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Aggiornato Sabato 24-Mar-2012

 

«Non dobbiamo rispondere alle provocazioni! Chiedo una forma di resistenza non violenta!»
«Se succede qualcosa, non puoi aspettarti che la gente non reagisca.»
«Ma se risponderemo sarà peggio!»
«Ordine! ORDINE!!!» - gridò inutilmente il moderatore all’assemblea, poi propose di sospendere i lavori per dare tempo ai gruppi di riunirsi e preparare proposte concrete sulle quali riprendere la discussione. Si trattava di decidere quale condotta adottare. Molti erano disposti a scontrarsi, anche duramente, altri no, qualcuno avrebbe addirittura preferito che si rinunciasse a scendere in piazza.

Saverio andò a salutare i compagni della sezione Bakunin.
«Vai via?»
«Devo alzarmi presto.»
«Vieni domani sera?»
«Non lo so, spero di farcela. Se non potessi venire fatemi sapere.»
«Certo, stai tranquillo.»

Raggiunse l’auto e allontanandosi fece una telefonata.
«Sono io.»
«Allora, com’è andata?»
«Al solito, non cambieranno mai.»
«Aspetta, metto il vivavoce così sentono anche gli altri.»
«Gli altri? Chi c’è?»
«Colleghi.»
«Senti, avrò almeno il diritto di sapere con chi sto parlando.»
«No.»
«Guarda che se viene fuori qualcosa qui scoppia un casino.»
«Non preoccuparti – è tutto sotto controllo.»
«Bah, sarà...»
«Fidati. Comincia dagli antagonisti...»
«Ho sentito dire che hanno intenzione di imboscare bastoni e altro in modo da potersene servire, se occorre. Occorre?»
«Lascia perdere, Saverio. Dove, quando?»
«Non lo so, ma cercherò di saperlo.»
«Bravo. E quelli del centro sociale?»
«Pare che non abbiano ancora deciso nulla.»
«Pare perché non lo sa o cos’altro?» - chiese una voce che Saverio finse di non riconoscere.
«Senta, io faccio del mio meglio, il Maresciallo può testimoniarlo. Possibile che non siate ancora riusciti a infiltrare nessuno là dentro? Ma come cazzo lavorate?»
«Stai calmo. Tu cerca solo di sapere come intendono muoversi.»
«Mica posso andare a chiederglielo direttamente! Lo sai quanto sono paranoici!»
«Lo so. In ogni caso fatti un giro con una scusa qualsiasi, vedi che aria tira. C’è altro?»
«La riunione è stata sospesa, riprenderà domani sera.»
«Tu non andare, stai coperto. Chiama appena hai novità.»
«D’accordo.» - chiuse la comunicazione, si terse la fronte con il dorso della mano e si accese una sigaretta.

Saverio riceveva compensi per le sue confidenze sin dai tempi di Lotta Continua, o almeno quello che ne rimaneva negli anni Ottanta. Era un ragazzo quando, a un posto di blocco, gli trovarono una P38 nascosta sotto il sedile della Due Cavalli. Sapevano che non era sua, ce l’avevano messa loro, ma Saverio era ingenuo e si spaventò a morte. Alla fine accettò di collaborare. L’accordo prevedeva che non modificasse in nulla le sue abitudini – doveva solo riferire quello che vedeva e sentiva. In cambio avrebbero chiuso un occhio su quella pistola e se si fosse comportato bene, se avesse fornito buone informazioni, lo avrebbero anche ripagato economicamente o con altri favori, cosa che per uno studente scarsamente interessato allo studio e con nessunissima voglia di lavorare, poteva fare la differenza. Saverio seguì alla lettera le loro istruzioni e dopo un primo, breve periodo pieno di sensi di colpa e vergogna, scoprì quanto potesse essere vantaggioso stare dalla parte dello stato. Si diplomò, acquistò un’auto nuova, s’iscrisse all’Università e continuò la sua militanza politica tra le fila degli anarchici. Non era una pedina importante, ma da quel momento poté contrattare i suoi compensi e in breve riuscì a mettere insieme l’attrezzatura professionale necessaria per farsi strada come fotografo e cameraman freelance. Tale attività avrebbe potuto essere semplicemente una copertura, ma vi si appassionò, anche se con esiti discontinui e piuttosto scadenti. Grazie a essa ebbe l’opportunità di entrare in contatto con realtà diverse, tessere relazioni - poté così raccogliere un gran numero d’informazioni ai più vari livelli, consolidando i propri rapporti con i servizi d’intelligence.

Saverio non era un caso isolato. Moltissimi insospettabili arrotondavano le entrate o si garantivano una certa impunità con le delazioni. Non sapeva chi erano, ma sapeva che c’erano, dappertutto: veri e propri infiltrati, perlopiù militari e agenti, o semplici cittadini messi alle strette, convinti a cooperare in molti modi, individuati tra chi aveva qualcosa da nascondere o frequentava persone e ambienti da sorvegliare. Anche lui era controllato – non aveva dubbi.

Rallentò guardando nello specchietto retrovisore. L’auto che lo seguiva lo sorpassò a gran velocità svoltando a destra parecchie decine di metri dopo. Saverio tirò un sospiro di sollievo e, invece di passare dal circolo come al solito, decise di tornare a casa. Non vedeva l’ora di mettersi le pantofole, infilarsi nel letto. Forse Giulia era ancora alzata - avrebbero parlato un po’, si sarebbero fatti un caffè e avrebbero fumato l’ultima sigaretta insieme prima di spengere la luce. O forse dormiva già, allora avrebbe fatto piano per non svegliarla e si sarebbe coricato vicinissimo a lei, compiacendosi del suo calore, del suo odore pungente, così familiare e rassicurante.

Giunto sull’ultima rampa di scale vide la luce filtrare da sotto la porta. Infilò la chiave nella serratura ma quando entrò la luce era spenta. Senza far rumore raggiunse la camera e zitto-zitto scivolò sotto le lenzuola. Giulia fece un piccolo movimento. Saverio ne approfittò per passarle il braccio sotto il collo. Se la posizione fosse stata comoda, il braccio non avrebbe premuto contro la giugulare di Giulia facendogli percepire le sue pulsazioni cardiache. «Ti ho svegliata?» - le chiese, ma lei non rispose. Evidentemente dormiva, ma il suo battito era accelerato come se si fosse coricata in quell’istante, o si fosse presa uno spavento. Saverio rimase sveglio sino a quando il cuore si calmò, poi finalmente chiuse gli occhi.

Il mattino dopo trovò un biglietto sul cuscino: «Buongiorno, amore. Non so se riesco a tornare per l’ora di pranzo, quindi non mi aspettare e scaldati le lasagne che ti ho lasciato nel forno. Ci vediamo più tardi, dormiglione!» Erano già le undici. Saverio si fece una bella tazza di caffè e accese il computer. Si collegò a Internet per scaricare la posta e con stupore scoprì che Outlook era stato chiuso in modo inatteso. «Che strano, ieri ho spento il PC normalmente.» - sussurrò, quindi avviò un controllo per verificare che non vi fossero virus o chissà cos’altro. Non s’intendeva molto di computer altrimenti avrebbe facilmente scoperto che l’arresto del sistema era avvenuto tramite l’interruttore di alimentazione - una procedura incauta che si applica solo in caso di blocco o si abbia una fretta dannata. Fece la scansione con l’antivirus, girò al maresciallo Pinochi varie mails, si cambiò, prese la borsa con la macchina fotografica e uscì. Aveva deciso di mangiare un panino al circolo per carpire qualche informazione.

«Hola, Saverio, qual buon vento?»
«Mangio un panino al volo che poi voglio fare qualche foto al mercatino prima che si riempia di gente.»
«Foto tue o per qualcuno?»
«Mie. Sto preparando un po’ di materiale da proporre all’Ente Provinciale del Turismo.»
«Cosa ti porto?»
«Una birra media e una boscaiola.» - prese il giornale e si sedette a un tavolo dal quale poteva comodamente vedere tutta la sala e ascoltare quello che si diceva al banco.
«Beh, novità?»
«Ti riferisci alla manifestazione?»
«Che casino.»
«Puoi ben dirlo. Stanno blindando la zona off-limit. Ministri e capi di stato hanno già mandato i loro portaborse in avanscoperta. È roba da matti, siamo prigionieri in casa nostra! Sei stato alla riunione?»
«Sì, ma sono venuto via presto. Non riesco a star dietro a tutto e poi non ho più vent’anni.»
«Andrai?»
«Penso di sì – sai, le foto. Così, se succede qualcosa, abbiamo del materiale da mostrare, con cui difenderci.»
«Per quel che serve, quelli s’inventano i calcinacci che deviano i colpi di pistola. Assurdo, è uno schifo. La sezione aderisce?»
«Certo, ci mancherebbe.»
Il barista gli portò birra e panino, poi si chinò e gli disse sottovoce che aveva paura perché gli avevano detto che qualcuno aveva in programma di fare parecchio casino.
«Chi?»
«Gente di fuori, sicuramente infiltrati. Pare che la polizia stia facendo di tutto per scatenare l’inferno. C’è un sacco di gente strana, facce da galera che fanno avanti e indietro con la Questura.»
«Saranno i rinforzi della Digos.»
«Capi e gregari dell’estrema destra sono diventati celerini? Quelli stanno prendendo accordi, te lo dico io. È il solito copione. Mi vergogno di essere italiano.»
Saverio gli diede una pacca sulla spalla: «Non so cosa dirti, Matteo. Staremo a vedere.»
«Già. E Giulia?»
«Ora la chiamo.»
«Dille di passare, così la saluto.»
«Se può.»
«Non c’è problema. Mangia, che fredda.»
Saverio non fece in tempo a comporre il numero: «Ti stavo chiamando. Dove sei? Allora passa dal circolo. D’accordo, ordino così quando arrivi è già pronto. A tra poco... Matteo, hai gli gnocchi oggi?»
«No. Tortelli.»
«Tortelli al ragù, allora. Giulia sta venendo qua.»
«Ottimo, li preparo subito.»

Saverio e Giulia stavano insieme da ventisei anni, erano praticamente cresciuti insieme. Mai un litigio vero e proprio, disaccordi preoccupanti, insanabili – una coppia storica, la dimostrazione che l’amore può durare tutta la vita. Si somigliavano, dopo quasi tre decenni anche fisicamente e nei modi di fare. Erano pigri, riservati, un po’ disimpegnati e scostanti: amici di tutti ma in definitiva di nessuno. Giulia aveva ripreso gli studi universitari ed entrambi campavano senza avere un lavoro fisso. Molti si chiedevano dove trovassero i soldi per continuare a fare i ragazzini, alla loro età. Anche se avevano uno stile di vita parco, se dichiaravano di essere ancora abbondantemente aiutati dalle famiglie seppur non benestanti, erano guardati con sospetto e qualcuno addirittura si ostinava a fargli i conti in tasca – conti che non tornavano mai. A parte questo, erano generalmente benaccetti ovunque andassero.

Giulia entrò, salutò Matteo fermandosi a chiacchiera con lui, poi raggiunse Saverio portando con sé il piatto di tortelli, un bicchiere e una bottiglia d’acqua.
«Allora, com’è andata?» - chiese Saverio facendole posto accanto a sé.
«Benissimo. Il professore dice che la tesi è quasi a posto, devo solo sistemare la bibliografia e approfondire un paio di capitoli. Secondo lui potremo discuterla entro la fine dell’anno.»
«Magnifico.»
«E tu? Cosa hai fatto stamani? Che programmi hai per la giornata?»
Saverio le disse che aveva dormito sino a tardi e che voleva fare un po’ di foto. «Che ne dici se stasera andiamo al cinema?»
«Non vai alla riunione?»
«No. Tira un’ariaccia.» Abbassò il tono di voce e le raccontò quello che si diceva in giro, quello che sapeva e aveva capito.
«Hai già chiamato Pinochi?»
«No, lo faccio dopo. Non me la racconta giusta stavolta, e poi ‘sta storia degli infiltrati fascisti non mi piace nemmeno un po’, è la conferma che stanno organizzando qualcosa di grosso. Ci saranno tutti i nostri amici, comprese le loro famiglie. Sono davvero angosciato, Giulia, forse dovrei avvertirli.»
«È pericoloso.»
«Potrei dirgli di lasciare a casa almeno i figli.»
«Con quale motivazione?»
«La prudenza.»
«È una manifestazione pacifica e poi se ci sono bambini e anziani la polizia dovrà contenersi.»
«A Genova l’ha fatto?»
«Non stai esagerando?»
«No, la situazione è grave. Ieri sera, al telefono... lo sai chi c’era con Pinochi?» Saverio le mormorò all’orecchio un nome, poi la guardò dritta negli occhi.
«Sei sicuro?»
«Altrochè. Lì per lì non gli ho dato peso. Però, dopo quello che mi ha detto Matteo, i tasselli stanno andando a posto. Ho paura che sarà un macello. Non so come fare, Giulia. Se non dico chi si è scomodato per questa storia, nessuno mi crederà. Se lo dico, si chiederanno come faccio a saperlo e allora sarà la fine.»
«Un soffiata anonima?»
«Sono controllato di sicuro e certamente lo sei tu, se ci scoprono siamo fritti. Sino a oggi ho fatto quello che dovevo senza lamentarmi. In fondo erano piccole cose, fornivo informazioni che non ci toccavano da vicino, personalmente, non più di tanto almeno. Ora mi stanno mettendo in mezzo, mi hanno messo il fucile in mano per sparare addosso ai nostri amici.»
Giulia era sconvolta, stava per sentirsi male. Saverio se ne accorse e le fece immediatamente bere un sorso d’acqua. «Non è niente, un calo di pressione.» - disse a Matteo mentre le sollevavano le gambe. Quando Giulia si riprese, Matteo si offrì di accompagnarli e li portò a casa con la sua macchina.

Rimasti soli, Saverio telefonò a Pinochi. Era infuriato: «Ma cosa avete in quelle vostre teste bacate? Non vi è bastato il casino che avete fatto nel 2001? A cosa è servito, eh? Cosa c’avete guadagnato?» Pinochi cercò di convincerlo che non c’era niente di cui preoccuparsi, che era in corso una semplice un’operazione di controllo e prevenzione. «Non prendermi per il culo! La gente non è cieca, i tuoi amici non sono invisibili e io so benissimo chi c’era con te ieri sera, cazzo! E adesso come mi dovrei comportare? Mi avete messo in un casino pazzesco.» Pinochi tentò di calmarlo, poi, vedendo che non otteneva alcun risultato, gli chiese un po’ di tempo per sistemare le cose. «Datti da fare perché stavolta non la passate liscia. Sono disposto anche a rovinarmi, ma se affondo io voi venite con me.»
«Cosa vuoi dire?»
«Non sono così scemo come credete. In questi anni ho raccolto tanto di quel materiale sulle vostre porcherie che se lo tiro fuori vi faccio saltare in aria.»
«Che tipo di materiale?»
«Registrazioni telefoniche e ambientali, foto, filmati, carte. Può bastare?»
«Ho capito. Rimani in casa e non parlare con nessuno. Adesso mi attivo e ti faccio sapere.»
Saverio mugugnò qualcosa e gli attaccò il telefono in faccia.

Pinochi fece un giro di telefonate e da Roma vollero sapere se la minaccia potesse essere presa sul serio. «Per quanto improbabile, non è escluso che Saverio abbia avuto il tempo, gli strumenti e le occasioni per raccogliere quel materiale.»
«Su questa roba cosa riferisce la compagna?»
«Non ne ha mai fatto parola. Se Saverio ce l’ha, potrebbe non saperne nulla. I casi sono due: o è all’oscuro, o sono d’accordo. Ad ogni modo, l’ultima volta che ci siamo sentiti sembrava tutto a posto.»
«L’operazione non può essere annullata, non per due stronzi. Né possiamo rischiare che scoppi un casino. Prendi tempo, tranquillizzali. Inviamo una squadra a fare pulizia.»

Dopo aver parlato con Pinochi, Saverio chiese a Giulia cosa ne pensasse.
«Credi davvero che manderanno all’aria tutto per te, per le tue minacce? Può anche darsi che abbiano bevuto la storia delle registrazioni, se così fosse, ma probabilmente in ogni caso, siamo nella merda fin sopra i capelli.»
«Sì, hai ragione, non è stata una buona idea, ho agito d’impulso, sono stato un’idiota. Ora, però, cosa faccio?»
«Cosa facciamo.»
«Tu non c’entri nulla, grazie a Dio ne sei fuori.»
«Non credo e comunque non ti lascio solo. Dobbiamo andarcene, e alla svelta.»
«Ma sei matta? Non voglio coinvolgerti, tu sei pulita, devi laurearti. Magari, che so, vado in Francia e poi mi raggiungi.»
«Vengo con te, Saverio, non posso stare qua.»
«Non dire cazzate.»
«Non abbiamo tempo per discuterne. Prendiamo lo stretto necessario e andiamo, subito!»
«È una pazzia.»
«Forse, ma non abbiamo scelta.»
«A questo punto avvertiamo i ragazzi.»
«Va bene, ma dopo.»

Giulia buttò in un paio di borsoni qualcosa per cambiarsi, la cartella con i documenti personali, i soldi, pochi monili d'oro. Saverio prese la macchina fotografica e la videocamera, il PC portatile, i telefoni. Nel giro di un’ora furono pronti e partirono.

Imboccata l’autostrada, Saverio spinse l’acceleratore al massimo.

«Devo dirti una cosa, da tanto tempo. Non ti farà piacere.» Sospirò Giulia accendendo due sigarette.
«Non ora.»
«Che succede?»
«I freni, Giulia - non funzionano...»

Saverio riuscì a guidare per parecchi chilometri, superò persino la curva che immetteva su un viadotto, ma poi perse il controllo. L’urto con il guardrail fu tremendo, il salto nel vuoto inevitabile e immediato. Morirono entrambi, sul colpo, e l’incendio dell’auto fece il resto.

«È strano...» - disse Matteo rivolgendosi agli amici - «Hanno chiamato Saverio e Giulia, erano agitatissimi, terrorizzati. Stavano per dirmi qualcosa sulla manifestazione quando improvvisamente è caduta la linea. Li sto chiamando da un quarto d’ora ma, non rispondono...»

 

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