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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

In primo grado era stata condannata a 3 anni e 8 mesi, in Appello la sentenza è scesa a 2 anni e 6 mesi

Di R. C. - “La Provincia di Como”, 18 Giugno 2004

 

La corte d'Appello di Milano ha diminuito la pena inflitta in primo grado ad Altair Barbosa de Sà, la donna che l'8 maggio del 2001 accoltellò l'amante della figlia. Nell'ottobre dell'anno scorso il gup di Sondrio, Antonio De Rosa, aveva condannato l'imputata, nata 42 anni fa in Brasile e residente a Ponte, a 3 anni e 8 mesi di reclusione. Ieri, in secondo grado, la condanna è scesa a 2 anni e 6 mesi. Già l'anno scorso, appena lette le motivazioni della sentenza, l'avvocato Maurizio Carrara, legale della donna, aveva annunciato che avrebbe appellato una decisione ritenuta eccessiva se si fossero tenute in considerazione le attenuanti dell'aver agito in risposta a un fatto ingiusto e dei motivi di particolare valore morale o sociale. «Ancora non si conoscono le motivazioni della sentenza del giudice di Appello - spiega l'avvocato Carrara -, ma tutto lascia pensare che sia stata riconosciuta la bontà della nostra linea difensiva». Il delitto, qualificato come tentato omicidio, era nato in circostanze quantomeno inconsuete. L'imputata, esasperata dalla relazione omosessuale della figlia Livia Previsdomini (minorenne all'epoca dell'inizio del legame) con una donna di parecchi anni più anziana, Antonella Tavelli, aveva chiesto a quest'ultima un incontro al campo sportivo di Sondrio. Qui aveva estratto un coltello e le aveva inferto 27 coltellate mandandola in fin di vita per diversi giorni. Barbosa avrebbe poi raccontato di aver perso il controllo dopo aver scoperto che, in seguito alla relazione con quella donna, sua figlia era finita in alcuni giri poco puliti, tanto che le due amanti risultano implicate in alcuni episodi dei quali si sta interessando la magistratura.

 

“Il Giorno”, 31 maggio 2001

 

TRAONA (Sondrio) - «Ho bisogno di lei, di Lella, è per questo motivo che me ne sono andata dalla comunità dove ero stata costretta a stare dai giudici del Tribunale dei minori di Milano, dopo l'arresto di mia madre».

Si è giustificata così con gli educatori del Centro di prima accoglienza e di rieducazione “Rita Tonoli”. E' infatti fuggita dalla struttura protetta di Traona, L., 17 anni e mezzo, la figlia della donna sudamericana arrestata a tempo di record per tentato omicidio da un equipaggio della squadra Volante della questura di Sondrio, dopo un grave episodio di sangue avvenuto a inizio mese sull'auto della vittima, parcheggiata nel piazzale antistante lo stadio comunale del capoluogo valtellinese.

E' stata dimessa tre giorni fa dal reparto di Chirurgia dell'ospedale di Sondrio - dove si trovava ricoverata da pochi giorni, proveniente dalla Rianimazione - Antonella «Lella» Tavelli, la 29enne che nel pomeriggio dell'8 maggio è stata accoltellata da Altair Barbosa De Sa, 38 anni, originaria del Brasile, la madre della quasi 18enne che da tempo aveva allacciato una relazione sentimentale con la vittima.

Una relazione da tempo osteggiata dalla famiglia della minorenne, un amore contrastato soprattutto quando i genitori di L. hanno appreso che la loro figliola era stata trascinata in una squallida vicenda dall'amica omosessuale e che quest'ultima, di recente, aveva messo gli occhi anche sull'altra figlia minore della coppia e sulla loro nipotina, giunta dal Brasile per studiare in Valtellina. Dopo la tragedia al campo sportivo, i giudici milanesi decisero l'allontanamento, dalla famiglia di Altair, delle due figlie e della giovanissima nipote.

Ora un nuovo colpo di scena. La 17enne L. è fuggita dalla «casa protetta» di Traona. «Per andare a riabbracciare l'amica del cuore che abita a Chiuro, finalmente dimessa dall'ospedale dopo le coltellate prese da mia madre».

Quando si sono accorti della sparizione della ragazza, i responsabili della struttura di Traona dove era ospitata la «fuggitiva» hanno informato la locale caserma dei Carabinieri, chiedendo l'intervento del comandante della stazione dell'Arma, maresciallo Natale Canale, per convincere L. a rientrare nella struttura, prima di sporgere denuncia.

 

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