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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

 

Nel 1969 avevo cinque anni. Da allora, sino a quando fui grande abbastanza per andare a cercarmi da sola la vera storia di Ermanno, ne ho sempre sentito parlare sottovoce, con imbarazzo, vergogna, rabbia. Il caso Lavorini: un ragazzino stuprato e ammazzato dai finocchi… Non so perché, ma per quanto fossi piccola, sentivo, sapevo, che si stava compiendo un’ingiustizia, che tutti stavano usando il povero Ermanno per i loro sporchi comodi. Nel 1975, quando assassinarono Pasolini, ebbi la medesima sensazione.

Sono passati 35 anni, eppure, in lucchesia e provincia, le persone di una certa età ancora abbassano gli occhi se gli si chiede cosa accadde a Ermanno, e per la maggior parte, qualsiasi cosa si dica loro, fu vittima dei pervertiti, non di una cultura fascista incrollabilmente votata all’odio e al disprezzo, disposta a tutto pur di affermarsi. Quella destra non è mutata, così come la verità da sempre scivola addosso a chi volentieri stringerebbe il cappio al collo ad ogni omosessuale, maschio o femmina che sia.

Su questa vicenda vi propongo un estratto dall’ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002). In poche parole ha saputo descrivere i fatti, il linciaggio che la comunità gay subì in quei giorni, in quei mesi.

 

Nel 1969 viene ucciso un giovinetto di Viareggio, Ermanno Lavorini. Attorno alla sua sparizione e alla sua morte scoppia uno scandalo che ha avuto una eco enorme sui media e nella pubblica opinione.

Dal punto di vista di questa ricerca non si è trattato dell’“omicidio di un gay”, ma la campagna di stampa e le indagini, invece, ne fecero per un anno il primo caso dal dopoguerra di «omosessualità e morte». E tutt’oggi nella memoria collettiva questo caso è ricordato come un perverso intrigo di omosessuali che hanno violentato e ucciso un ragazzino. Invece non è andata così.

Ermanno era un adolescente di 12 anni e frequentava la scuola media. Viveva con i genitori e la sorella più grande. Il padre aveva sotto casa un negozio di stoffe. Il pomeriggio del 31 gennaio 1969 esce con la bicicletta e poche ore dopo arriva la prima telefonata con la richiesta di un riscatto. Sembra un rapimento, anche se la famiglia non è ricca. Comincia a scatenarsi la carica dei media, arrivano le troupe televisive. Pochi giorni dopo la trasmissione d’attualità TV7 gira un’inchiesta a caldo. Il caso monta. Senza considerare che l’Italia non era abituata ai rapimenti, alle stragi, che cominciarono in realtà pochi mesi dopo. Il peso dei media fu senza precedenti: 27 trasmissioni televisive, 300 passaggi radiofonici, 30 rotocalchi hanno pubblicato inchieste, mentre 22 inviati speciali dei maggiori quotidiani hanno scritto in media 85 articoli ciascuno.

La “Nazione sera” dell’11 febbraio 1969 titolava “Il segreto della scomparsa nel mondo del terzo sesso”. È l’inizio di un processo contro gli omosessuali - con sentenza scritta prima di cominciare - da parte degli investigatori, dei giornalisti e della piazza. Alla fine avremo un suicidio, una morte per infarto, varie carriere politiche bruciate e tantissima confusione su ciò che accadde ad Ermanno. E tre ragazzi condannati.

La polizia iniziò un’azione di controllo sugli omosessuali della zona convocando in caserma quelli noti: era prassi fino a pochi anni fa schedare e tenere pronti gli elenchi degli “invertiti”; e d’altronde non siamo così certi che questo comportamento anticostituzionale sia stato definitivamente accantonato dalle forze dell’ordine. “Ce ne sono di giovanissimi, di anziani. Circa una cinquantina”, recita un libretto diffuso in quei mesi. E racconta anche un altro piccolo episodio: “Una nuova battuta dei carabinieri in pineta. Incontrano due uomini teneramente abbracciati. Li portano dritti in galera sotto l’accusa di atti osceni in luogo pubblico. Se non altro si fa pulizia”. Polizia e giornalisti alleati per fare pulizia degli invertiti.

La verità, che si fece strada a fatica, era un’altra, legata alle vicende oscure di un gruppo politico che si chiamava “Fronte monarchico viareggino”, un gruppo di destra sorto un anno prima, vicino ad esponenti del MSI locale. In realtà alcuni giovani e giovanissimi, inesperti e rozzi, che però furono capaci di ingarbugliare la matassa dei fatti, aiutati anche da alcuni adulti più avveduti.

L’atteggiamento della stampa è fotografato nelle parole di Mario Nozza, giornalista anche lui, che ha firmato la prefazione di un testo sul caso Lavorini: “Presente in massa quando le prime pagine erano tutte un trionfalistico ribollire di titoli giganti sugli omosessuali della pineta viareggina, la grande stampa italiana fu assente quasi al completo quando si confermò la versione dell’omicidio con sequestro di persona per estorsione e vennero a galla i retroscena pseudopolitici che coinvolgevano il Fronte monarchico giovanile. (…) Finché c’erano da raccontare i particolari morbosi, fin quando il movente pareva «sessuale», tutti a scrivere, a commentare, a stigmatizzare. Ma quando venne fuori la squadraccia del Fronte, l’interesse si sgonfiò. La maggior parte dei giornali non diede nemmeno conto della sentenza, compresa quella della Cassazione, la quale stabilì, nel ‘77, che «il movente estorsivo» era maturato nel quadro di un «programma pseudopolitico». Quello appunto del Fronte viareggino. Eppure la maggior parte dell’opinione pubblica è tutt’ora convinta del contrario. Basta leggere un recente numero del «Corriere della Sera» dove, in una cronaca sui guardoni della Versilia, si riparla di Lavorini ucciso «in seguito ad abusi sessuali su di lui praticati» . E questo è completamente falso”.

Vediamo cosa scrisse "La Nazione" pochi giorni dopo il rapimento: «Le ricerche vanno avanti con il massimo rigore, setacciando i luoghi frequentati da persone equivoche. Ci sono infatti zone a Viareggio dove l’omosessualità ed il vizio hanno una fiorente e rigogliosa sede. La pineta di Ponente di sera, quella di Levante durante il giorno. Una squallida umanità bazzica i sentieri fra i pini, fa capo ai locali di dubbio livello, stringe le maglie di una fitta rete di complicità. Non si esclude che il ragazzo possa essere tenuto prigioniero da elementi dello squallido mondo omosessuale”.

Il testo citato si spinge più in là, sostenendo che la caccia all’omosessuale era diventato uno strumento di lotta politica, cavalcato dai giornali di destra, che sostenevano l’equazione «omosessuali = sinistra».

Le forze dell’ordine non furono da meno in questa «operazione vizio» e gli autori di L’infanzia delle stragi ne danno un breve resoconto: “Schiere di omosessuali sono passati nella caserma della Polizia, interrogati sul loro vizio e sulle loro amicizie. Più discrete ma non meno profonde, le indagini sugli insospettabili dalla doppia vita. Ne è uscito un elenco con 300 e passa nomi”.

Il corpo di Ermanno fu ritrovato casualmente due mesi dopo il rapimento, mal seppellito nella sabbia della pineta di Marina di Vecchiano, a pochi chilometri da Viareggio. Era vestito con gli stessi abiti del pomeriggio della sparizione, ancora ordinati e integri, con i bottoni e le cerniere normalmente chiuse. L’autopsia stabilì che era morto a causa di pugni al volto o per soffocamento, o per le due cause insieme. Nessuna violenza sessuale, nessun tentativo di stupro.

Quando, un paio di mesi dopo, furono arrestati i primi ragazzotti amici di Ermanno, che avevano letto e ascoltato molte volte ipotesi di questo genere, le fecero diventare la loro confusa e contraddittoria verità. Marco Baldisseri, sedicenne, confessò subito di essere l’omicida di Ermanno: una lite, pugni al viso, lo svenimento e il seppellimento nelle dune di Vecchiano. Ma subito dopo iniziarono le ritrattazioni e i ragazzi cominciarono a coinvolgere uno a uno diversi personaggi viareggini, nel tentativo di discolparsi. Uno dei malcapitati finiti nelle confessioni fantasiose dei giovani arrestati era Adolfo Meciani. Meciani, 42 anni, sposato, un figlio, con fama di playboy, aveva una vita gay segreta. Marco raccontò dei diversi rapporti sessuali avuti con lui in pineta, il segreto di Meciani venne fuori e i giornali misero in piazza che l’uomo aveva avuto incontri anche con numerosi altri ragazzini della zona. Meciani non resse alla vergogna, si ammalò, pensò al suicidio. Alcune settimane dopo i terribili ragazzini rincararono la dose e accusarono Meciani di essere il seppellitore di Ermanno. Quando Meciani fu arrestato era già distrutto, e pochi giorni dopo si impiccò in cella, senza aspettare che l’accusa infondata cadesse.

Pasolini scriveva in quei giorni: “Leggo nei giornali del suicidio di Meciani. Ne soffro come se fossi un suo amico o un suo parente. È atroce. Sia chiaro che non si tratta di un suicidio, ma di un linciaggio. E di questo linciaggio sono colpevoli tutti i cronisti, tutti i direttori di giornali e tutti gli inquirenti che si sono occupati di questa tragedia”.

Un’altra vittima del terrore scatenato dai giornali e dai pettegolezzi è stata Giuseppe Zacconi, personalità viareggina nota e rispettata fino ad allora. Accusato dai ragazzi come stupratore di Ermanno, è costretto a rivelare di essere impotente. “Solo in Italia”, ha poi scritto un giornalista inglese, “poteva accadere che un cittadino dovesse dichiarare di essere impotente per discolparsi dall’accusa di essere omosessuale”. Ma per Zacconi lo scandalo si trasforma in una morsa di isolamento e di morte civile a cui il poveretto non ha retto, morendo d’infarto poco tempo dopo.

Il secondo ragazzo arrestato, anche lui amico di Ermanno, era il ventenne Rodolfo Della Latta, chiamato Foffo. Lavorava nella più rinomata impresa funebre di Viareggio e fu tra i portatori della bara di Ermanno. Anche Foffo, coinvolto da Marco, sposa subito la tesi del giro di omosessuali perversi e cattivi, descrivendo orge e “balletti verdi” in appartamenti della zona, ma di fronte ai riscontri tutto questo risultò solo fantasia. Anche lui accusa Meciani e tira dentro Zacconi, dandogli il ruolo di stupratore di Ermanno e di corruttore di altri minorenni. Ed è sempre lui, attivista missino e frequentatore del Fronte, che coinvolge nelle accuse il sindaco di Viareggio e il presidente dell’Azienda di turismo, entrambi socialisti. I due politici danno subito le dimissioni, travolti dallo scandalo inarrestabile, alimentato in particolare dai giornali della destra. Quando la loro posizione si chiarirà, uno dei due si ritirerà a vita privata, piegato dalle calunnie.

Il terzo giovane arrestato, coinvolto dagli altri due, era Pietrino Vangioni, anche lui ventenne, segretario del Fronte, di cui invece Marco Baldisseri era tesoriere. Il padre di Pietrino era un informatore della polizia e sembra abbia avuto un grosso ruolo come depistatore in tutto il primo periodo delle indagini. Fra i tre arrestati, Vangioni fu quello che resse meglio la parte, sia per maggiore abilità, sia grazie ai suggerimenti del padre, informatore che riusciva anche ad essere molto ben informato dalla polizia, sia perché finì in carcere solo nel gennaio del 1970, un anno dopo la morte del piccolo Lavorini.

Il processo di primo grado iniziò nel gennaio del 1975 e la Cassazione diede la sua sentenza nel 1977. Le pene definitive furono di 11 anni per Della Latta, 9 per Vangioni e 8 anni e 6 mesi per Baldisseri, ritenuti responsabili di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona al fine di raccogliere fondi per la loro associazione.

Pasolini ha scritto un “Diario del caso Lavorini”, nel quale se la prende con tutti i personaggi che hanno avuto voce in capitolo nel montare la caccia alle streghe: ironizza sui giornalisti famelici, sui carabinieri burocrati, sui viareggini bacchettoni, ma accusa anche i giovani della sinistra contestatrice per la loro assenza, Infatti scrive: “Per es., gli studenti di nessun movimento sono intervenuti in questo caso: l’hanno allontanato da loro, considerato impopolare e indegno?”.

E a proposito del comportamento professionale dei giornalisti (e degli inquirenti) Pasolini non si limita all’ironia, ma passa all’attacco: “Ma in cosa differisce l’atteggiamento di Marco Baldisseri e compagni verso gli omosessuali dall’atteggiamento dei giornalisti di tutti i giornali italiani e di tutti gli inquirenti? Non differisce sostanzialmente in nulla, Nel lanciare le loro accuse Marco Baldisseri e gli altri si sentono sostenuti dall’opinione pubblica, sanno di far piacere all’opinione pubblica, sanno di obbedire a una necessità di odio dell’opinione pubblica, Opinione pubblica - in tal senso - rappresentata ugualmente dai cronisti dell’Osservatore romano e dai cronisti dell’Unità. Poi se la prende ancor più con la corruzione indotta dalla “cattiva maestra” televisione, colpevole di rappresentare un modello di vita falso e anestetizzato dal sesso. “Niente di più volgare. È la televisione”, scrive, “che offre lo specchio di una società dove essere diversi è peccato, è orrore”.

Una società che Pasolini tratteggia con parole dure, senza appello: “L’Italia in questo caso ha mostrato la sua vera faccia: un piccolo, sordido, ignorante paese provinciale, con turpi fantasie sui festini e sui party, senza pensare che fuori da ogni morbosità, se qualcosa del genere a Viareggio c’è stato (senza avere nulla a che fare, naturalmente con la morte di Ermanno, che è opera esclusivamente di ragazzi) si è trattato di povere riunioni di due tre amici terrorizzati, che fingono di ridere per nascondere l’incubo del linciaggio morale o addirittura reale, e soprattutto del ricatto a cui li dà in pasto, connivente, la società”. Pasolini aveva scritto queste ultime osservazioni il 14 maggio 1969. Molto prima di chiunque altro aveva inquadrato anche le verità processuali.

 

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