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Aggiornato Sabato 24-Mar-2012

 

Zena salì sulla sua bicicletta, appoggiò la borsa troppo grande nel piccolo cestino, guardò il cielo e notò che finalmente le giornate si erano allungate. Il centro era affollato. Respirò profondamente, si fermò dal panettiere, acquistò le loro brioches preferite e corse verso casa. Già assaporava la quieta passeggiata che facevano ogni sera insieme a Lady, la piccola bastardina con il pelo irto e arruffato, lanciandole bastoni e sedendosi su una panchina a guardare il tramonto. Varcò il portoncino, appoggiò la bici in cortile e fece le scale due gradini alla volta. Non aspettava altro che vederla sorridere, abbandonarsi in quel suo abbraccio che rendeva la vita straordinaria – senza il quale niente aveva senso.

Si risvegliò di colpo, in lacrime.

Faceva lo stesso sogno da mesi, riviveva continuamente gli attimi che avevano preceduto il distacco, non riusciva a superarli. Ermira se n’era andata all’improvviso. Quella sera, reclinata sulla poltrona, sembrava dormisse - fu Lady a farle capire che qualcosa non andava. Non c’era stato alcun rito religioso, nessuno aveva camminato a piedi fino al cimitero, non c’era stato incenso, rosario, fiori o ceri – Ermira si era voluta sbattezzare. L’aveva accompagnata Marco a ritirare l’urna che da quel giorno era diventata la sua ossessione. Non riusciva a ricordare se ne avessero mai parlato, se ci fosse un luogo dove Ermira avrebbe voluto spargere le sue ceneri. Decise che sarebbe tornata in Africa dove l’aveva conosciuta. Decise che avrebbe ritrovato quel villaggio, quel pozzo in cui si specchiava la luna. Ma quando? Zena si sentiva così debole, sfinita. Chiuse gli occhi sperando di ritrovarla, di sentirne ancora il calore, ma per quanto si sforzasse non riusciva a evocarla.

Il tempo era trascorso, veloce e silenzioso. Erano state insieme più di vent’anni, strette in un’alleanza costruita giorno dopo giorno senza che nessuno ne potesse comprendere profondità e grandezza. L’intima gioia dell’incontro fra anime tanto diverse eppure così affini - l’appartenersi senza costrizioni come raramente capita, non è cosa che si possa replicare.

Lady da quella sera aveva smesso di abbaiare, di chiedere. Zena s’infilò un vecchio giaccone, prese il guinzaglio e la portò a fare la sua passeggiata. Raggiunsero il solito posto e lì attesero il sorgere del sole. Doveva fare uno sforzo immane per aggrapparsi alle abitudini, al lavoro, a quel niente che le rimaneva. Se Marco non fosse andato ogni sera a imboccarla, sarebbe morta di fame. Tornata a casa telefonò al lavoro per avvertire che non si sentiva bene, si preparò un caffè e si stese sul divano. Il mondo le sprofondava intorno così lentamente da sentirne gli scricchiolii. Pensò che non poteva farcela, che in qualche modo l’avrebbe raggiunta. «Beh, non occorre che ti sforzi!» - le aveva gridato Marco dopo l’ennesima crisi di pianto - «Se continui così, un giorno il tuo cuore deciderà di fermarsi e allora sì che saranno problemi!»

Zena ed Ermira avevano parlato spesso della morte. Ermira non ne era particolarmente spaventata, pensava che la vita materiale fosse solo un passaggio, un’opportunità da cogliere per migliorarsi e avvicinarsi a Dio.
Zena non riusciva a capire: «Ma allora, se ci credi tanto, perché ti vuoi sbattezzare?»
«Perché non permetto a nessuno di usarmi per cose che con Dio non c’entrano niente. Quando sarò dall’altra parte, sai che risate le belle scarpette rosse del Papa...» - aveva riso e Zena si era irrigidita. Che ne sapeva Ermira di cosa c’era prima e dopo la vita, come poteva scherzarci sopra, come poteva pensare di andarsene da sola, senza di lei? Invece l’aveva fatto.

Zena si raggomitolò nella coperta, Lady, ai suoi piedi, la guardò e sospirò. Si addormentarono, ancora. Sognarono l’estate, i giardini dietro casa pieni di luce e sole, videro Ermira che camminava verso di loro. Lady le sfuggì di mano, si avventò contro di lei saltando e abbaiando con tutto il fiato che aveva in gola. Ermira la prese in braccio lasciandosi leccare ovunque.
«Amore...»
«Vieni, tesoro, riposiamoci un po’, è una giornata così bella...» - si sedettero sull’erba - «Cosa aspetti a stringerti a me?»
«Ermira, tu...»
«Io?»
«Tu...»
«Sei una sciocchina, Zena. Te l’ho detto mille volte che non c’è da preoccuparsi. Sto bene, davvero. Dovresti smetterla di tormentarti.»
Zena la prese sotto braccio: «Dimmi che non te ne andrai, che resterai con me.»
«Non posso.»
«Allora fammi venire con te.»
«Preferisco che resti - qualcuno deve badare a Lady. Vuoi lasciare solo Marco, la tua famiglia? Non darmi questa responsabilità.»
«Non mi sembra che tu ti sia fatta tanti problemi.»
«Avrei potuto scegliere? Ecco, tu puoi – quindi cerca di non farmi stare in pensiero e prenditi cura di te. Potremmo cambiare casa...»
«Le tue cose...»
«Non hanno respiro, Zena, spargile al vento – lasciaci andare.»
«Non ce la faccio.»
«Oh, sì – devi. Sono io a chiedertelo. Guarda cosa ti ho portato...» - Ermira tirò fuori da uno zainetto un paio di scarpe rosse - «Gliel’ho rubate stanotte, sapessi che putiferio ha scatenato stamani quando non le ha trovate al solito posto. Non mi sono mai divertita così tanto.»
«Ma...»
«Lo so, tesoro, non avrei dovuto, ma proprio non ho resistito, mi servivano, altrimenti non mi avresti creduto.» - Zena cominciò a singhiozzare - «Sono contenta che hai capito. Via queste brutte lacrime...»
«Mi manchi.»
«Se tu non fossi così impegnata a piangere ti accorgeresti che ci sono.» Le consegnò Lady e si alzò: «Devo andare.»
«No, ti prego!»
«Mi spiace.»
«Tornerai almeno?»
«No, amore – rincorreresti il buio, ti affezioneresti ai sogni come se fossero ricordi. Io e te siamo altro, non scordarlo. Ti amo, ti amerò sempre.»

Furono i guaiti di Lady a svegliarla. Zena si tirò su senza nemmeno avere il tempo di fermare i pensieri. Lady abbaiava, scodinzolava, sembrava impazzita. Saltava al centro della stanza, festeggiava l’aria.

Zena smise di piangere. «Anch’io ti amo - ti amerò sempre...» - e finalmente sorrise.

 

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