Aggiornato Sabato 29-Set-2007

 

DICEMBRE
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Tutto a posto. Lascerò la segreteria telefonica inserita. Ufficialmente sono a Berlino per questioni di lavoro. Non ho voglia di mangiare, vado a letto.

 

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Accidenti a quell’imbecille di un postino! Che io ci sia o no, per lui è la stessa cosa - adora il mio campanello. Niente posta, comunque. Torno a letto.

* * *

Una bella doccia ed un ottimo caffè bollente, ecco cosa ci vuole. Oggi fa davvero molto freddo.
È caduta un po’ di neve e il Natale è così vicino ormai...


• •


«Sei pronta per la sorpresa?»
«Quale sorpresa?»
«Non fare domande. Sei pronta?»
«Ma... e va bene, va bene, sono pronta.»
«Ecco, allora siediti sotto l’albero e chiudi gli occhi... Ah, ti ho vista sai?! Non provare più a scuriosare, altrimenti non se ne fa di nulla!»
«Uffa, si può sapere cosa stai combinando?»
«Taci e non guardare.»
«Sei la solita burlona, scommetto che è uno scherzo...»
«Sbagliato. Apri gli occhi...»
«Accidenti, sembri davvero...»
«Piccoletta, sei stata buona quest’anno?»
«Beh, un po’ e un po’, signore.»
«Uhm, vedo che sei una bimba onesta e allora se mi prometti che cercherai di migliorare... Dunque, vediamo cos’ho per te nel sacco... Carbone, un paio di scarponi... No, questo è per il giardiniere, questo è per la cuoca... Ah, ecco! Guardami bene e ripeti la formula magica: Oh, Babbo Natale...»
«Oh, Babbo Natale...»
«Io ti amo da impazzire…»
«Io ti amo da impazzire...»
«E non desidero dalla vita altre che te...»
«Nessun’altra che te...»
«Buon Natale, amore mio.»
«...Ma è un’orchidea, un’orchidea nera!»
«Beh, non è proprio nera...»
«Ti amo - ti amo come non ho mai amato prima.»
«Anch’io...»
«Zitta, non parlare - non adesso.»

 

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Sono a pezzi. Questo silenzio martella le tempie ed io sono così stanca... Rileggerò “Il pozzo della solitudine” - ero poco più di una bambina quando lo lessi la prima volta... Il tempo è passato, non il dolore.

* * *

Ha telefonato mia madre, dice che non devo fare sciocchezze, che è preoccupata - dice che ha saputo ed è dispiaciuta che, nonostante tutto, sono pur sempre sua figlia, che... Dio, ho il vomito.

Mamma, solo tu sai avvilirmi così - la tua voce, le tue parole, ogni tuo gesto mi offende. Smettila di torturarmi, lasciami in pace - lascia stare la mia vita, non ti appartiene più...


• •


«Dio, che vergogna. Che schifo! Ah, se fosse vivo tuo padre!»
«Mi rifiuto di ascoltare una sola parola ancora!»
«Tu non hai il diritto di rifiutare nulla! Hai gettato nel fango il buon nome che porti, non ti sembra abbastanza? Cosa ti abbiamo fatto per meritarci questo?»
«Non chiederlo a me, mamma. Me ne vado.»
«In tutto questo tempo hai mentito - oh, sì, mi ero accorta che qualcosa non andava in te, ma mai avrei immaginato...»
«Sei un’ipocrita, mamma. Non puoi negare di aver sempre saputo chi e cosa io sono...»
«Sta zitta!»
«Guardami una buona volta, ma guardami veramente come non hai mai fatto prima: io sono una parte di te e dell’uomo che hai amato - io vi somiglio!»
«Come puoi parlare così, come puoi… Quella tua amichetta, dimmi, anche lei è come te? È a causa tua che ha lasciato il marito e i figli?»
«MAMMA! Ora basta, ora basta davvero. Vado via con o senza la tua approvazione - temo di non averne bisogno. Alle tue amiche puoi dire che è stato tutto un errore, che sono morta, anzi, che non sono mai nata...»


• •


Alla radio hanno recensito il mio ultimo libro, pare abbia un discreto successo. Bene.


• •


«Un attimo di attenzione, prego… Questa sera ho l’onore e il piacere di presentarvi una grande promessa, un astro nascente… Signori…»

Applausi, strette di mano, sorrisi – ma io non ricordo un solo volto, un solo nome…

«È un vero piacere poterla incontrare…»
«I suoi racconti sono commoventi…»
«A quando il prossimo successo?…»
«Ci venga a trovare, saremo felici di…»

Tutto è accaduto improvvisamente – in altre circostanze, forse, nemmeno me ne sarei accorta.

«Vieni via, altrimenti ti mangiano viva e a me non rimarranno che briciole!»
«Sei uno stronzo, me lo potevi dire che c’era tutta questa gente.»
«Ti conosco bene, amica mia: se te lo avessi detto non saresti mai venuta.»
«E allora sei stronzo due volte.»
«E dai, non fare quella faccia… Allegra, bimba, goditi il meritato successo e bevi un po’ che ti fa bene!»
«Lo sai che sono astemia…»
«Appunto!»
«Dio, inceneriscilo!»
«Dopo, dopo… Vieni, ti voglio presentare una persona… Ma dove diavolo si è cacciata?»
«È un’altra delle tue stupide trovate?»
«Sei scortese, malfidata ed enormemente antipatica stasera, ma questa volta io non c’entro – l’idea è stata sua.»
«Sua di chi?»
«Della tipa che stiamo cercando!»
«No, mio caro, della tipa che stai cercando tu, perché io non sto cercando proprio nessuno ed ora, se non ti dispiace…»
«Ah, eccoti finalmente! È un’ora che ti cerco…»

Bellissima, era semplicemente bellissima. Ebbi subito come un senso di vertigine, di profondo smarrimento. Lei sorrideva e parlava senza smettere di guardarmi. Per un attimo interminabile tutto il mondo smise d’esistere… Sentivo il suo sguardo naufragarmi dentro e null’altro vedevo, solo i suoi occhi intinti di verde e color caramello…

«Ce ne vogliamo andare? Questo posto mi deprime.»
«Buona idea, ma…»
«Conosco un localino molto particolare: ottima scelta di vini e musica, ciarlare discreto, pochissimo andirivieni… Pensa che possa fare al caso nostro?»
«Senza dubbio! Cominciamo, però, col darci del tu, perché tutte queste formalità mi rendono nervosa e ancor più goffa di quel che sono…»

Rise divertita e finalmente, guardando altrove, mi lasciò libera di arrossire…

«Capita anche a me, non preoccuparti… Vieni, passiamo dal retro.»

Mi prese per mano e piano, senza fretta, scivolammo lungo le strade di una città che mai prima di allora mi era parsa così magica e quieta. Passeggiammo parlando del più e del meno, scherzando come due vecchie amiche, annusando i profumi della sera, respirando forte forse per la paura di non sentire più battere il cuore… Lei sapeva bene dove andare, ma io non me ne accorsi quella sera. Dietro il separé era già tutto pronto…

«Maledette scarpe…»
«Levale.»
«Ma tu come fai a sopportarli?»
«Cosa?»
«I tacchi!»

Rise ancora, lasciando allo stupore e al piacere che provavo il compito di espugnarmi…

«Abitudine, credo…»

Ah, quegli occhi! Mi fissavano e ridevano… Ridevamo entrambe, spensierate, ubriache d’emozione e gioia. Un’ora, due, tre – tutta la vita un’amarena stretta fra i denti, pronta per essere colta come un fiore… Dio, con la lingua o due dita appena rubarla a quelle labbra in rossa carne vibranti!

«…E così gli cadde in testa anche il barattolo pieno di vernice!»
«Ah, ah, ah… Mai sentita una storia tanto assurda!»
«Ancora Champagne?»
«Sono un po’ brilla, ma ne bevo volentieri un altro sorso.»

Nella precarietà del gesto, urtò il suo flüte già colmo…

«Scusami, sono un disastro…»
«Ma no, non è niente…»
«Aspetta, ti aiuto…»

La sua mano, esile, nodosa e pallida, scivolò lentamente lungo la mia giacca – esitò, quasi tremante, infine si trasformò in una carezza di seta che mi fece rabbrividire.

«Perché mi hai voluta conoscere?»
«Non lo so, ho seguito l’istinto – è la prima volta che mi succede, forse non avrei dovuto.»
«Sei delusa?»
«No. E tu?»
«È stata una magnifica serata…»

Improvvisamente divenne malinconica...

«Ma tu stai tremando, hai freddo?»
«No, non è il freddo. Abbracciami qualche istante, forse passerà.»

La strinsi forte a me, con naturalezza – rassegnata, ormai, ad un’irrazionale certezza d’incombente amore…

«Vuoi andare a casa?»
«No, vorrei solo che il tempo si fermasse. Perdonami.»
«Perdonarti? E di cosa dovrei perdonarti?»

Alzò il viso e schiuse un poco le labbra lasciando che gliele disegnassi con la punta delle dita…

«Non capisco e ho paura, ma…»

Non posso dimenticare la dolcezza infinita di quella notte, la passione con cui mi amò. Eravamo due, ma finalmente una. Eravamo appagate, complementari, affini – arrese allo stupore, ebbre d’amore.

Eravamo felici, così terribilmente felici una nell’altra.


• •


Il campanello ha suonato a lungo, infine ha taciuto. Ho atteso qualche minuto, quasi un’eternità, poi non ho più resistito e sono corsa alla porta ma chiunque fosse se n’era già andato. Non un messaggio, un indizio. Ho tagliato i fili. Quell’aggeggio infernale ha smesso di suonare, per sempre.

 

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Sto male. Mi sono svegliata in preda ad un attacco di panico. Devo aver fatto un brutto sogno, a volte ne faccio di orrendi. Prenderò un paio di sonniferi. Sono stanca di tutto questo rumore. Non faccio altro che pensare, pensare, pensare…

 

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Finalmente ho dormito. Oggi va meglio. La neve ovatta l’aria, rende tutto irreale e morbido. Ho freddo - e fame…

 

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Ricostruirò il dolore, tassello dopo tassello - non sarà difficile. Metterò un po’ d’ordine, troverò il bandolo, ovunque sia…


• •


«Ho bisogno di riflettere.»
«Nei tuoi occhi c’è una luce nuova che non conosco e non mi piace.»
«Me ne vado per un po’. Non so quanto starò via, in ogni caso, qualsiasi cosa accada, non cercarmi – lo farò io quando sarà il momento e se ne avrò l’occasione. Non posso e non voglio dirti altro. Non farmi domande, ti prego. Sei un buon amico, il migliore che abbia, il più importante – ti devo molto e non mi basterebbe una vita intera per sdebitarmi…»
«Smettila, mi fai paura.»
«Ah, amico mio – sapessi quanto male ho dentro…»
«Il tuo male è anche il mio – non lo capisci?…»
«Lo so ed è anche per questo che ho deciso di andare…»
«Ma la casa, il lavoro…»
«Tutto sistemato, non ti preoccupare. Non lascerò niente d’intentato o incompiuto. Non è facile, ma è necessario. Abbi fiducia. Ne uscirò, vedrai... Adesso vai, però – vorrei rimanere sola.»
«Ci vediamo domani?»
«No, parto stasera. Va via, ti prego.»
«Va bene, se è questo che vuoi – vado.»
«Addio. Addio, amico caro.»
«A presto, bambina... Mi raccomando, non fare stronzate…»
«Certo, sta tranquillo, ma va via, vai via adesso…»

 

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Sola. Finalmente sola a combattere contro la voglia di correre a cercarla. Chiusa qua dentro per trovare la forza di dire basta o tornare nel mondo - risorta.

* * *

È arrivata una lettera…

 

Cara, cara amica… Dove sei, cosa fai?

Sì, lo so, mi hai chiesto di non cercarti, ma da quando sei partita si è scatenato l’inferno: tua madre, per esempio, mi è venuta a cercare, piangente e pentita per quello che è successo fra voi – le ho dovuto dire, anche se in una versione abbondantemente rivista e corretta per l’occasione, la ragione di questa “fuga” tanto repentina quanto inspiegabile… Non avevo altra scelta, sai quanto è tenace.

E poi c’è il tuo Editore, quello sì che è infuriato! Non riesce a capire perché gli hai restituito il contratto, dice che ci sono le penalità, che potrebbe chiederti i danni, che è personalmente offeso e una montagna di altre castronerie molto simili a questa.

Gli amici mi tempestano di telefonate e persino il lattaio è in pensiero per te…

Insomma, quest’aria da 007 in vacanza che ti sei creata intorno, non mi rende la vita facile e, soprattutto, non la renderà facile a te quando e se tornerai!

Fa qualcosa, onnipotente Regina, tutti aspettiamo in gloria il tuo ritorno (in modo particolare io e sai che non mento).

Certamente leggerai queste righe (ti conosco, mascherina, e sono pronto a scommettere che te ne stai segregata in casa a leccarti le ferite), ti prego, dunque, di rispondermi, o quantomeno sbriga alla svelta le tue faccende!

Ti abbraccio e bacio.

 

Povero amico mio, non posso tornare adesso, davvero, non posso. Devo ancora scendere, scavare, ancora non ho visto la fine del mio inferno… Ancora non è tempo.

* * *

Devo controllare la dispensa. Mangio troppo. Di questo passo non mi rimarrà nemmeno un etto di pasta. Ho quasi finito anche i farmaci.

Ah, se almeno riuscissi a scrivere, se almeno sapessi dov’è, cosa fa…


• •


«Che ne pensi?»
«Un buon lavoro.»
«Domani lo porto all’Editore, farà i salti dalla gioia.»

Eravamo tornate da due o tre mesi, il tempo necessario perché cambiasse aspetto, umore - era irriconoscibile ed io tremavo di paura, avevo il terrore che mi abbandonasse…

«Sono stanca.»
«Stanca? E di cosa?»
«Possibile che tu non capisca?»
«Cosa c’è da capire?»
«Sono stanca, stanca di stare nascosta – c’è il mondo là fuori, te ne sei mai accorta?»
«Quando ci siamo conosciute non sembrava che te ne importasse e comunque se questo è il problema, usciamo…»
«No, questo non è il problema…»
«Ah, ecco.»
(…)
«Vado via qualche giorno.»
«Vai via? E dove???»
«Parto domattina presto. Non occorre che mi accompagni.»
«Non occorre?»
«Sì, non occorre – e adesso, se non hai niente in contrario, vado a dormire… Ho una terribile emicrania.»
«Ma perché?… Dove vai, dove… Dio mio…»

 

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Ho riflettuto lungamente, ma ancora non riesco a capire. Forse avevo solo un disperato bisogno di dar corpo ad un’illusione, o forse, più semplicemente, è andata così e non è il caso di drammatizzare – ma in momenti come questo il solo pensiero che è in qualche posto e magari ride, ride di me, mi uccide.

In bagno, nell’armadietto, c’è la risposta e la soluzione ad ogni problema – basterebbe servirsene. Basterebbe un colpo di spugna e quest’infamia sparirebbe senza lasciar traccia, ma altre derive e verità mi attendono…


• •


«Li ho visti con i miei occhi!»
«Ma dai, forse stavano solo scherzando.»
«E lei ha fatto finta di non vedermi…»
«Magari è un’infatuazione passeggera.»
«Stavano lì, davanti a me, abbracciati!»
«Cerca di calmarti…»
«Oh, sì, abbiamo immaginato molte volte un mondo finalmente libero dai preconcetti, poter camminare fra la gente tenendoci per mano, non dover nascondere i sorrisi, limitare le parole – ma lei vuole farlo adesso, lei pretende da me cose che io non posso darle: non posso espormi, non posso cambiare la testa della gente! Possibile che sia così stupida da non capirlo? O ci sono in lei delle ragioni, dei motivi, dei limiti che ignoro? Se così è, io amo una sconosciuta, un’estranea – io venero una serpe…»
«Vieni, ti porto a casa.»
«Non occorre, non occorre più.»

E l’aspettavo sveglia. Notti intere trascorse spiando il silenzio, con lo sguardo rivolto ad una strada che non raccontava più i suoi passi. Abbracciata al suo cuscino, incapace di piangere, stordita, incredula, ferita, ho atteso per giorni interi che tornasse. Nella stanza il suo profumo, il suo muoversi felino e invisibile attorno al mio dolore, ma lei non c’era - altrove, anche a costo del mio sangue, stava conquistandosi il diritto all’esistenza.

 

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Ormai è trascorsa più di una settimana.

Di tanto in tanto guardo fuori, così, giusto per non perdere del tutto un contatto con la realtà – non ha molta importanza adesso, è solo un’abitudine che con i giorni guarisce.

Forse la pianterò di spiare l’aria che respiro, forse la smetterò di occuparmi del tempo nel momento stesso che avrò perduto anche l’ultima resistenza alla vita.

Ma ora è notte, bisognerebbe riposare – sognare…


• •


«Dormi?»
«No.»
«Qualcosa non va?»
«Ho paura che tutto questo finisca.»
«Cerca di dormire – le paure evocano.»
«Non posso, è più forte di me.»
«Non finirà, stai tranquilla – se mi ami non potrà finire.»
«Sì, io ti amo, ti amo davvero, ma…»
«Ssss…»


• •


Ho controllato la dispensa: è quasi vuota. Autonomia alimentare: cinque/sei giorni – forse una settimana. Se cominciassi sin da ora a razionare quel poco che è rimasto potrei arrivare a Natale, ma non ho nessuna intenzione di farlo. È giunto il tempo di prendere una decisione…


• •


«Cosa pensi di fare?»
«Darò istruzioni precise affinché non possa più mettere piede in casa mia.»
«E dopo?»
«Non lo so, potrei andare a trovare qualche amico, oppure cercare un dottore compiacente che mi procuri una bella quantità di barbiturici…»


• •


Un tempo ci giurammo amore e fedeltà. Mai, prima di allora, ci era parso tanto importante farlo – mai avevo sentito in me un così grande senso di pienezza ed armonia… Stronzate…


• •


«Credimi, sarà difficile.»
«Non m’importa.»
«Tu non hai mai fatto questa vita, non puoi sapere che cosa vuol dire nascondersi, mentire, fingersi diversi…»
«Ho te, il resto non conta.»
«Sei sicura di amarmi, di amare me? Sei sicura che ti basterà?»
«Ti amo, mi ami - cos’altro potremmo desiderare?”
«Qua è facile, questo è un paese libero. Quando torneremo non sarà la stessa cosa.»
«Lo so, ma non voglio rinunciare a svegliarmi ogni mattina accanto a te.»
«Stringimi forte, bambina mia, perché ho paura – una dannatissima, fottutissima paura…»

A volte odo la sua voce, allora mi volto di scatto e la colgo nell’atto di svanire. Mi dilania il rimorso di averle fatto male. Mi uccide il suo implorare un perdono che non ho saputo darle. Nel sangue consumammo il più straziante grido d’amore – ed ora mi sento vuota e confusa come se mi avessero strappato il ventre…

«Allora, hai deciso?»
«È un’idea assolutamente folle!»
«Non essere sciocca…»
«Ma dai, non è serio.»
«Come sarebbe a dire “non è serio” – che significa?»
«Non è serio e basta! Che senso ha andarsene così, di nascosto, improvvisamente… E poi, abbi pazienza, ma fa freddo qua, ti immagini al nord che gelo?»
«Ascolta, riempiamo le valigie di cappotti e partiamo verso i primi di Dicembre! Ho preso in affitto una casa vicino ad Amsterdam, un posto talmente incantevole che è proprio una fortuna che sia libero sotto le festività natalizie. Non possiamo tirarci indietro proprio ora, è già tutto fissato. Sarà bellissimo, vedrai – e ci divertiremo un mondo!»
«Ma perché?»
«È per starcene tranquille, libere di fare ciò che ci piace quando e come vogliamo!»
«Perché lì e non altrove? Che so, un’isola nel Pacifico… Palme, spiagge bianche, caldo…»
«Perché ho visto le fotografie ed è un posto così romantico che se ci penso mi viene da piangere… E dai, lo desidero follemente – oltretutto sei tu che ti lamenti sempre perché non possiamo stare da sole in santa pace… Insomma, se vieni ti sposo!»
«Che fai?»
«Ti sposo!!!»
«Ma via, non essere ridicola…»
«Non scherzo mica, ad Amsterdam due donne si possono anche sposare se lo desiderano… Ma ci pensi? Lady and Lady… che so… Smith!»
«Mi stai prendendo in giro, come al solito…»
«Ti dico di no… Ecco i biglietti e questo è l’indirizzo dove siamo attese nel caso tu voglia accettare la mia proposta…»
«Secondo me sei completamente pazza, ma questo viaggio, in fondo, è proprio quello che ci vuole… Ultimamente la gente chiacchiera troppo…»
«Appunto. Magari, se ce ne andiamo, si dimenticano di noi…»
«Bah, ne dubito…»
«Allora?»
«…E comunque non so se ti voglio sposare!»
«Ok, hai tutto il tempo per pensarci… Allora?»
«Uhm… Va bene, hai vinto. Quando si parte?»
«Fantastico, partiamo il 6!»

 

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Ha squillato il telefono e invece di andarmene in un’altra stanza non ho resistito: ho aspettato di capire chi fosse e ho risposto. Era quella piattola di “culo d’oro”. Gli ho detto che si faccia una bella sega alla mia salute e non rompa più le balle con le sue storiacce da scannatoio, i suoi insopportabili piagnistei. Mi ha risposto che le donne sono tutte uguali (visti i tempi mi trova abbastanza concorde) e che per lui se non ci fossimo sarebbe anche meglio (che novità!) ed io gli ho detto che non ho ancora capito se siano peggio le checche del suo stampo o gli squadristi che se ne servono come punching-ball: pur non negando di odiarle almeno ci scopano! Poi ho rincarato la dose: “Chiedi a tua madre se ti ha trovato sotto un cavolo o se ti ha portato la cicogna, imbecille!” – è scoppiato a piangere e ha tirato giù…

Sentirmi in colpa? E perché? Finalmente gli ho detto quello che pensavo già ai tempi del liceo, quando passava le mattinate a raccontarmi sin nei minimi dettagli le sue avventure ai cessi della stazione. È sempre stato un maschilista, misogino e separatista – peggio di così! Sognava il mondo frazionato in tre parti: da un lato le lesbiche, dall’altro i gay, in mezzo gli etero - i bisessuali, i trans e le traveste, invece, avrebbero corso da un capo all’altro del globo facendo la felicità degli indecisi, dei vigliacchi e degli adulteri. Demagogico e stomachevole, come sempre.


• •


«Non potete entrare.»
«Perché?»
«Non avete letto il cartello?»
«No, quale cartello?»
«Quello…»

ONLY FOR MEN
NO ANIMALS, NO WOMEN

 

«Ah, capisco… Prometto che uscendo non piscerò sullo zerbino, prometto che…»
«Dai, vieni via, lascia perdere.»
«Va bene, va bene, andiamocene...»

 

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Mi sono guardata allo specchio, era già un po’ che non lo facevo. Sono quasi irriconoscibile, faccio schifo. Al diavolo anche gli specchi e questa avvilente faccia di mummia…


• •


«Sei pallida.»
«Trovi?»
«Sì, zitta e pallida come una mummia. Cos’hai?»
«Niente.»
«Menti.»
«Ti dico che non ho niente.»
«Allora, se non hai niente, esco…»
«Dove vai?»
«Dal parrucchiere.»
«Anche ieri sei stata dal parrucchiere ed anche ieri l’altro.»
«Cosa fai, controlli o sei gelosa?»
«No, è che i tuoi capelli, nonostante il parrucchiere, sono gli stessi di un mese fa.»
«Già, è proprio bravo il mio coiffeur.»
«Già, dev’essere molto bravo… Quando torni?»
«Non so, forse per l’ora di cena, dipende…»
«Déjà vu, mia cara, déjà vu – non sei nemmeno originale, come sempre, del resto.»
«D’accordo, ho capito – non ho voglia di discutere… Ci vediamo domani, forse…»


• •


Oggi mi sento come se mi fosse passato sopra un treno. Mi è anche salita la temperatura, ma probabilmente avevo un po’ di febbre anche ieri sera. Proverò a dormire, magari poi starò meglio.


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«È la prima volta che prendo un aereo… Dio, che emozione!»
«E vedrai che posto! Sono certa che ti piacerà.»
«Promettimi che non mi lascerai mai…»
«Parola di boy-scout…»

Pareva una bimba ed io non mancavo d’amarla come certe madri e certi padri sanno fare… Un gioco, ecco cos’era, un tenerissimo gioco fatto di tante piccole cose, innocenti e tenere, che facevano così bene al cuore…

«Lasciala perdere, non è fatta per te… Non dovevo darle retta, non avrei dovuto presentarvi…»
«Non essere ridicolo, tu non c’entri.»
«Guarda che non lo dico tanto per dire – conosco te e conosco anche lei piuttosto bene… Credi davvero che il vostro incontro sia stato casuale? Ma neanche per sogno! Aveva preparato tutto sin nei minimi particolari: la passeggiata romantica, il localino discreto…»
«???»
«È andata così: mi disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per conoscerti, che se c’era una persona al mondo con la quale avrebbe voluto avere la sua prima esperienza, quella eri senz’altro tu e tu eri sola, scorbutica più del solito e l’idea di tramare nell’ombra per regalarti un’avventura non mi parve del tutto insensata… Che idiota: vi ho persino prenotato il tavolo!»
«Che hai fatto?»
«Me ne vergogno, ma tant’è… Giuro che mai avrei pensato che vi sareste prese tanto sul serio! Dammi retta, quella donna non ha la statura morale per reggere il peso di una vita come la nostra! È così ambiziosa, frivola, volubile – una foglia al vento costituzionalmente incapace di distinguere la differenza fra la terra e il cielo: è evidente che non prenderà mai una posizione univoca rispetto a questa vostra irrazionale, infantile pazzia.»
«Dice di amarmi…»
«Ci sono persone capaci di consumare nel giro di qualche minuto il più esagerato degli amori – ma l’amore non è una passeggiata in riva al mare, l’amore non sempre basta…»
«Mi ama.»
«Oh, sì, ti ama ed è vero come è vero che un giorno sputerà nel piatto dove avrà mangiato sino ad allora, con la stessa meravigliosa leggerezza, con la stessa sorprendente noncuranza!»
«Forse hai ragione, comunque ci voglio provare ed anche lei lo desidera.»
«D’accordo, e si può sapere cosa avete intenzione di fare?»
«Partiamo domani. Ho preso in affitto una vecchia casa vicino ad Amsterdam… Doveva essere un segreto, ma sono sicura che non ti scapperà detto…»
«Signore, tu che puoi tutto, ferma queste scellerate perché non sanno quello che fanno! Ma questo, mia cara, è un viaggio di nozze in piena regola, Dio, persino in luna di miele! Poi arriva la crisi del settimo mese quindi il tuo suicidio, di certo non il suo!»
«Non essere melodrammatico…»
«Ah, io non esagero e tu, in cuor tuo, sai perfettamente i rischi che stai correndo. Ma guardati, sembri una scolaretta alle prime armi! Non sei una bambina, sei una donna ormai, e per giunta una donna di talento! Hai fascino, grinta da vendere – puoi, anzi, devi pretendere di più! Ragiona, ti prego, guarda le cose così come sono, non come vorresti che fossero… Per lei non sei altro che un capriccio destinato a vita breve, motivo d’orgoglio perché ti ha conquistata con il solo aiuto del suo ammaliante savoir fair di donna pronta a tutte le esperienze della vita… Ma che bella storia, magnifica, un vero capolavoro! Don Giovanni non avrebbe saputo far di meglio, solo che lui, per quanto trasgressivo, è un personaggio consono, adeguato alla morale (e tutto è lecito quando si sta dall’altra parte della barricata), lei, invece, no – niente legalità, santificazione o glorificazione per gente come noi!»
«Sei duro.»
«Sì, duro, perché in quarant’anni di onorato servizio ne ho incontrati tanti di mascalzoni del tutto identici alla tua pupilla ed ho capito che se lo portano appiccicato addosso il tanfo nauseante della menzogna e sono pericolosi perché fanno tenerezza con i loro occhioni incerti o tristi, pieni di smarrimento o desiderio – un’irresistibile, insostenibile tenerezza. Prima ti innamorano, poi ti mollano senza darti spiegazioni accettabili. Sono abili collezionisti di carne umana – dell’anima non sanno che farsene, la gettano nel primo cassonetto che trovano. Sono vittime di loro stessi, vittime fors’anche felici del loro maniacale appetito. In quanto a me, beh, posso dire in serena franchezza che da un letto all’altro ho perso il pelo ma non il vizio, cosicché ancora affino il fiuto e rinforzo il callo!»
«Ah, mio dolce amico…»
«No, ti sbagli: patetico forse, dolce no – non più almeno…»
«Ti prego…»
«Ho imparato mio malgrado, che spesso sono proprio le novità più eccitanti e promettenti che invecchiano e danno problemi con il passar del tempo, che i facili entusiasmi corrono rapidi e molto rapidamente sbiadiscono… Sai cosa resta dell’innamoramento se non c’è amore? Nel migliore dei casi, niente, nemmeno uno schifo di saluto – altrimenti rancore, o peggio, odio… Perdonami, ho esagerato… Dio, come sono apprensivo, iperprotettivo… Magari mi sbaglio… Non ho il diritto di interferire, scusami, tu non devi rendere conto a nessuno delle tue azioni, men che mai a questo vecchio noioso, a questa zitellaccia inacidita che sono… Non è detto, perché io non ho avuto fortuna, che tu non possa averne… Al diavolo! Goditi sino in fondo questa storia, amica mia, succhia quando più amore puoi e danne sino a rimanerne senza… Cos’altro porteremo con noi, di là dalla vita, se non la sincerità dei nostri buoni e cattivi sentimenti? Tutto il resto è paccottiglia.»

Ah, quanta amarezza e disincanto, quanta speranza e verità in ognuna di quelle parole! Sì, mi facevano tenerezza quegli occhi che non smettevano mai di fissarmi – supplichevoli e inquisitori erano gli occhi della donna che amavo, m’inteneriva il suo rifugiarsi fra le mie braccia ogni volta che il mondo le voltava le spalle… Le mie braccia o quelle di chiunque altro: la stessa cosa per chi non appartiene a nessuno…

«Ci sono messaggi per me?»
«No, signorina, nessun messaggio.»

Ancora una volta se n’era andata. Il sudore e l’orrore avevano trasformato il mio viso – sapevo che prima o poi sarebbe tornata e non avrebbe avuto pietà. La cercai disperatamente per impedire che le crescesse dentro, alimentato dal tempo, nella lontananza, tutto quell’odio e quel rancore che già altre volte mi aveva fatto tremare…

«Scusa, per caso hai visto quella ragazza…»
«Chi, quella bionda con la quale esci già da un po’?»
«Sì, proprio lei.»
«No, mi spiace, è almeno una settimana che non viene da queste parti… Problemi?»
«No, no – niente.»
«Se la vedo le devo dirle qualcosa?»
«No, non importa…»

Non mi avrebbe chiamata, ne ero certa – i giochetti al telefono l’avevano stancata…

«Pronto?»
«Ciao, sono io.»
«C… ciao, dove sei?»
«Sono a casa di un’amica.»

Mentiva, lo sapevo, ma non me ne importava…

«Tutto a posto?»
«Sì, tutto a posto.»
«Scusami, ma non capisco.»
«Non c’è niente da capire. Sto male.»
«Ho fatto qualcosa che non dovevo?»
«Esisti, dannazione!»
«Continuo a non capire, spiegati! Spiegami perché te ne sei andata, senza avvertire, senza dare spiegazioni… Riesci almeno ad avere un’idea di come mi sono sentita e di come mi sento adesso?»
«Calmati…»
«Sono calmissima! Dico soltanto che non mi puoi fare a pezzi, non mi puoi buttare via come fossi roba vecchia… Per me tu non sei una qualsiasi, non sei solo un’amica – lo capisci questo?»
«…Vienimi a prendere, ti prego, ho bisogno di te…»

Il diabolico meccanismo era innescato ed io ero caduta nella trappola quasi senza accorgermene. Mi precipitai, come mi aveva chiesto. Ci abbracciammo e piangemmo come due bambine punite dal loro stesso dolore. L’amavo e anche lei, a suo modo, mi amava. Si trattava di battere un record, di testare l’altra per scoprirne i limiti, ogni volta mirando sempre più vicino al cuore, senza esclusione di colpi…

Questa volta non avrebbe telefonato. Sarebbe comparsa improvvisamente alle mie spalle e avrebbe provato a farmi saltare in aria il petto.

Sì, l’ombra del mio boia si muoveva lenta e cantava nenie agghiaccianti in mio onore, per amor mio…

 

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Finalmente! Dopo mesi di inutili ricerche, l’ho ritrovato… Eccolo qua, apparso dal nulla – non dev’essere un caso. Mio dolce, prezioso, piccolo Principe, tanto tempo fa qualcuno mi disse che ti somigliavo, per anni ho portato in me il dubbio e la speranza d’esserti sorella, oggi so che non siamo nemmeno lontani parenti… Disegnatemi una pecora, la mia rosa è in pericolo!


• •


«Buongiorno.»
«Buongiorno a lei, in cosa posso esserle utile?»
«Vorrei un’orchidea.»
«Un regalo?»
«Sì.»
«Lei è davvero fortunata, me ne è arrivata una stamani che la lascerà senza fiato…»
“Un’orchidea nera!”
«Non è proprio nera, è blu – difficilmente teniamo fiori così particolari…»
«È un peccato.»
«Già, un vero peccato…»
«Bene, me lo confezioni a dovere perché deve arrivare sino a stasera…»
«Oh, non si preoccupi, quest’orchidea è molto forte e non solo in apparenza!»

 

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Ancora posta…

 

Ormai ne sono certo: ti sei barricata in casa (è stata una grave imprudenza quella di rispondere al telefono, a “Culo d’Oro” poi, lo sai che quello è peggio di un colino! Complimenti, comunque, gli hai dato una lezione che se la ricorda finché campa)!

Ah, mi sembra di vederti, lì che ti crogiolo nel sangue delle tue stesse ferite – e piangi e batti i pugni e imprechi e sprechi… Sì, sprechi, mia cara ed ostinata amica, tante preziose energie inseguendo il ricordo di un miraggio.

Almeno tu sognassi (sognare di tanto in tanto fa bene) – e invece no, devi reggere la parte, interpretare il ruolo della vittima sacrificale, renderti succube del dolore, ma questa tragedia, mia cara, è patetica, ridicola, stantia. Amore e morte, morte e amore… Posso dirlo? Certo che posso, d’altronde non so tenere il becco chiuso - sei fuori moda e fuori luogo…

Inutile tapparsi le orecchie, inutile bluffare – nonostante tu abbia deciso di abbrutirti, eccoti lì: arrabbiata e giusta, talmente gonfia d’orgoglio che nulla ti potrebbe strappare alla tua vita e alla tua causa – ebbene, la tua causa è anche la mia (ahimè, che ho fatto di male?!) ed ora non ho più voglia di battermi da solo…

E se invece di contare le crepe del soffitto tu venissi a vedere cosa fa il tuo piccioncino?… Touché!

E se invece di affogare nelle lacrime tu ti cercassi una compagna con la quale fare un piacevole, rigenerante, simpatico viaggietto?… Touché!!

E se invece di perdere tempo meditando su come fare per lasciarci tutti, tu venissi ad uccidere quell’indemoniata di tua madre? (Con gli amici divido volentieri anche gli amanti, ma una madre è ben altra faccenda e della tua, ti giuro, posso e voglio fare a meno – a costo di tornare dalla mia!)

È necessario il tuo martirio?
Ne vale la pena?
Per chi?

Sì, lo so, non ti stai divertendo.
Sì, lo so, non sono divertente nemmeno io.
Sì, lo so, hai deciso di espiare le tue colpe…

E allora, d’accordo, l’hai voluto tu…

 

Amico, amico mio, tu hai ragione, tu sai leggere con chiarezza nel mio cuore… Affonderai la lama e questo è esattamente quello che voglio.

Fra qualche giorno, mai più finzione… Tra qualche giorno, certo, proprio come un anno fa…


• •


Li conservo negli occhi i dolci sorrisi trascorsi nella quiete e nell’abbondanza della vecchia casa vicino ad Amsterdam… Senza limiti recitavamo l’amore, senza limiti ci perdevamo una nell’abbraccio dell’altra…

«Ma questa non è una casa, è una reggia!»
«Uhm, non è male…»
«Non è male???»
«Beh, poteva andarci peggio…»
«Ma va… Corri, vieni a vedere il caminetto…»
«Aspetta, metto dentro le valigie e arrivo…»
«Accidenti, c’è persino la biblioteca… Ma tu lo conosci il fiammingo?…»
«Uff, ma cosa hai messo nelle valigie?… Che freddo… Lo accendiamo un bel fuocherello?… Che dici, lo accendiamo o no?… Ehi, ma dove ti sei nascosta?»
«Sono qui! Vieni a vedere!!!»
(…)
«Allora, che te ne pare?»
«Mai visto nulla di simile… Dormiremo qua?»
«Sì.»
«In questa stanza?»
«Certo.»
«Con il caminetto acceso?»
«Beh, se vogliamo evitare di congelarci…»
«Ma è magnifico… MA-GNI-FI-CO!!!»
«Lo sapevo che ti avrei accontentata… Sì, credo proprio che sarà una vacanza indimenticabile.»
«Comincio a crederlo anch’io…»
«Ma adesso basta giocare… Vieni che dobbiamo fare un mucchio di cose…»
«Capirai… Cosa?»
«L’albero di Natale, ad esempio… E poi disfare le valigie, tagliare la legna, preparare qualcosa per cena, accendere il fuoco…»
«Peggio che a casa… Sei un’inguaribile stacanovista, ma io ho un’idea migliore…»
«Giù le mani, scansafatiche! Senti, facciamo così: tu ti occuperai soltanto dell’albero, però, mentre vado a cercarne uno, prometti che disferai almeno le valigie?»
«Affare fatto…»

Finalmente sole… Appena arrivammo cambiò espressione, mi parve subito più bella, più donna e bambina al tempo stesso… Di quei giorni mi manca soprattutto la giocosità con la quale li vivemmo, la loro straordinaria semplicità.

 

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Ha smesso di nevicare. Ho staccato il telefono – ha suonato instancabilmente tutta la notte. Non so chi ha chiamato e non voglio saperlo. Ho finito il mio appetitoso cocktail di farmaci. E da domani dovrò fare a meno anche dei sonniferi.

Il cerchio si chiude, si chiude davvero…


• •


«Come stai?»
«…»
«Siamo alle solite, vero?»
«Sì, ancora.»
«Cos’altro è successo?»
«Non lo so… La prima volta se n’è andata ma poi è voluta tornare ed io l’ho riportata a casa. La seconda mi ha detto che era stanca di nascondersi, di provare vergogna, che voleva tornare a sentirsi “normale” – fui paziente, finsi tolleranza e comprensione… La lasciai andare e lei tornò dopo una settimana piena d’arroganza e succhiotti sul collo. La terza non disse niente – dieci giorni dopo me la ritrovai nel letto, sconvolta, distrutta. Ci amammo selvaggiamente, giurò e spergiurò, m’implorò di crederle: non se ne sarebbe più andata perché non amava altri che me ed era vero com’è vero che è andata via un’altra volta, che da due giorni la cerco senza riuscire a trovarla…»
«Tempo fa ti dissi come la pensavo, ti avvertii – ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, vero? Va beh, acqua passata… E adesso cosa pensi di fare?»
«Vorrei tornare indietro, ma… Tutto inutile, maledizione, è tutto inutile… Lei dice che non mi sopporta più, che è stanca, che “vorrebbe” ma è troppo difficile, che mi odia perché non riesce a fare a meno di me, che mi ha tradita mille volte e mille altre lo farebbe perché lei ha altri interessi, lei vuole altro dalla vita e… Dio mio, non ce la faccio, non ce la faccio più…»
«Tu sei l’unica che può mettere fine a questo massacro…»
«Dovrò decidere io per entrambe?»
«Temo di sì – lei è in grado di sopravviverti, ma tu, se non ne esci alla svelta, rischi di pagare un prezzo troppo alto…»

Sapevo che sarebbe comparsa improvvisamente alle mie spalle… L’ombra del mio boia scivolava lenta e cantava, cantava…

Sarebbe tornata, certo, e non avrebbe avuto pietà…

«Signorina, mi scusi, proprio non so come dirlo, ma… Vede, su, in casa sua… Ho provato a fermarla, ma… Insomma, non ha voluto saperne di andarsene!»
«Quando?»
«Non so, un’ora, forse due ore fa… Mi spiace, davvero… Forse avrei dovuto avvertire la Pol…»
«No, no, per carità, non si preoccupi, ha fatto benissimo – ci penso io, stia tranquilla.»

Lo sapevo, mi ripetevo che lo sapevo, che era tornata… Mentre salivo le scale cercavo di fermare il batticuore, la rabbia e la paura – cercavo la forza per non cadere nel baratro dei ricordi, della compassione, della pietà… Pregavo Iddio perché mi desse il coraggio di affrontarla, gli dicevo che era ingiusto, che tutto questo era atroce e lui non aveva il diritto di punirmi così, e per cosa poi, cosa avevo fatto di tanto cattivo… Le gambe mi reggevano a fatica e la voce che udii non mi sembrò la mia…

«Bene, cedo che il tuo parrucchiere ha fatto miracoli.»
«L’ho cambiato, non mi piaceva più.»

Se ne stava immobile, guardandomi dritta negli occhi – irreale e sconosciuta come il cadavere di un lontano parente del quale si è dimenticato persino il nome…

«La tua presenza in questa casa non è gradita, spero te ne renda conto.»

Quelle parole, Dio, di chi era quella voce così ferma e decisa – chi, al posto mio, recitava così bene le mie menzogne?…

«È colpa tua se non posso fare a meno di te!»
«Levati dai piedi…»
«Ah, ah, ah, ridicola, sei assolutamente ridicola! Vorresti farmi credere che non te ne importa più nulla di me?… Ah, ah, ah, divertente, davvero molto divertente! Ma non mi convinci, sai? Guardati! Non lo vedi che senza di me sei meno di niente?»

Non ricordo. Improvvisamente mi sentii risucchiare in un vortice e tutto girava, tutto perdeva consistenza: un susseguirsi frenetico di colori e suoni misti a vertigini e brividi di freddo… E poi caldo, tanto caldo… Un fuoco mi bruciava dentro, correva impazzito lungo le vene ed io lo sentivo correre e non riuscivo a capire, non riuscivo a fermarlo… Correva, correva… Fermati, fermati o mi scoppierà il petto!…

«Mi fai male, lasciami!… No, ma che fai… AIUTO, QUALCUNO MI AIU…»
(…)
«Fermatela – fermatela!»
(…)
«Presto, un’ambulanza – PRESTO!!!»
(…)
«Lasciatemi, lasciatemi…»

Quando riuscii ad aprire gli occhi, ero legata ad un letto. Ricordo il buio ed un odore pungente di etere, escrementi e vomito - voci lontane, parole sussurrate forse in un’altra stanza. Una terribile, impietosa risposta mi attendeva in fondo ad ogni domanda: quel vuoto nel quale rimbalzavo inerte… In una confusione che non so descrivere, il dolore del corpo e insieme quasi l’inconsistenza di esso, si mescolava al respiro e ad un senso di svuotamento… Mi sentivo incorporea, altro da me, sparpagliata nell’aria come il bisbiglio di quelle voci o l’alitare emozionato d’una madre che attraverso lo stetoscopio ascolta il suo piccolo sé divorarle il ventre…

«Come sta, dottore?»
«È ancora sotto l’effetto dei sedativi… Non penso che si riprenderà facilmente – ha subito un forte shock.»
«Come pensate d’intervenire?»
«La terremo sotto osservazione per il tempo necessario e comunque dovrà rimanere a disposizione delle autorità.»
«E l’altra?»
«Beh, tutto sommato le è andata abbastanza bene: tanto spavento, un labbro rotto, ecchimosi varie e un paio di costole incrinate. Poteva andarle peggio, mi creda, viste le circostanze molto peggio… Perdoni l’ironia, ma è la prima volta che mi capita un caso come questo.»
«Uhm… Posso vederla?»
«Non sarebbe permesso, ma se fa in fretta e cercherà di non stancarla, chiuderò un occhio.»

Uno spiraglio di luce tagliò in due la stanza… Strinsi forte i denti nel tentativo disperato e inutile di sparire, di morire…

«Ciao, mascalzona.»
«…»
«Come ti senti?»
«Non lo so… Cos’è successo?»
«Niente, stai tranquilla, adesso devi pensare solo a rimetterti in piedi…»
«Rimettermi in piedi…»
«Sì, al resto penseremo io e il tuo avvocato.»
«???»
«Non devi preoccuparti, lei sta bene – vedrai che tutto si aggiusterà.»
«Io… io…»
«Sta calma, non ti agitare… dottore! DOTTORE !!!»

Il suo volto mi spiava da sotto il sangue, trasfigurato e crudele. Eppure, sebbene quasi non lo riconoscessi, mi parve di ritrovarvi la dolcezza di un tempo… Sangue, quanto sangue – non sapevo che avesse quel colore, non immaginavo che fosse così denso… Me lo sentivo appiccicato addosso, ne sentivo l’odore, il sapore, e lei, da là sotto, continuava a prendersi gioco di me, continuava a provocarmi!

D’un tratto non seppi più nemmeno come mi chiamavo…


• •


A volte capita di commettere errori più gravi e numerosi del solito, senza riuscire a smettere, ma vi è un limite a tutto, tutto ha termine – poi arriva il momento di tirare le somme, fare i conti con le proprie responsabilità, pagarne le conseguenze. È così che sono entrata nel magico mondo degli psicofarmaci. Non so se merito quello che sto vivendo, se la pena è commisurata alle colpe, non so nemmeno se sono pronta a voltare pagina, se sarei capace di farlo, se ne avrei la forza. Sto cercando di capirlo.

Ogni mattina preparo il mio patibolo, ogni giorno rovisto nella ferita – perché vivo, delirante o indifferente, e cerco in me un equilibrio nuovo, nuove certezze e punti fermi sui quali ricostruirmi, un riferimento dal quale ripartire, ma ancora c’è rimpianto e rabbia, dolore – ancora mi avventerei sul suo viso per cercarvi la donna che ho amato e forse non è mai esistita…

 

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Comincio a star male sul serio: sudo e puzzo, ho crampi allo stomaco, tremo... Ecco, così, se sopravvivrò, potrò dire di sapere cos’è una crisi di astinenza… Bel vanto, non c’è che dire…


• •


«Rispondo io, non ti alzare! (…) Pronto?... Sì, dica pure a me… Ah, perfetto!... Appena si sentirà meglio l’accompagnerò personalmente… Certo, passerò dal suo ufficio… D’accordo. La ringrazio, avvocato. A presto. (…) Gran bel tipo il tuo avvocato… Che dici, lo invito a cena?»
«Ci mancherebbe anche questa… Che ha detto?»
«La denuncia è stata ritirata, ma devi ancora chiarire alcuni punti oscuri e fare un paio di firme.»
«È andata?»
«Eh, già, mia cara, a quanto pare ce l’abbiamo proprio fatta! E per festeggiare stasera si va a danser!!!»
«No, ti prego, non mi sento ancora pronta per uscire.»
«Poche storie, pigrona! C’è un sacco di gente che non vede l’ora di stringerti la mano e poiché da ora in poi nessuno oserà contraddirti, sarò veramente lieto di farti da accompagnatore!»
«Spiritoso…»
«E non solo, domani ti porto al mare!»
«Lascia stare…»
«Ma sembri uno straccetto slavato, urge un energico restyling!»
«Non ho nessuna intenzione di uscire…»
«Uhm… Oggi hai preso le medicine?»
«Sì.»
«Strano, a parte il tuo comportamento che mi conferma che stai benissimo, per il resto non si direbbe proprio… A me il polso! (…) Hai di nuovo la febbre…»

I giorni passavano, lenti, monocromi. Psicofarmaci e ricadute, dottori, avvocati e il mio buon amico che non mi lasciava mai, premuroso e comprensivo come solo lui poteva esserlo.

I giorni trascorrevano nel doloroso rimpianto dei momenti più belli…

«Ecco qua, c’è abbastanza legna per riscaldare tutto il Nord Europa… Uhmmm, che profumino! Non mi dire che hai preparato il caffè???»
«Certo, non sono così sfaticata come sembro.»
«Alleluia, domani nevica!»
«Antipatica.»
«Dai, vieni a vedere se ti piace quest’alberello…»
«Un po’ storto.»
«Che fai, ti vendichi?»
«Non lo vedi che pende?…»
«In effetti…»
«E gli addobbi?»
«Già, gli addobbi… Va bene: beviamo il caffè e poi andiamo in città – ce n’è di magnifici da queste parti!»
«Andiamo ad Amsterdam adesso?»
«Lo vuoi fare o no, l’albero?»
«Certo che lo voglio fare, che domande, ma...»
«E allora sbrighiamoci che non vedo l’ora sia finito!»

 

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Giù in strada c’è vita… Natale, lontano, triste Natale…

A volte mi pare di sentire i canti pieni di gioia dei bambini, altre risento le risate divertite di mio padre e lo vedo ancora mentre scarta i miei regali e quelli della mamma... Accovacciati sul tappeto del salotto, davanti al caminetto acceso, passavamo la notte intera a parlare – e scherzavamo, discutevamo sino al mattino senza mai stancarci, spensierati come fanciulli…

Ma quella notte mi parve stanco, greve. Si alzò, attizzò il fuoco e si sedette sul divano riordinando con dei leggeri movimenti delle dita i miei riccioli arruffati. Rimanemmo in silenzio, stranamente malinconici e cupi, rapiti dall’agitarsi crepitante delle ombre intorno a noi, commossi da quell’atmosfera così serena e familiare.

Mi strinse le mani e disse: «Non dimenticare mai questi momenti, non lasciare che il tempo li scolori – un giorno, quando li avrai perduti, ne capirai il senso e l’immenso valore. Ti regalo per tutto il tempo che verrà la magia e l’incanto di questa notte. Abbine cura, bambina mia, e sappi che, qualsiasi cosa accada, non ti lascerò mai, ti sarò sempre vicino…»

Fu il suo ultimo Natale.

Venti giorni più tardi un infarto se lo portò via…


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«Domattina vado in città molto presto, devo sbrigare alcune faccende importanti… Vuoi venire con me?»
«A che ora hai intenzione di alzarti?»
«Verso le sette, forse prima.»
«Troppo presto, non ce la farò mai!»
«Allora sarò silenziosissima…»
«Cosa devi fare?»
«Devo spedire un po’ di corrispondenza e poi voglio telefonare al mio editore… Lo sai quant’è apprensivo, se non gli confermo che il lavoro procede e sarà pronto come da accordi entro Marzo o Aprile, potrebbe avere una crisi isterica e allora tanti saluti, fine della bella vacanza!»
«Ah, vedo che rinunci al mio ottimo caffè per queste sciocchezze!»
«E se in cambio del tuo impagabile caffè portassi del panettone farcito al cioccolato ed una bottiglia di champagne?»
«Beh, per un panettone farcito al cioccolato ed una gigantesca bottiglia di champagne, potrei anche rinunciare al tuo buongiorno…»

Ma in realtà il mio programma era un altro: volevo che fosse un Natale speciale, volevo ricreare intorno a me, per lei, quell’atmosfera tanto amata che aveva riempito la mia infanzia. Affittai un costume da Babbo Natale e passai l’intera mattina per le vie di Amsterdam alla ricerca di un regalo degno del mio amore, della donna che amavo… Il resto è storia, un declivio di pazzia senza fine…

 

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Guardando dalla finestra, tra la folla che assediava il corso all’ora di punta, ho visto una figura riconoscibile fra mille, un corpo tenacemente aggrappato a sé. Il mio amico… No, non mi sono ritratta, non mi sono nascosta dietro la tenda… Non avrebbe avuto senso farlo… Se ne stava lì, immobile, con lo sguardo conficcato nel mio, senza sorridere, salutare, pietrificato, un poco incurvato dal vento e dal freddo – un po’ invecchiato, forse. Aveva in mano una busta. Malamente avvolta al collo, una sciarpa a quadri rossi. Mi è parso stanco, triste. Si è abbottonato il bavero del cappotto e, chinato il capo, mi ha voltato le spalle. Allora l’ho seguito con lo sguardo, passo dopo passo, sin tanto che ho potuto. Ha voltato l’angolo, risucchiato dal fragore, dal nevischio, nelle luci colorate delle vetrine, dal mio respiro appiccicato al vetro come un biglietto d’auguri venuto male ed è sparito oltre il tempo, fra le lacrime…

Sì, ho pianto - e ancora non riesco a smettere.

 

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Continuo a stare male, anzi, ad essere sincera più passano i giorni e peggio mi sento… Maledetti farmaci – dovrebbero aiutare, guarire e invece ammazzano! Questa è una follia, una stramaledetta, assurda follia…

Ho preparato i barbiturici. Sono pronta.


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«Non puoi continuare così… Va bene, ti senti in colpa, ti senti una bestia, ti senti stupida, ma pensi davvero di averla perduta per quello che le hai fatto? Ebbene, mia cara, l’unica cosa che hai perso in questo schifo di faccenda, è l’occasione di privarti definitivamente della sua devastante presenza!»
«Non torturarmi.»
«Sei tu che torturi me! Non ti posso vedere ridotta in questo stato. Non si può assistere impassibili allo sfacelo fisico e morale delle persone che amiamo e tu non puoi pretendere che io lo faccia!»
«D’accordo, hai ragione tu.»
«Eh, no, per Dio, questo tipo di ragione si dà agli asini o ai pazzi, non agli amici! Ma lo sai cosa sta combinando? Lo sai?»
«No, e non desidero esserne informata.»
«Troppo facile, mia cara, troppo comodo! Non me ne starò fra quelli che fanno finta di nulla per compiacerti o, peggio, per compiacere lei…»
«Ti prego…»
«Scopa, ecco cosa fa – si sta ripassando tutti i figli dell’alta società!»
«Sta zitto!!!»
«Li vuole di buona famiglia in modo da farsi introdurre nei migliori ambienti… Una puttana d’alto borgo, ecco cos’è!»
«TACI! Per amor di Dio, TACI!!!»
«È per amor di Dio che non taccio – è per amor tuo che non posso più star zitto! Ma quale psicologo e psicologo, ce l’ho io la terapia giusta per farti ragionare: prova a immaginarla mentre si fa montare dal figlio del tuo editore e vedrai che miglioramento!»
«???»
«Sì.»
«Dio…»
«E tutto questo lo sai perché? Dimmi, tu che nascondi la testa sotto la sabbia e ti ritieni responsabile e dici a me di star zitto – perché? Meglio puttane che lesbiche, ecco il perché!»
«Basta, ti prego…»
«Lo sanno tutti che eravate amanti, che l’hai circuita, che l’hai adescata e poi te la sei portata a letto! Mostro! Lo sanno tutti che s’è fatta incantare dal tuo successo, che l’hai costretta alla solitudine e all’isolamento… Lo sanno tutti che sei una lesbica, che le fai schifo come le fanno schifo tutte le donne, che sei malata e dovresti essere rinchiusa in un istituto per deviati, per invertiti! Pensa, hai persino tentato di ucciderla perché si voleva rifare una vita, ma lei non ti ha denunciata per pietà, per pietà di te! E adesso ringraziala, se ancora il vomito non ti ha strozzata, se ci riesci, ringraziala!!!»
«Mi amava, capisci, e a suo modo ancora mi ama…»
«Stronzate. Non è per amore che s’insozza l’amore – e comunque, anche se così fosse, chi le dà il diritto di distruggere la tua vita, chi e in cambio di cosa? Ma vada a farsi fottere e non rompa più i coglioni!»
«Io…»
«Perdonami, ti prego, perdonami – come al solito ho perso la testa, ho esagerato, ma non ne posso più, tutto questo è bestiale e ingiusto, Dio mio, così bestiale e ingiusto… Qualcuno lo dovrà pur dire, dannazione. Tu puoi farlo e allora, ti prego, rompi il silenzio – spezzalo anche per me.»

Io non ho nulla da perdonarti, amico mio, proprio nulla. Perdona tu, piuttosto, la mia mancanza di coraggio, perdona il silenzio nel quale ho costretto la verità, le nostre vite… Perdonatemi tutti, ma anch’io ho paura e a volte ne ho così tanta che finisco per dubitare d’ogni cosa, che preferirei morire piuttosto che continuare a vivere all’ombra di quest’enorme menzogna.


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Tutto è silenzio, adesso. La stanza, gli oggetti, i ricordi – un’ecatombe. Ammetto la sconfitta, ma nessuna battaglia è stata davvero combattuta. Di finzione in finzione, la fantasia supera la realtà, la precede e annuncia…

L’ho sognata – non ho smesso una sola notte di farlo – e le parole, i colori, le luci, i suoni e persino gli odori, si ricongiungono uno all’altro, uno dopo l’altro, come in un mosaico i tasselli di un abbozzo di figura…

Lo squallore, mia cara, questo ti regalo: lo squallore d’essere affini a chi deploriamo – simili al nostro carnefice, al nostro persecutore…

“Non dimenticare mai questi momenti, non lasciare che il tempo li scolori – un giorno, quando li avrai perduti, ne capirai il senso e l’immenso valore. Io ti regalo…” lo squallore e la crudeltà di questa notte, bambina mia, perché di entrambe sia la colpa e per entrambe autentica l’espiazione.

Disegnatemi una pecora, ve ne prego – la mia rosa sta morendo…

 

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Ebbene, mia cara, ecco quanto occorre tu sappia…

Domani, 25 Dicembre, alle ore 19.00, nella chiesetta proprio davanti a casa tua, la donna di cui sai, convola a giuste nozze con il figlio di un noto imprenditore, il quale, giacché se la scopa già da un pezzo, ha certamente trovato conveniente questo frettoloso quanto riparatore matrimonio.

Tra poco verrò da te, so che ti vedrò e poi piangerò come un bambino pensando a tutto il male che ti sto facendo… Ma sia ciò che deve e non se ne parli più…

Non lasciarmi, amica mia – in caso contrario, che Dio abbia pietà di noi.

 

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Il cuore mi scoppia, sembra quasi che voglia uscire dal torace per andarsene a spasso da solo… Ho rimesso in funzione il telefono e la segreteria. Non rimane molto tempo. Scriverò due righe a mia madre e al mio dolce compagno d’avventure…

Siamo cresciuti insieme, insieme abbiamo scoperto le nostre verità, insieme decidemmo che non ce ne importava nulla del mondo e della sua pazzia, credemmo veramente di poterlo cambiare.

Un tempo eravamo due aquiloni liberi nel vento, ora siamo soltanto due vecchi amici che si aggrappano disperatamente alla terra per non esserne privati, o sopraffatti.

Per quanti secoli ancora l’ignoranza e il preconcetto ci impedirà di elevarci sopra noi stessi, per quanto ancora negheremo l’evidenza?

Non torturate i vostri figli – non è colpa loro se siete diversi da quello che avreste voluto essere. Lasciate che crescano liberi. Lasciateli sorridere di quel che vogliono, lasciateli amare come meglio credono – non è affar vostro il loro cuore e non da voi dovrebbero difendersi…

 

 

DRRRIIINNN…

 

«C…ciao, sono io… Speravo di trovarti in casa, ci contavo, invece… Ho così tante cose da dirti, ma proprio non so da dove cominciare… Perdonami, amore mio, perdonami… Sono stata una stupida e mi vergogno profondamente di tutto quello che ho fatto… Adesso vorrei soltanto che tu mi fossi accanto, vorrei che tu mi portassi via da quest’inferno… Vorrei ricominciare daccapo, con te, ancora, ancora insieme… Ti amo, ti amo come e forse più di prima, non posso fare a meno di te, la mia vita non ha senso da quando… Riproviamoci, ti prego… Dimenticheremo, vedrai e tutto tornerà meraviglioso – ricordi? Ti scongiuro, ti supplico – devi credermi, questa volta puoi farlo, sono cambiata… Io… Io…»

 

 

«Aeroporto?»
«Sì, mi dica.»
«Vorrei sapere se ci sono due posti liberi su uno dei prossimi aerei in partenza.»
«Destinazione?»
«Non ha importanza, signorina – il primo in partenza con due posti liberi, oggi.»
«Un attimo, prego… Dunque, il prossimo aereo con due posti liberi parte questa sera alle ore 19.00… Una vera fortuna, i signori che avevano prenotato hanno rinunciato al volo proprio dieci minuti fa…»

 

 

«Quando ascolterai questo messaggio probabilmente ti sarà rimasto appena il tempo per preparare i bagagli e raggiungermi all’aeroporto… Ho prenotato due posti sul volo delle 19.00 perché l’idea di lasciarti solo mi era insopportabile, quindi, muovi le chiappe! Butta in valigia il passaporto e quant’altro ti sembra necessario, ma soprattutto cerca di far presto, lo sai che detesto aspettarti... Ah, dimenticavo (reggiti forte)... ho deciso di accontentarti: romperò il silenzio, scriverò un racconto lesbico... Sì, hai capito benissimo - e niente pseudonimi! Dai, spicciati lumacone!»

 

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