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Aggiornato Sabato 24-Mar-2012

 

Giovanni guardò le sue valigie. Si avvicinò alla finestra e scostò le tendine. Rimase così a lungo, osservando i fiocchi di neve volteggiare nell’aria, leggeri e candidi come piume, cotone, zucchero filato.

Era stato bambino - se ne ricordava. Aveva vissuto in quella casa i momenti più felici e tristi della sua vita. Vi aveva incontrato e perso le donne e gli uomini che avevano riempito le sue giornate, nutrito la sua anima, incantato o ferito il suo cuore. Un tempo si nasceva e moriva nello stesso luogo, circondati dai medesimi oggetti, gli stessi odori. Generazione dopo generazione – un matrimonio allargato, apparentemente indissolubile, e perfetto. Una macchina da guerra, rifugio e galera, un nido caldo e accogliente con i suoi armadi e le sue segrete. Se avesse prestato attenzione avrebbe ancora potuto sentirne i sussurri, le grida, i silenzi. Sorrise. Rivide calessi e biciclette nella tormenta, nei giorni di sole, in quelli di vento e pioggia. Udì il pianto dei bambini e quello delle donne, vide le mani indaffarate e scaltre delle nutrici, quelle spaventose o salvifiche delle levatrici, le braccia vigorose o spossate degli uomini che aveva amato, ammirato, temuto. Erano stati minatori, contadini e braccianti, operai, maestri, attori, briganti, galeotti, soldati, mercanti, preti e assassini. Avevano posseduto terreni, case, botteghe, scarpe, cappelli di feltro e paltò di lana – li avevano smarriti nei bar e nei bordelli, persi al gioco, svenduti per un tozzo di pane, un biglietto del treno o un lasciapassare, inseguendo miraggi, speranze e promesse. Vi era stato il tempo della miseria e quello dell’abbondanza, il tempo della gioia e quello del dolore. Quanta vita - e morte. Ieri - e adesso.

Sentì freddo. Si rimpicciolì nel cappotto e scostò dalla finestra.

Tutto il tempo e tutta la storia stavano in quelle valigie – e anche là, stampati sulla carta da parati ingiallita, nel buio d’una tela che ritrae un volto ormai indistinguibile, tra le suppellettili di veltro scurito, le porcellane andate in frantumi e rincollate alla meglio, i mobili impiallacciati e tarlati, sghimbesci sotto il peso degli anni e l’incuria, i tessuti che odorano di mucido, stufa a legna, sigaro toscano e polvere, nelle sue ossa stanche, nel suo corpo malandato.

Prese una vecchia tabacchiera, la pulì con il palmo della mano, strofinò contro i calzoni. Adesso poteva leggerne le iniziali: G. B. – non aveva solo quelle in comune con i suoi nonni, del padre meno ma in fondo poco ricordava, poco o nulla aveva potuto conoscere, imparare a odiare o amare - di lui. Morto in Russia, come molti, troppi altri, lì o altrove, durante il primo e il secondo conflitto mondiale. E le donne a casa – ad aspettare, tessere la tela, riempiendo le scodelle di brodaglia e pane raffermo, rammendando rammendi mentre il cuore s’ammala di malinconia.

La pendola risuonò sette volte. Giovanni sospirò – era ora di andare. Prese le valigie, raggiunse l’ingresso e prima di spengere le luci si voltò un’ultima volta. Il corridoio con le sue porte a vetri, la luce della strada che passando dalle finestre vi filtrava attraverso rischiarandolo, di fronte il salotto, laggiù la cucina con i suoi mobilacci di formica, i gambi del tavolo arrugginiti, il fornello ricoperto da uno strato di grasso che nessuna mano femminile aveva saputo e forse voluto rimuovere. La caffettiera ancora tiepida, traccia che sbiadisce degli stessi gesti di sempre, infinite volte ripetuti, tanto, tanto cari – se perduti.

Basta – ma non ebbe bisogno di pensarlo. Chiuse la porta con due mandate e scese le scale. Quasi senza accorgersene si ritrovò in strada, destato dal portone che sbattendo alle sue spalle pareva rigettarlo. Un corpo estraneo? Lui? Che bastasse andarsene per essere dimenticati? Così in fretta?

Alzò gli occhi. Ancora uno sguardo. Oltre l’impalcatura le case: disabitate, spoglie. Tutt’intorno una ragnatela di tubi, tavole di legno, cavi elettrici strappati, fiocchi di neve che danzano tra brandelli di rete frangivento e il rimpianto di panni stesi, volti amati e mani che salutano – di là dal tempo.

Nuovo Hotel Italia S.p.A. – aveva resistito, stoico, eroico, ultimo. «Pensa che bello, zio, avrai sempre qualcuno che si prende cura di te e poi le suore sono così gentili…» - sai che meraviglia morire educatamente, senza nemmeno il conforto delle proprie ombre.

Giovanni accostò le valigie al muro, si mise in bocca un sigaro e senza accenderlo s’incamminò verso il fiume.

 

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