
...Lei assolutamente etero, aggressiva, rampante e splendida nel fiore
dei suoi quarant’anni. Io lesbica consolidata con qualche sporadico
cedimento eterosessuale, sparpagliata ed errante nell’esplosione
ormonale dei miei venticinque.
Premetto
che la conoscevo da quando ero una ragazzina (sul finire degli anni Settanta
frequentavamo la stesso giro di artisti) e all’epoca m’intimorivano
parecchio la sua personalità e la sua vita “al limite”.
Ci perdemmo di vista e dopo una decina d’anni ecco che riappare
nelle vesti di protettrice di un musicista pazzo e squattrinato con il
quale stavo lavorando - James mi aveva detto di avere una donna ricca
e molto bella, ma mai avrei immaginato che quella potesse essere lei!
Un
giorno fissiamo un appuntamento per discutere l’organizzazione di
un suo happening e lui con chi si presenta? La femme fatale in persona
al cospetto della quale aveva un’aria così ridicola e insignificante
che proprio c’era da non crederci... Et voilà, un tuffo al
cuore: cervello e stomaco in poltiglia. Naturalmente mi riconobbe, ma
non per questo mi trattò diversamente dagli altri: da subito mi
zampettò addosso come fossi uno zerbino. La collaborazione fra
me e l’artista ci costrinse a frequentazioni molto prolungate e
intime: colazione, pranzo e cena tutti e tre insieme, praticamente ogni
giorno, intere notti svegli a progettare e filosofeggiare con lei sempre
intorno impegnata ad attirare l’attenzione e lui, seccato o divertito
(e dopo una cert’ora immancabilmente ubriaco), che per liberarsene
doveva cacciarla in malo modo, oppure portarsela a letto. Ed io lì,
paralizzata, sempre più adorante e arrabbiata. Come faceva l’oggetto
del mio desiderio ad essere così scema, a sopportare simili violenze
e prevaricazioni, ad accettare quella specie di derelitto ambulante? E
perché, invece, quando eravamo insieme da sole riusciva sempre
a stupirmi con la sua vivacità intellettuale, la sua vitalità,
la sua forza straripante? Diventammo molto amiche rimanendo insieme anche
quando lui si assentava per i suoi viaggi all’estero. Dividevamo
tutto, lo stesso cibo, lo stesso letto. Quando lui tornava coprivo le
sue marachelle. Lei aveva altri amanti, occorre dirlo? Ed io ero sempre
più fuori di me, mi dilaniava averla accanto in quel modo così
totalizzante senza poterla strappare ad una vita senza regole che la offendeva,
la lasciava prostrata e ferita a fare i conti con la parte di sé
che, spesso drammaticamente, la dominava. Riusciva ad essere se stessa
solo quando eravamo insieme, da sole. Si lasciava andare, si spogliava
del suo personaggio e finalmente era padrona del suo corpo, protagonista
della sua vita - senza condizionamenti (era ed è ancora bellissima
quando riesce a farlo).
Nel
giro di 5 mesi diventammo quasi inseparabili - amiche, complici e... non
ancora amanti. Sapevo, però, che eravamo pronte e un giorno, con
naturalezza, ci cercammo e trovammo... Che macello! Crisi d’identità,
fughe nella notte alla ricerca di amanti che le confermassero la sua femminilità
- riuscì ad incasinarsi al punto che intorno le crebbe tanto di
quel risentimento che alla fine, tornare da me, era tutto sommato un sollievo,
il più inoffensivo, inconfessabile e gratificante. Volevo la smettesse
di farsi male, volevo la smettesse di farne così tanto a me - ma
qualsiasi cosa facessi non serviva a nulla, lei proseguiva la sua folle
corsa, come una macchina senza freni giù per una discesa. La conoscevo
bene, ormai, non mi facevo sciocche illusioni - sapevo che non avremmo
potuto avere un rapporto di coppia, né, d’altronde, pensavo
di avere la forza per affrontarlo. Non volevo ritrovarmi ad essere la
sua protetta o la sua vittima sacrificale, tuttavia avrei voluto che la
smettesse di pensarsi malata, che considerasse il suo amore per me, ed
il mio, come un dato acquisito dal quale ripartire, da cui trarre le giuste
conseguenze, qualsiasi fossero - io sarei sopravvissuta, come sempre,
del resto...
Quanta
sofferenza, quante umiliazioni.
Un
giorno venne a trovarmi mia madre, ricordo che crollai a sedere sul letto
senza riuscire a smettere di piangere, non riuscivo e non potevo spiegarle
tutto quel dolore, non c’erano mai state parole esplicite, non c’era
mai stata confidenza... Lei si sedette accanto a me, mi abbracciò
(il contatto fisico, tra noi, è una scoperta recentissima) e mi
disse: “Sei come tuo padre... lei non è la donna giusta per
te, lasciala perdere...” - le lacrime smisero di scendere ed io
finalmente capii: sempre, sino ad allora, avevo cercato in ogni donna
la sua figura austera e inaccessibile, i suoi rifiuti, la sua apparente
superficialità, il suo essere vittima di se stessa e quindi del
mondo, ed ogni volta attraverso le altre avevo cercato di salvarla, conquistarne
l’amore... Fu un’illuminazione folgorante che mi cambiò
la vita. Mi asciugai le guance e decisi che era giunto il tempo di voltare
pagina.
Un
poco alla volta e fra mille sofferenze, riuscii ad allontanarmene. Lei
mi cercava, non voleva rinunciare alla mia amicizia, alla mia disponibilità,
alle mie attenzioni. Con me poteva ridere, parlare, sognare, essere se
stessa - intimamente. Io soddisfacevo la sua parte maschile e insieme
ero una presenza forte, autorevole, comprensiva e protettiva, non una
madre, né una sorella o una complice, ma la sua restante metà
- asessuata. Insomma, un casino. Mi buttai a capofitto in ogni avventura
che mi capitò a tiro, feci e mi feci del male, cominciai a negarmi,
con fatica separai la mia vita dalla sua – ma l’amavo, davvero,
molto. Amavo lei, la sua anima, le sue idiosincrasie, i suoi astratti
furori, amavo i momenti nei quali sapeva sorprendermi con la profondità
di certi pensieri, quel suo modo speciale e involontario di farmi sentire
la sua sposa e insieme il suo sposo – ben oltre i generi. Ma nessun
compromesso era possibile – imparai a farne a meno, completamente.
Nel
tempo mi ha spesso rimproverata di averla lungamente privata di me, di
non aver avuto sufficiente pazienza, di non averla amata del suo stesso
amore. Aveva ragione: il mio non ammetteva ambiguità. Tutto o niente.
Una rigidità irragionevole e cavalleresca tipica dell’età
giovanile, un istintivo coraggio o avventatezza, un’integrità
che a quarant’anni si stenta a capire – e talvolta si rimpiange.
Sono
stata la sua inaspettata, prima ed unica storia lesbica (o come dice lei
candidamente, facendomi arrossire - la sua prima storia d’amore).
Oggi siamo amiche, ci conosciamo meglio di chiunque altro, non ci frequentiamo
ma sappiamo di occupare una nell’altra un posto esclusivo, inespugnabile.
Forse
in un’altra vita la quadratura del cerchio è stata o sarà
perfetta... Magari abbiamo avuto dei figli, oppure ci ammazzeremo... chissà.
Questa
volta è andata così.
À
la prochaine, Belladonna.

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