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Aggiornato Venerdì 21-Dic-2012

 

Qual’è il comportamento che si ha di fronte a qualcosa che non conosciamo, che ci spaventa o imbarazza, o magari abbiamo vissuto e vederlo riflesso nell’altro risveglia in noi il rifiuto, un dolore o una rabbia che vorremmo cancellare?

La reazione più comune è lavarsene le mani, voltarsi dall’altra parte o, se questo non basta, trasformare chi ci mette in difficoltà in un molesto bugiardo, un aggressore, una minaccia – l’unica causa del male che l’ha colpito, quindi, di che si lamenta, che vuole?

I casi di abuso sessuale e stupro, scatenano spesso reazioni di questo tipo e, se possono non sorprendere negli uomini, nelle donne lasciano quantomeno perplessi.

Una donna colpita tanto duramente nella propria identità e intimità, si aspetta da chi come lei rischia il medesimo trattamento, una comprensione ed un aiuto tempestivo, incondizionato. L’indifferenza o addirittura il rifiuto, un supplemento di offesa e aggressione, possono annientarla, cancellarla – ed è questo, appunto, che si vorrebbe inconsapevolmente ottenere.

Un colpo di spugna e i fantasmi svaniscono, il problema non esiste.

Le donne subiscono silenziose e non denunciano perché sanno cosa le potrebbe attendere. Sanno che difficilmente otterrebbero giustizia e sanno che potrebbero rimanere ancor più sole, esposte, indifese. Meglio tacere, risparmiarsi almeno gli sguardi sfuggenti o inquisitori. E poi, in fondo, qualcosa dovranno pur aver fatto per meritarsi una così grande punizione, no?

Vergogna, senso di colpa, schifo di sé – gli altri, in tutto questo, dove sono? Che responsabilità hanno? Enormi, ovviamente, ma chi subisce violenza non le vede, e chi ne ha non vuole assumersele.

E’ lo sporco, vecchio gioco delle parti, invertite, da cui, alla fine, è escluso, passa quasi indenne o del tutto impunito l’aggressore e questa nostra cultura che lo legittima, tale lo rende. Visto quant’è strumentale cadere nella trappola? Tutti lì a lanciare accuse, fare lo scarica barili, analisi più o meno sensate, indignarsi o fregarsene, e intanto il carnefice se ne va a spasso, fiero, lasciando la vittima (quando e se si rende conto di esserlo) dilaniata, sola, marchiata. Stuprata due, tre, quattro, mille volte.

C’è poi la questione dei livelli di gravità dell’abuso. Esercizio accademico sulla pelle delle donne - nuovamente negare il problema, svilire il reato, ridurlo ad una questione tecnica, variabilmente deprecabile senza farsi domande, dare risposte, come se il danno si potesse quantificare… Così si apprende, dopo, che se lo stupratore non consuma un rapporto diretto e completo, è, al più, un poveraccio bisognoso di cure: chissà cosa sono state capaci di fargli le donne se si è ridotto a questo! E la vittima? Dipende: dall’età, dall’abbigliamento, dalla posizione sociale, dall’avvenenza, dal luogo e dall’ora dell’aggressione, dalle frequentazioni e dalle abitudini sessuali, dalle opinioni e dallo stile di vita… è lei a finire sul banco degli imputati, è sua la colpa, sua e di ogni donna che non stia al proprio posto, nel ruolo che maschilismo ed eterosessismo hanno stabilito per lei. Ad offesa si aggiunge offesa. La vittima era e resta carne da macello, una mezza persona, con mezza cittadinanza, mezzi diritti e ancor meno se non si comporta come dovrebbe, secondo convenienza, a discrezione – di altri, non solo uomini.

Me li immagino, sapete? Lì, a cena: i giudici, i magistrati, gli avvocati, i poliziotti, i politici, i legislatori, i giornalisti, i vicini di casa, i mariti e i fidanzati, gli stupratori, i moralizzatori, i preti – accanto le protette, i familiari, gli amici e i collaboratori… bella combriccola, davvero. E fuori, nella neve, la piccola fiammiferaia ed un esercito di ombre tremanti o troppo affaccendate per aver tempo da perdere con simili sciocchezze. Suvvia, quante saranno mai queste sventurate? Ci sono cose più importanti, che credete: i festeggiamenti di fine anno, ad esempio, o il prodotto interno lordo, ci sono le battaglie animaliste e quelle contro il terrorismo, la fame nel mondo, la difesa dei sani e buoni principi occidentali, cattolici, eterosessuali…

E a me pare di vivere in un incubo, pare impossibile che non si capiscano cose tanto semplici, che nessuno voglia davvero interessarsi ai guasti che ci condizionano e divorano, dall’interno. Curiamo i sintomi, non la causa. Perpetuiamo l’inferno. Ci condanniamo ad una vita malata, nel migliore dei casi da portatori sani – e preghiamo Dio che ci risparmi, facciamo di tutto per stare dalla parte di chi se ne serve per i suoi porci comodi. Dov’è il buon senso in tutto questo?

Non c’è cosa più feroce e arbitraria del silenzio. Il silenzio condanna all’inesistenza. Allo stesso modo, parlare contro la violenza senza smettere di esercitarla a partire dai propri atteggiamenti e preconcetti, lava la coscienza individuale e collettiva, ma lascia tutto esattamente com’è: ad uso e consumo di un mondo che nulla offre a chi paga, e niente chiede a chi dovrebbe.

C. Ricci

 

 

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