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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Di S. Mar. - “La Repubblica”, 1° Settembre 2004

 

Non ci sono solo i forti indizi e quella fuga durata una settimana a convincere gli inquirenti della loro colpevolezza. I racconti dei due romeni arrestati domenica per il tentato omicidio di «Gino» Lovecchio, 56 anni, legato mani e piedi e massacrato a colpi di chiave inglese sulla testa, sono, per il pm Antonio Malagnino, pieni di contraddizioni. Interrogati per tre ore e mezza dal pm e poi, l’altro ieri, altre due ore abbondanti dal gip Patrizia Gambardella che ha convalidato l’arresto, Adrian Lungeanu, 21 anni, e Robert George Stan, di 22, hanno respinto ogni accusa ma hanno dato versioni diverse sui loro movimenti, in particolare quelli del giorno precedente l’aggressione. Non coincidono i racconti sulle telefonate effettuate ed emergono reciproche contraddizioni persino sul rapporto omosessuale che li legava alla vittima. Difesi dall’avvocato Alessandro Marampon, entrambi hanno dichiarato di aver lasciato l’appartamento del loro amico la mattina della sua aggressione, come era stato richiesto. Anche se Lovecchio sarebbe dovuto partire per le ferie la prima settimana di settembre. Loro invece cercavano di tornare in Romania e dovevano prendere un autobus. Ma non sapevano da dove partisse. Allora da Torino sono andati a Milano, poi a Genova, a Padova, a Roma e poi ancora a Padova, dove sono stati rintracciati e fermati. Una versione che lascia decisamente perplesso il pm e che suona proprio come una fuga.

 

Disposti a tutto per diventare ricchi: "Quegli uomini mi fanno schifo, ma devo far soldi"

Di Niccolò Zancan - “La Repubblica”, 18 aprile 2006

 

I ragazzi romeni di piazza Carlo Felice fanno la vita ma la odiano, questa è la storia. Accettano compromessi superiori alle loro capacità di sopportazione. La parola chiave è repulsione: «Stare con gli uomini mi fa schifo - dice Florian - ma ho bisogno di soldi. Questo è l’unico modo che conosco per averli in fretta, tutto qui». Oppure Adrian come Adrian Mutu, il giocatore della Juventus, un nome d’arte che forse dice molto di lui: «Metto da parte quanto basta per stare bene, poi cambio città. Nessuno deve sapere quello che ho fatto». Bisogno e vanità. Vergogna, sensi di colpa. Un salto spericolato dal nulla di Timisoara, ed eccoli qua.

Si comprano vestiti costosi, vogliono le marche, i simboli del benessere. In cambio si vendono, si odiano, si ubriacano e diventano feroci. Molti incontri in machina sfociano in rapine, aggressioni violentissime che spesso neanche vengono denunciate. Perché la vita dei ragazzi come Florian si incrocia con quelle di uomini come Calogero La Delfa, con altri silenzi, segreti, paure, altre solitudini. Ragazzi di vita e vittime ricattabili: quando l’equilibrio si rompe, arriva la polizia.

C’è una scena che racconta molte cose. Era fine agosto 2004. In questura sfilavano proprio i ragazzi di piazza Carlo Felice, sentiti come testimoni nelle indagini per il tentato omicidio di Oronzo Lo Vecchio. Sfilavano tutti vestiti identici, come se ci fosse una divisa.

Oronzo Lo Vecchio era un pensionato tranquillo e ben voluto da tutti, viveva in un appartamento di ringhiera in via Madama Cristina 62. Ne parliamo al passato perché adesso quell’uomo non c’è più, anche se è ancora vivo. Ma non ricorda nulla, non riconosce i suoi amici, si muove appena e parla a fatica. Lo Vecchio aveva ospitato in casa sua due ragazzi conosciuti ai giardini della stazione di Porta Nuova. Adrian Lungeanu e Robert George Stan, 21 e 22 anni: dormivano da lui, facevano la spesa, gli bagnavano le piante. C’era una gigantografia di un tramonto tropicale sulla parete della sua camera da letto. E, vicino al tramonto, una cassaforte a muro. La notte del 24 agosto i due ragazzi lo avevano immobilizzato, e non era un gioco erotico. Volevano farsi dare le chiavi: botte, torture. Poi lo avevano colpito in testa con una chiave inglese. Ed è per questo che, nei giorni successivi al delitto, tutti i ragazzi di piazza Carlo Felice erano stati chiamati come testimoni in questura. Ed ecco la scena, di cui si può riferire il senso ma non riportare le parole esatte: «Commissario io sono un uomo come lei. Odio queste storie, non sono gay, mi fa schifo solo a pensarci. Infatti lo giuro: non sono mai stato passivo. Mai. Io faccio. E per riuscire a fare, devo bere, io devo pensare alla mia ragazza».

Repulsione, alcol, violenza, ragazzi da marchette in cortocircuito con se stessi. «Sì - dice il capo della Mobile, Sergio Molino - molto spesso sono proprio queste le dinamiche all’origine delle aggressioni». Così sembra esserci un filo diretto fra la fine di Calogero La Delfa e l’oblio a cui è stato condannato Oronzo Lo Vecchio. Il 6 giugno 2005 Adrian Lungeanu e Robert George Stan sono stati condannati a sette anni di carcere per tentato omicidio. Altri ragazzi come loro si trovano adesso sotto gli alberi di piazza Carlo Felice, ad aspettare un cenno. Altri vanno a cercare clienti al cinema porno di via Sacchi. Oppure davanti al Caffé Leri nelle serate giuste. Altri ancora si vendono al Valentino. Tutti, immancabilmente, esibiscono il senso preciso del loro sacrificio: orologi, gioielli, telefonini ultracostosi, scarpe da 200 euro, abbronzature artificiali. E ancora chiedono regali, vogliono più soldi, fanno innamorare e poi ricattano. Oppure si salvano, se riescono a scappare da una vita che non sanno sopportare.

 

 

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