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Aggiornato Lunedì 05-Mar-2012

 

...Lei assolutamente etero, aggressiva, rampante e splendida nel fiore dei suoi quarant’anni. Io lesbica consolidata con qualche sporadico cedimento eterosessuale, sparpagliata ed errante nell’esplosione ormonale dei miei venticinque.

Premetto che la conoscevo da quando ero una ragazzina (sul finire degli anni Settanta frequentavamo la stesso giro di artisti) e all’epoca m’intimorivano parecchio la sua personalità e la sua vita “al limite”. Ci perdemmo di vista e dopo una decina d’anni ecco che riappare nelle vesti di protettrice di un musicista pazzo e squattrinato con il quale stavo lavorando - James mi aveva detto di avere una donna ricca e molto bella, ma mai avrei immaginato che quella potesse essere lei!

Un giorno fissiamo un appuntamento per discutere l’organizzazione di un suo happening e lui con chi si presenta? La femme fatale in persona al cospetto della quale aveva un’aria così ridicola e insignificante che proprio c’era da non crederci... Et voilà, un tuffo al cuore: cervello e stomaco in poltiglia. Naturalmente mi riconobbe, ma non per questo mi trattò diversamente dagli altri: da subito mi zampettò addosso come fossi uno zerbino. La collaborazione fra me e l’artista ci costrinse a frequentazioni molto prolungate e intime: colazione, pranzo e cena tutti e tre insieme, praticamente ogni giorno, intere notti svegli a progettare e filosofeggiare con lei sempre intorno impegnata ad attirare l’attenzione e lui, seccato o divertito (e dopo una cert’ora immancabilmente ubriaco), che per liberarsene doveva cacciarla in malo modo, oppure portarsela a letto. Ed io lì, paralizzata, sempre più adorante e arrabbiata. Come faceva l’oggetto del mio desiderio ad essere così scema, a sopportare simili violenze e prevaricazioni, ad accettare quella specie di derelitto ambulante? E perché, invece, quando eravamo insieme da sole riusciva sempre a stupirmi con la sua vivacità intellettuale, la sua vitalità, la sua forza straripante? Diventammo molto amiche rimanendo insieme anche quando lui si assentava per i suoi viaggi all’estero. Dividevamo tutto, lo stesso cibo, lo stesso letto. Quando lui tornava coprivo le sue marachelle. Lei aveva altri amanti, occorre dirlo? Ed io ero sempre più fuori di me, mi dilaniava averla accanto in quel modo così totalizzante senza poterla strappare ad una vita senza regole che la offendeva, la lasciava prostrata e ferita a fare i conti con la parte di sé che, spesso drammaticamente, la dominava. Riusciva ad essere se stessa solo quando eravamo insieme, da sole. Si lasciava andare, si spogliava del suo personaggio e finalmente era padrona del suo corpo, protagonista della sua vita - senza condizionamenti (era ed è ancora bellissima quando riesce a farlo).

Nel giro di 5 mesi diventammo quasi inseparabili - amiche, complici e... non ancora amanti. Sapevo, però, che eravamo pronte e un giorno, con naturalezza, ci cercammo e trovammo... Che macello! Crisi d’identità, fughe nella notte alla ricerca di amanti che le confermassero la sua femminilità - riuscì ad incasinarsi al punto che intorno le crebbe tanto di quel risentimento che alla fine, tornare da me, era tutto sommato un sollievo, il più inoffensivo, inconfessabile e gratificante. Volevo la smettesse di farsi male, volevo la smettesse di farne così tanto a me - ma qualsiasi cosa facessi non serviva a nulla, lei proseguiva la sua folle corsa, come una macchina senza freni giù per una discesa. La conoscevo bene, ormai, non mi facevo sciocche illusioni - sapevo che non avremmo potuto avere un rapporto di coppia, né, d’altronde, pensavo di avere la forza per affrontarlo. Non volevo ritrovarmi ad essere la sua protetta o la sua vittima sacrificale, tuttavia avrei voluto che la smettesse di pensarsi malata, che considerasse il suo amore per me, ed il mio, come un dato acquisito dal quale ripartire, da cui trarre le giuste conseguenze, qualsiasi fossero - io sarei sopravvissuta, come sempre, del resto...

Quanta sofferenza, quante umiliazioni.

Un giorno venne a trovarmi mia madre, ricordo che crollai a sedere sul letto senza riuscire a smettere di piangere, non riuscivo e non potevo spiegarle tutto quel dolore, non c’erano mai state parole esplicite, non c’era mai stata confidenza... Lei si sedette accanto a me, mi abbracciò (il contatto fisico, tra noi, è una scoperta recentissima) e mi disse: “Sei come tuo padre... lei non è la donna giusta per te, lasciala perdere...” - le lacrime smisero di scendere ed io finalmente capii: sempre, sino ad allora, avevo cercato in ogni donna la sua figura austera e inaccessibile, i suoi rifiuti, la sua apparente superficialità, il suo essere vittima di se stessa e quindi del mondo, ed ogni volta attraverso le altre avevo cercato di salvarla, conquistarne l’amore... Fu un’illuminazione folgorante che mi cambiò la vita. Mi asciugai le guance e decisi che era giunto il tempo di voltare pagina.

Un poco alla volta e fra mille sofferenze, riuscii ad allontanarmene. Lei mi cercava, non voleva rinunciare alla mia amicizia, alla mia disponibilità, alle mie attenzioni. Con me poteva ridere, parlare, sognare, essere se stessa - intimamente. Io soddisfacevo la sua parte maschile e insieme ero una presenza forte, autorevole, comprensiva e protettiva, non una madre, né una sorella o una complice, ma la sua restante metà - asessuata. Insomma, un casino. Mi buttai a capofitto in ogni avventura che mi capitò a tiro, feci e mi feci del male, cominciai a negarmi, con fatica separai la mia vita dalla sua – ma l’amavo, davvero, molto. Amavo lei, la sua anima, le sue idiosincrasie, i suoi astratti furori, amavo i momenti nei quali sapeva sorprendermi con la profondità di certi pensieri, quel suo modo speciale e involontario di farmi sentire la sua sposa e insieme il suo sposo – ben oltre i generi. Ma nessun compromesso era possibile – imparai a farne a meno, completamente.

Nel tempo mi ha spesso rimproverata di averla lungamente privata di me, di non aver avuto sufficiente pazienza, di non averla amata del suo stesso amore. Aveva ragione: il mio non ammetteva ambiguità. Tutto o niente. Una rigidità irragionevole e cavalleresca tipica dell’età giovanile, un istintivo coraggio o avventatezza, un’integrità che a quarant’anni si stenta a capire – e talvolta si rimpiange.

Sono stata la sua inaspettata, prima ed unica storia lesbica (o come dice lei candidamente, facendomi arrossire - la sua prima storia d’amore). Oggi siamo amiche, ci conosciamo meglio di chiunque altro, non ci frequentiamo ma sappiamo di occupare una nell’altra un posto esclusivo, inespugnabile.

Forse in un’altra vita la quadratura del cerchio è stata o sarà perfetta... Magari abbiamo avuto dei figli, oppure ci ammazzeremo... chissà.

Questa volta è andata così.

À la prochaine, Belladonna.

 

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