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Aggiornato Martedì 22-Mag-2007

 

Dall'ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002)

 

Un caso molto commovente è stato quello di Filadelfo Innao, 25enne di Lentini, Siracusa, ucciso nel novembre 1991 dal figlio di un suo ex amante, noto commerciante del luogo. Filadelfo, che aveva un negozio di parrucchiere, era un gay risolto, tutti in paese sapevano di lui, ed era piuttosto benvoluto dalla comunità. Addirittura un ispettore di polizia è intervenuto per difendere la memoria del giovane da calunnie che circolavano dopo la sua morte, e tutto il paese ha partecipato ai funerali.

L'omicida era un ragazzo di 17 anni, che gli ha sparato diverse revolverate. La ragione? Per vendicare l'onta che infangava il nome della famiglia, una relazione omosessuale di Filadelfo con il padre del diciassettenne, tra l'altro già finita da tempo. Ai carabinieri disse subito: "Delitto d'onore!". Filadelfo era scappato di casa a 15 anni, dopo i litigi col padre che non accettava la sua omosessualità. A 17 anni conobbe l'uomo che sarà causa della sua morte; l'altro ne aveva più di 40, e instaurarono una relazione che durò tre anni. Le due sorelle della vittima, Graziella e Mariarosa Innao, sono intervenute nel corso di un congresso dell'Arcigay a Bologna per domandare coraggiosamente giustizia, per ricordare il fratello e difenderlo, per chiedere all'associazione di costituirsi parte civile al processo. La scelta compiuta dalle due sorelle rappresenta ancora oggi una presa di posizione nuova e sconcertante, non solo per il contesto sociale di provenienza. Anche "Babilonia" sottolineò il fatto con queste parole di Ivan Teobaldelli: "Eccole qui le sorelle Innao, belle e altere, fragili e implacabili, che non mendicano pietà ma indicano con fermezza la strada della giustizia. E non per sete di vendetta o perché intossicate dal rancore. Vogliono solo che la morte di Filadelfo, così ingiusta, così incomprensibile, non sia dimenticata e svuotata di significato."

 

Mi ha scritto un parente di Filadelfo Innao. Nel ringraziarmi per le parole che ricordano la vicenda che ha travolto la sua famiglia, indirettamente ringrazia l'autore del libro da cui sono tratte, Andrea Pini. Mi piacerebbe che ne venisse a conoscenza, per questo pubblico queste righe - qualcuno, leggendole, forse gliele riporterà.

In passato, persone coinvolte in casi simili mi hanno contattata per spingermi, anche attraverso l'intimidazione, a non mantenere viva la memoria storica, individuale e collettiva, su quei fatti. Non era la parte lesa a pretenderlo, ma chi aveva causato morte, dolore, umiliazione e offesa. Naturalmente ogni segnalazione è rimasta al suo posto e lì resterà finché potrò tenere on-line il mio sito.

Questa lettera, quindi, mi è giunta ancor più inattesa e gradita - ha dato senso e valore al modesto lavoro di ricerca che ho tentato di svolgere con scarsissimi mezzi e nessun risultato, in un'indifferenza tanto più sconfortante e inaccettabile perché proveniente soprattutto dalla cosiddetta comunità LGBT*.

Ho abbandonato quel progetto, ma non la speranza di veder sconfitta - o almeno ridotta all'impotenza - la cultura dell'odio e del disprezzo che tante vittime ha fatto e certamente ancora farà.

Io penso che tutti dobbiamo riconoscenza al coraggio dimostrato da Grazia, Mariarosa e prima ancora da Filadelfo. Coraggio, sì - perché questo occorreva e occorre nel nostro paese per essere se stessi, per chiedere, perlopiù inascoltati o irrisi, rispetto, diritti, giustizia.

C. Ricci, 15 Maggio 2007

 

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