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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

NOI ha sentito il ragazzo colpito dagli aggressori in pieno volto da un bicchiere. E' ancora in stato di choc.

“Notizie Omosessuali Italiane”, 30 Ottobre 2000

 

Simone (il nome è fittizio) era andato in pizzeria con un amico, e si è ritrovato al pronto soccorso in completo stato di choc, dopo un'aggressione verbale e fisica da parte di un gruppo di uomini, «venuti lì apposta per cercar rogne»; uomini che dovrebbero proteggere i cittadini invece di aggredirli, uomini che durante il loro lavoro vestono una divisa e svolgono il compito di poliziotti, per far rispettare l'ordine. Invece Simone ha ricevuto proprio da uno di quei "tutori dell'ordine" prima aggressione verbali («I giornali hanno riportato che mi ha insultato dicendo "cameriere, un caffé" in realtà ha detto "cameriera, mi porti un caffé"», riferisce Simone), e poi una violenta aggressione fisica, ricevendo in pieno volto un bicchiere.

«Ho passato tutta la mattina alla squadra mobile, convocato stamattina. Ho fatto delle integrazioni alla denuncia. Ho riferito che appena sono entrati ho avuto la percezione che fossero degli esaltati, in cerca di rogne, come dei militari di leva un po' “bulli”. Durante tutta la cena si toccavano, si davano le carezze per prenderci in giro».

Hanno individuato tutti gli aggressori?

«Mi hanno fatto vedere delle foto per identificare i due agenti scappati; io sono stato in grado di identificarne solo uno, perché l'altro, quello che mi ha lanciato il bicchiere, l'ho visto solo per un secondo prima di essere colpito».

Tu come stai, ora?

«Io ho tuttora giramenti di testa, ogni tanto mi devo sedere perché ho le gambe che mi tremano. Ho tremato per tre quarti d'ora dopo l'aggressione, ho continuato a tremare finché non mi hanno dato un bicchiere di Valium al pronto soccorso. Tuttora quando ci penso, oppure quando stamattina ho letto il giornale, non sono riuscito a stare sulla sedia, ma ho dovuto rimettermi a letto perché ho ripreso a tremare. Quello che mi ha dato veramente fastidio, alla fine della visita di oggi, è stato sapere che cosa rischiano queste persone. Mi hanno detto che se prendono meno di due anni, non vengono licenziati ma continuano a fare il loro lavoro. A parte quello che ha lanciato il bicchiere - che devono ancora prendere -, gli altri due, quelli di cui sono sicuri su chi siano, non rischiano niente, perché le loro imputazioni sono leggere (omissione di soccorso, minacce, ingiurie e poco altro), accuse per cui prendono meno di due anni. Infatti quando ieri sera io e l'altro ragazzo aggredito siamo andati lì per fare delle rettifiche alla denuncia, l'altro ragazzo ha visto uno di questi ancora in divisa che svolgeva il proprio ruolo. Hai sentito della dichiarazione del Questore di Bologna, che dice che i poliziotti non dovrebbero andare in quei locali dove si litiga spesso? Nel locale non si litiga spesso perché è una pizzeria, poi io sono convinto che loro sono andati lì proprio perché sapevano quello che era, per cercare le rogne».

 

E' accaduto a Bologna. Il questore li sospende ma prende di mira "certi locali".

Di Sara Menafra – “Il Manifesto”, 31 Ottobre 2000

 

L'altra faccia di Bologna. Quella della paura del diverso, delle aggressioni verbali e fisiche, della questura più discussa d'Italia viene alla luce con violenza ogni giorno che passa. Questa è la volta dell'attacco contro gli omosessuali. L'episodio che ha acceso una nuova miccia sotto le fondamenta di una città famosa perché aperta alla mescolanza fra culture diverse, unisce aggressioni fisiche a "una omofobia che viene dall'alto" come ha commentato uno dei due ragazzi presi di mira. Il fatto risale a sabato sera quando due studenti omosessuali sono stati picchiati mentre erano in una pizzeria di Bologna. Gli autori dell'aggressione, ha confermato la questura, sono due poliziotti fuggiti subito dopo il fattaccio. Con loro c'erano due "colleghi", poliziotti anche loro ma non altrettanto veloci a correre fuori dal locale. Fermati dalla titolare della pizzeria hanno dovuto attendere che arrivasse una volante della polizia per portarli in ufficio (ovvero in questura) e interrogarli. Per la verità i due hanno continuato a sostenere per più di 24 ore di non conoscere affatto gli autori dell'aggressione che solo per una ben sfortunata coincidenza si trovavano al loro stesso tavolo. Ora sono accusati di lesione e favoreggiamento (dato che hanno assistito all'azione dei due amici senza intervenire) e sono stati sospesi dal servizio. Ma questa è una decisione presa solo durante la giornata di ieri. Per un'altra sfortunata coincidenza infatti, a scoprire che i due poliziotti erano tornati normalmente a lavoro è stato proprio uno dei ragazzi aggrediti. Arrivato domenica in questura per integrare la denuncia, si è trovato di fronte proprio uno dei suoi aggressori, con divisa e pistola alla cintura. Di fronte all'evidenza il Questore di Bologna, Argenio, non ha potuto fare altro che sospendere i due poliziotti e dichiarare alla stampa la sua disapprovazione per l'episodio accaduto sabato sera. Ma è proprio nelle parole di Argenio che quello che poteva rimanere un episodio grave ma circoscritto si trasforma in un'accusa contro la cultura delle forze dell'ordine della città bolognese. Perché Argenio non ha rimproverato i suoi uomini, perché si sono resi autori di una aggressione assolutamente gratuita. Il problema, secondo il questore, è che quella che dall'esterno potrebbe sembrare una normale pizzeria (Pino, via Volturno) è in realtà un locale "noto per le sue frequentazioni". "Non accetto che un poliziotto vada in locali di quel tipo - ha dichiarato Argenio - come non accetto che frequenti una prostituta". Una dichiarazione inammissibile per tutta la comunità omosessuale di Bologna che ora chiede spazientita le sue dimissioni. "Siamo allibiti - ha detto Samuele Cavadini, presidente dell'arcigay di Bologna - sono affermazioni che vanno al di la del bene e del male. Sono puro delirio". Analogo commento da parte di Titti De Simone, presidente nazionale Arcilesbica, che sottolinea l'importanza di aprire una riflessione sulla Questura di Bologna: "Sarebbe importante chiedesi perché certi fatti avvengono sempre qui".

 

Di Rita Bartolomei – “Il Resto del Carlino”, 2 novembre 2000

 

L'altra volta. «E' stato un pomeriggio in centro - racconta -. Stavo aspettando un amico, si sono avvicinati due extracomunitari. Mi hanno chiesto una sigaretta. Ho risposto: non fumo. Lì per lì se ne sono andati. Li ho visti parlottare, poi sono tornati indietro. Mi hanno dato uno schiaffo e un pugno in faccia, non ho fatto neanche in tempo a reagire. Ho gridato: andatevene via. E urlavo davvero, con una voce da uomo. E' passata una donna di una certa età, cercava di capire quel che stava accadendo. Era sbigottita. Ci ho pensato molto, ma alla fine ho deciso di non denunciare niente. Perché lo so, il giorno dopo quei due me li sarei ritrovati in giro, per strada. L'Italia è fatta così. Se non t'ammazzano...».

Lui è un ragazzo di vent'anni. Gay nascosto alla famiglia. Lui è uno dei tre studenti universitari fuorisede che sabato notte hanno denunciato di essere stati aggrediti da un gruppo di poliziotti nella pizzeria «Nino» di via Volturno. Lui è quello che si è preso il bicchiere in faccia. E non si consola al pensiero che a tirarglielo è stato un «civile». «Quella notte al pronto soccorso il dottore voleva mettermi i punti - rivela -. Ho detto di no. Non volevo tenermi addosso i segni di questa storia». Difficile. L'altro pomeriggio il ragazzo si è fatto portare di nuovo all'ospedale in ambulanza. «Non riuscivo più a dormire e non mangiavo, stavo male - ripensa -. Mi hanno fatto una flebo, mi hanno dato dei calmanti. Adesso va meglio. Però...».

Dell'altra sera, prima di vedersi arrivare il bicchiere in fronte, ricorda di aver detto, «da seduto e con voce assolutamente tranquilla: ragazzi calmi, siamo a Bologna». E stava parlando verso il tavolo dei tre poliziotti più uno (l'amico). Nella scena successiva, eccolo steso su una panca della pizzeria. Sangue e paura. «Mi sento aggredito da tutti e quattro perché ci gridavano addosso e ci hanno deriso», è deciso.

Studia a Bologna da qualche anno. E' convinto che «se l'altra sera mi fossi trovato in quella pizzeria con due amici omosessuali di Bologna, non sarebbe successo niente. Perché nessuno di noi sarebbe andato in questura a fare denuncia. Troppa paura del giudizio degli altri. Saremmo stati condannati al silenzio». Studia in città da qualche anno, ma neanche qui sembra così facile apparire quel che si è. Confessa: «Se ho un ragazzo e gli do la mano, per strada, vedo la derisione negli occhi degli altri. Ma sono soprattutto quelli della mia età a reagire così. Le persone anziane guardano con stupore, si vede che pensano: ma allora queste cose succedono davvero, non solo nelle telenovele. Invece gli altri, i ragazzi, ci ridono dietro. Spesso non sono bolognesi, e questo secondo me conta. Ridacchiano e dopo un po' cominciano a gridare: recchioni, finocchi. Non è intolleranza, questa?».

 

E LA STESSA SERA SFIORATA LA RISSA IN UNA DISCOTECA OMOSEX

 

Quello stesso sabato sera (la notte dell'aggressione in pizzeria) la polizia era stata chiamata anche al «Paquito», discoteca gay di via Polese.

«Siamo perseguitati da un extracomunitario che arriva sempre in coppia con una giovane italiana - racconta il gestore -. Sabato i due erano in compagnia di altri quattro stranieri. Si sono presentati all'ingresso e pretendevano di non pagare. Avevano i coltelli, come al solito. Abbiamo chiuso la porta e abbiamo chiamato il 113. Quelli sferravano calci. Quando hanno capito che sarebbe arrivata la polizia, sono scappati». La rissa c'era stata invece la sera prima. «I due - riprende il gestore - volevano entrare a tutti i costi. Abbiamo detto di no e avevamo i nostri buoni motivi. Negli ultimi tempi erano diventati arroganti e minacciavano tutti, baristi compresi, con frasi intimidatorie. Ho scoperto che anche al Cassero erano stati costretti a chiamare la polizia e gli avevano ritirato la tessera».

Scusi, ma tutto questo parrebbe confermare la rissosità dei locali frequentati dai gay, insomma le parole del questore Argenio che hanno sollevato un polverone... «Vero niente, la statistica è dalla nostra parte - ribatte -. Basterebbe fare un confronto tra le discoteche etero e quelle per omosessuali e contare gli interventi di polizia e carabinieri. I nostri locali sono tra i più pacifici. E comunque, se succede qualcosa, sono sempre gli ospiti etero a provocare».

 

E così anche il pestaggio è arrivato. Ed è arrivato secondo i più classici dettami della stupidità e dell'idiozia: in un locale pubblico, frequentato da gay, lesbiche, eterosessuali, non sessuali, camerieri, cuochi, proprietari, poliziotti, giornalisti, la gente che mangia insomma.

Di Ennio Trinelli – “Notizie Omosessuali Italiane”, 2 Novembre 2000

 

E così anche il pestaggio è arrivato. Ed è arrivato secondo i più classici dettami della stupidità e dell'idiozia: in un locale pubblico, frequentato da gay, lesbiche, eterosessuali, non sessuali, camerieri, cuochi, proprietari, poliziotti, giornalisti, la gente che mangia insomma. E il cui cibo finisce laddove finisce il cibo di tutti. Non ero presente quindi non conosco i particolari: ma anche io sono stato pestato perché gay. So cosa si prova. Avevo quindici anni e la persona che mi ha pestato aveva fatto l'amore con me la sera prima, vi lascio la libertà di fare tutte le battute che volete sul senso di colpa. Forse per lui non era proprio fare l'amore, ma per me sì. Così mi ha pestato. Era il 1976 ed era difficile denunciare la propria omosessualità come causa di un'aggressione subita: la mia famiglia non sapeva nulla, ero giovane e vivevo in un piccolo e pettegolo paese, così le ho prese e sono stato zitto. Colui che mi pestò non era però un poliziotto, era solo un idiota. E nei fatti di Bologna c'è un'aggravante. Avvengono venticinque anni dopo i miei quindici anni - che da un certo punto di vista possono essere un'eternità, in una città che fino alle ultime elezioni amministrative è stata maestra di tolleranza per l'Italia tutta, pochi mesi dopo che una manifestazione, il primo World Pride, ha reso pubblica la questione omosessuale, in un momento storico in cui i gay e le lesbiche non ne vogliono più sapere di stare zitti.

Il fatto mi intristisce e mi inquieta. Vorrei dire ai ragazzi vittime del pestaggio di non pensare che questo sia il mondo. Il mondo è anche altre cose: armonia, rispetto, amore, tolleranza, gentilezza. Ma io non credo che essi abbiano bisogno delle mie parole, perché prontissimamente hanno denunciato il fatto alla Polizia. E in barba alle parole dei vari questori di turno, delle giustificazioni che la solita destra darà al fatto - che si può fare se gli omosessuali pretendono di respirare e sedersi a mangiare coi normali? Ne subiscano le conseguenze! - nessuno è più disponibile a stare zitto.

Perché i gay e le lesbiche non hanno più paura. Sono coloro che non hanno il coraggio di essere quello che sono (i gay sposati, i gay in divisa, i gay della chiesa, i gay con il potere) a rappresentare un pericolo per la comunità gay e lesbica italiana. E noi siamo stanchi di essere paragonati a pedofili, assassini, pervertiti di vario genere da questo esercito di finte identità.

Allora si reagisca. Si reagisca a suon di denuncie, di impegno politico, di manifestazioni. Si parli della propria omosessualità liberamente, si baci il proprio compagno, la propria compagna dove e quando se ne ha voglia. Si smetta di vergognarsi se si cammina mano nella mano con la persona che si ama. Ha più dignità un nostro passo che l'intera vita di un gruppo di violenti idioti che hanno bisogno di bicchieri da spaccare e pugni da usare per recuperare l'identità lasciata nella tasca di un abito da lavoro che giace inanimato in un armadietto. E che questo abito da lavoro sia una divisa fa dispiacere. Perché quelle divise hanno reso migliore il nostro paese. Sono gli idioti che lo imbarbariscono.

Ennio Trinelli, regista - Coordinamento Omosessuali Democratici di Sinistra Emilia Romagna

 

“Il Resto del Carlino”, 2 Novembre 2000

 

Uno ha passato la mattina in ufficio, l'altro a fare la guardia alla Sinagoga per tutto il pomeriggio di martedì.

E ieri, verso mezzogiorno, tutti e due in borghese e di corsa per la scale fino al piano del questore, dove un dirigente del palazzo gli ha notificato la sospensione in via cautelare dalla polizia per l'episodio avvenuto in pizzeria coi quattro giovani gay.

E' proprio così, due dei poliziotti coinvolti nella lite alla 'pizzeria Nino' sono già stati sospesi dalle loro funzioni, e per il terzo (tra l'altro è uno degli agenti inquisiti a settembre per storie di droga poi chiarite) si sa già che il provvedimento amministrativo, emesso dal Ministero su richiesta del questore Romano Argenio, è in arrivo.

Restituire subito pistola e patacca d'argento, dunque, e tutti a casa a metà stipendio. Questo fino al termine del procedimento penale in corso, quando avrà inizio poi l'accertamento disciplinare interno che deciderà del destino in divisa degli agenti sospesi.

I due provvedimenti, e il terzo in arrivo, non sono notizia inaspettata: troppo clamore attorno alla vicenda, difficile fare il contrario, e del resto Argenio aveva parlato chiaro: "Massima severità e nessuno sconto". Atteggiamento ancora più necessario visto il delicato momento attraversato dalla polizia bolognese squassata anche da una zuffa in casa tra un agente intervenuto (la stessa sera della lite coi gay) per difendere i colleghi fermi al 113 e un esperto ispettore dell'ufficio volanti.

Son volate spinte e botte, ma alla fine il risultato è che l'intruso (davvero solo un amico degli agenti nei guai?) si è beccato una denuncia.

Al di là della lite in pizzeria, episodio dove ci sono stati scambi di insulti da tutte le parti e il gesto inconsulto di un giovane buttafuori seduto al tavolo coi tre poliziotti, non è piaciuto per nulla e merita assoluta severità il comportamento tenuto dagli agenti dopo il parapiglia.

Bugie e mezze verità di due (i sospesi), la fuga del terzo (peraltro già coinvolto in beghe giudiziarie), e la poca onestà nel rispondere alle domande dei colleghi nel nome di un'amicizia da difendere non sono segni particolari del buon poliziotto.

Sbagliare si può, lo dicono tutti dentro e fuori la questura, ma non capire l'importanza dei panni che si indossano per lavoro è un errore che non si può perdonare.

Si vedrà, come andrà a finire. Toccherà al pm Elisabetta Melotti, lo stesso che ha indagato sui poliziotti buttafuori, tirare le somme di un'inchiesta condotta con rapidità ed efficacia. Praticamente finita.

 

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