Ho conosciuto Rachele l’estate scorsa, un giorno che me ne stavo seduta su una panchina a prendere il sole.
«Bella giornata, vero?» - mi disse, io aprii gli occhi, la guardai strizzandoli un po’ e sorridendole annuii - «Adoro correre… e poi le Mura sono bellissime…».
Normalmente non avrei gradito tanta profusione di parole, ma quella ragazza aveva un modo di fare così socievole, tranquillo, come se mettersi a chiacchierare con una sconosciuta fosse la cosa più normale del mondo.
«Non sei di Lucca…»
«No, sono di passaggio…»
«Lavoro?»
«Anima in pena. Non riesco a star ferma. Mi muovo in continuazione. Qui ci vengo per rilassarmi e poi è un posto strategico per far base…» - la guardai attentamente - «Sono ricca e annoiata...» - rise di sé ma forse di più della mia espressione dubbiosa - «Scherzo, o meglio, messa così sembra una cazzata ma non la è… I miei mi hanno lasciato una piccola rendita, un vitalizio, insomma, niente di straordinario ma almeno posso permettermi di vivere senza dover lavorare…»
«Sei fortunata…»
«In un certo senso, sì – ma talvolta penso che ad essere troppo liberi si finisce per non trarvi alcun piacere, forse è per questo che non riesco a decidere che farne della mia vita… E tu?»
«Stesso problema, con aggravanti.»
«???»
«Sono povera.»
Così ci ritrovammo a passeggiare parlando del più e del meno, ragionando di cose che non si dicono nemmeno ad un amico. La salutai lasciandole il mio biglietto da visita, certa che avrebbe smarrito lui e dimenticato me, invece…
«Pronto?»
«Buonasera, sono Rachele – potrei parlare con Cinzia?»
«Sono io…»
«Ciao, Cinzia! Scommetto che non ti ricordi…»
In effetti, dopo quasi un anno… Mi racconta dell’ultimo viaggio che l’ha portata in Australia, degli aborigeni e le loro credenze, di luoghi arcaici e misteriosi, di serpenti e ragni che, nonostante le modeste dimensioni, possono uccidere in pochi secondi. È un turbine di parole.
«Senti, domani pensavo di passare da Lucca… Ti va un aperitivo e magari una pizza?»
Il giorno dopo c’incontriamo. Mi sembra smagrita. Ci stringiamo la mano con forza, calore. È abbronzata, piena di ninnoli. La prendo in giro: «Ti manca solo l’anello al naso!». Ride. Mi mostra un bel tatuaggio che si è fatta fare sull’avambraccio destro: «Ne ho anche altri, dappertutto, ma forse è meglio che non mi spoglio, non qui, almeno…». La provoco ancora, stupita. Finalmente ci sediamo. Ne approfitto per osservarla meglio. È inquieta, turbata. Non la ricordavo così.
«Sono accadute molte cose… Sarà che a non star fermi si vive il doppio, ma comincio ad essere stanca – forse dovrei fermarmi un po’, provare a mettere ordine…».
Non riesco ad immaginarla.
«Già…» - sospira.
Ordiniamo il primo giro di aperitivi. Le chiedo se ha avuto occasione di visitare il mio sito.
«L’ho visto prima di partire e da allora mi è tornato in mente spesso. Una come te se fosse al posto mio avrebbe tante di quelle cose da raccontare. È un peccato che certe fortune tocchino a chi non sa apprezzarle, o metterle a frutto, regalarne un pezzetto agli altri. Tu sai scendere in profondità e sai mostrare quello che vedi, trasmetterlo… È un talento. In tutti questi anni ho fatto migliaia di fotografie, eppure nessuna racconta le cose per quello che erano. Mancano le emozioni che un’inquadratura, da sola, non può descrivere, mancano gli odori. In quello che fai io posso percepirli …» - arrossisco e penso che stia esagerando - «Ma lo so, leggendoti si capisce, tu non riesci a darti il valore che hai né, forse, capisci davvero l’importanza del tuo lavoro…».
Svicolo maldestramente.
Mi guarda dritta negli occhi, sorride, poi abbassa lo sguardo: «Mi sono innamorata… di una donna. Non sono lesbica e d’altronde il pensiero che cose di questo tipo esistessero non mi ha mai sfiorata. Ti sembrerà strano, ma pur avendo viaggiato tanto non me ne sono mai accorta, o perlomeno non gli ho dato peso. Insomma, dopo aver visitato il tuo sito ho cominciato a guardarmi intorno con occhi diversi, non lo so perché… Forse li ho semplicemente aperti…» - devo riprendermi, inspiro e ordino il secondo giro di aperitivi - «L’ho conosciuta poco dopo il mio arrivo a Sydney, per caso… Un’etnologa. Pelle scura e occhi neri – bellissima, per me, da levare il fiato. Stava conducendo una ricerca sulle tracce lasciate dagli aborigeni nella zona nord-occidentale del paese, la più inospitale, un posto dove nessuno si sognerebbe di avventurarsi per turismo. Mi venne l’idea di farne un reportage, per divertimento, così le chiesi se potevo seguirla… I tatuaggi me li ha fatti lei - ogni volta che ci fermavamo ne realizzava un pezzo…»
Mi vengono in mente le pitture e i graffiti delle comunità rupestri, i segni nel grano e più in generale le figure visibili solo dal cielo. Quasi un rito iniziatico, il loro, e il racconto di una condivisione emotiva e fisica intensa, un’esperienza mistica, con stigmate, o un patto di sangue – comunque tracce impresse nella carne, per distinguere, affermare e fermare - significanze profonde ed esclusive, secondo un codice segreto che non può essere interpretato, svelato. Il corpo come una bottiglia affidata al suo nomadismo, e dentro la mappa di un luogo che solo il suo scopritore conosce, un luogo che è il corpo stesso e le sue meraviglie, la memoria che attraverso lui si fa parola, incisa, scolpita – perché il tempo non la cancelli, disperda.
«Affascinante…» - sussurro.
«Di più – sconvolgente. Non so cosa mi è preso: una febbre, qualcosa che non so descrivere e che mi porto dentro come un sogno, o un incubo. Di giorno attraversare il deserto, scalare le rocce, scoprendo riti e credenze destinate a scomparire, leggende e sentieri misteriosi – la sera tornare o allestire il campo, sedersi intorno al fuoco, la luce delle lampade, lei che cura le mie ferite, i gonfiori, mi lava e spalma di unguento, ricomincia a danzare ed io smetto di pensare, divento musica, una sua estensione, la sua creazione. Sudore, sangue, dolore, piacere, umori, liquidi, carezze, silenzi senza fine, mormorii… Sono fuggita, non ce l’ho fatta, era troppo, troppo forte – ad un certo punto ho avuto l’impressione di precipitare in un abisso, ho avuto una paura tremenda…»
Ordino il terzo giro di aperitivi e comincio ad avere le allucinazioni: le vedo! Sono bellissime, attraenti e pericolose come un canto di sirena, o due scorpioni nella sabbia.
«A Port Edland ho dovuto ricorrere alle cure mediche: avevo vuoti di memoria, ero confusa, fisicamente a pezzi – uno straccio, credimi… Quando ce l’ho fatta a rimettermi in piedi ormai era tardi – l’ho cercata, ma tu non hai idea di quant’è grande, inaccessibile e insidiosa quella terra, specie nella zona dove eravamo noi… se non sai dove andare, lì puoi perderti, davvero, non ti trovano più…»
«???»
«In realtà non l’ho fatto seriamente e comunque, ti sembrerà strano, ma non so quasi niente di lei, molto di quello che mi ha raccontato non riesco più a ricordarlo. A Sydney era di passaggio, non so neppure se lavorava per qualcuno…»
«Avrai delle foto…»
«No. Durante il viaggio verso Perth mi hanno rubato tutto, sono tornata in Italia più o meno con quello che avevo addosso al momento… Al consolato sono stati gentilissimi, ho avuto tutta l’assistenza necessaria…»
«Ma lei sa dove trovarti?»
«Non credo - e comunque pensi che farebbe il giro del mondo spendendo una fortuna solo per venire a cercare una pazza che è letteralmente scappata senza darle uno schifo di spiegazione? In Italia, poi, un’etnologa che vive in un paese tutto da scoprire, ad un passo dalla Nuova Zelanda, da arcipelaghi bellissimi, barriere coralline, culture e popolazioni straordinarie... Siamo onesti, che diavolo ci viene a fare qua? Io non ci verrei nemmeno mi pagassero!»
Effettivamente… Le chiedo quali ripercussioni abbia avuto questa storia sulla sua vita attuale, cosa pensa di fare…
«Sono molto confusa. È stata un’esperienza di un’intensità assoluta – ne sento la mancanza e ancora ne ho un terrore profondo. Mi manca il suo odore, le sue mani, i suoi occhi, la sua forza, la sua capacità di entrarmi dentro, leggermi, fondersi – di lei mi manca soprattutto quello che non comprendevo, di me quello che non riuscivo a controllare. È difficile da spiegare. Non ho mai programmato la mia vita ma oggi so che questo non mi ha resa né migliore, né meno ordinaria. So anche di non aver mai amato prima, che forse amerò ancora, ma mai più così… Riparto fra qualche giorno, vado in Francia a trovare certi amici… Hanno una tenuta piuttosto bella, producono vino ed altre cose, chissà, magari mi fermo, oppure torno e mi compro una casa in campagna, qua intorno, in Toscana – mi piace…»
Sì, è bella la Toscana, ci si sente a casa - ma al quarto giro di aperitivi tutto il mondo può diventarlo.

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