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Aggiornato Sabato 24-Mar-2012

 

«La rabbia per esservi prostrate, per aver pregato, supplicato – ecco cosa vi ha portate via da me, cosa mi ha resa odiosa ai vostri occhi riflessi nei miei. La rabbia per quelle suppliche che non ho ascoltato mi ha resa spregevole, o pazza, insulsa. Non sono esistita, non ho mai avuto alcun valore se non in relazione alle vostre esigenze, desideri. Sono stata il vostro oggetto, non voi il mio.» Pensava Carlotta rileggendo alcune lettere disperate che custodiva in una valigia di cartone.

Era scesa in cantina per fare un po’ di pulizia. Da anni rimandava quel momento: troppa polvere, troppi ragni e poi gli ambienti piccoli, privi di finestre, le davano un senso di soffocamento insopportabile, tuttavia, a causa dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento, si era reso necessario fare spazio per riporvi almeno temporaneamente alcuni mobili e altre masserizie ormai inutilizzate o inutili. La stanza era piena sino al soffitto di scatoloni in cui lei e i suoi familiari avevano imballato ogni sorta di oggetti: libri e quaderni scolastici, elettrodomestici rotti, scarpe e abiti smessi, passati di moda, regali sgraditi, suppellettili ingombranti che non servivano o non piacevano più, ninnoli e ricordi d’altri tempi che nessuno aveva avuto il coraggio di buttare via.

Carlotta si fece largo a fatica, appoggiò la valigia su un vecchio comodino e cominciò a rovistare: cartoline, lettere, scontrini, ricevute fiscali di ristoranti e alberghi, biglietti del treno, del teatro, del cinema, depliant, alcune fotografie. Un tempo conservava tutto perché tutto le sembrava importante, necessario per fissare i momenti, e in effetti, guardando quei cimeli, ricordò cose che erano apparentemente sparite dalla sua memoria – inezie, ma anche piccole e grandi gioie, speranze, dolori, offese. Una folla di volti perlopiù sfocati o senza nome cominciò a girarle intorno.

Aveva avuto una giovinezza assai vivace. Non era mai stata spensierata o superficiale, nondimeno, talvolta aveva vissuto come se lo fosse. La vita era trascorsa veloce, presa a morsi, precipitata come una valanga che nel suo discendere impetuoso tutto travolge, senza discernimento. Alla fine, in mezzo a tanta devastazione, niente resta integro - di fronte a un tale accumulo, poco o nulla è distinguibile.

Carlotta stringeva tra le mani brandelli d’esistenza e umanità a cui altri, esaurito lo scopo, avevano rinunciato – per sempre, cancellandoli d’un colpo. Amicizie, passioni, amori - aveva amato e dato e preso ogni volta come fosse la prima e l’ultima. Mai il tempo, le convenzioni e i pregiudizi avevano segnato confini, imbrigliato il suo cuore, fiaccato la sua mente, e sempre aveva sofferto l’abbandono anche quando a lasciare era stata lei. Improvvisamente non contare più nulla, non esistere più. Morire senza dipartire. Sapersi seppelliti – vivi. Questo l’aveva umiliata lasciandole piaghe che non volevano rimarginarsi, non completamente, almeno – e questo oggi le impediva di aprirsi alla vita con la leggerezza e la fiducia necessaria. «Come possono le persone aver senso e valore solo in relazione ai nostri momentanei bisogni?» – si chiedeva. «Come può la persona amata sino a un attimo prima improvvisamente sparire, non lasciar traccia, quasi non fosse mai esistita? Come si fa a non aver più bisogno di lei almeno come essere umano?». Di lutto in lutto, di ferita in ferita, negli anni aveva imparato a fare a meno degli altri, in ultimo persino con piacere, traendone soddisfazione e una inedita sensazione di stabilità.

Abbassò il coperchio della valigia e la mise accanto ad altri scatoloni destinati alla discarica. Perché conservare oggetti che evocavano ricordi dai quali, comunque, era impossibile separarsi?

Chiuse la cantina e dopo una decina di viaggi finì di caricare la macchina. Giunta al capannone ed espletate le procedure, cominciò a scaricarla di buona lena. A causa dell’imperizia, la pila sulla quale stava posando l’ultimo scatolone franò. Uno degli scatoloni danneggiati dalla pioggia della mattina si ruppe sparpagliando il suo contenuto e Carlotta non poté fare a meno di scuriosare con lo sguardo. La sua attenzione fu attratta da un pacchetto di lettere tenute insieme con un cordicella. Quasi senza rendersene conto lo raccolse e fulmineamente lo mise in tasca. Piena d’imbarazzo per quel piccolo furto al quale non avrebbe potuto dare spiegazione e che comunque nessuno notò, rimontò in macchina e quasi fuggì. Appena si sentì abbastanza lontana da occhi indiscreti, arrestò l’auto e si toccò la tasca – il pacchetto era lì davvero, non aveva immaginato di prenderlo. Era incuriosita ma anche spaventata – le ci volle qualche minuto prima di decidersi a tirarlo fuori.

Le lettere, tutte risalenti agli anni Ottanta, erano indirizzate alla stessa persona – una certa Anna. Alcune, però, non avevano affrancatura né indirizzo – forse erano state consegnate a mano. Carlotta trasalì: ma quella era la sua calligrafia! Cominciò a tremare, sudare, e quasi strappando la busta estrasse un foglio a quadretti ingiallito. Lesse e rilesse: parole appassionate, ragionamenti profondi, ricordò persino un paio di frasi ma non la persona alla quale aveva scritto! Dov’era, cosa faceva in quel periodo? Tornò indietro nel tempo, ma per quanto si sforzasse, nulla. Si giustificò pensando che erano stati anni difficili, frenetici, confusi, attraversati da un numero incredibile di persone con le quali aveva avuto ogni tipo di relazione, ma questo non le impedì di sentirsi terribilmente in difetto. Aveva cancellato quella donna dalla sua mente.

Era lì, tutta preoccupata per la sua salute (che si trattasse di un principio di Alzheimer?), quando un pensiero sconvolgente la travolse: Anna aveva conservato la sua lettera almeno sino alla sera prima, poi, forse proprio com’era accaduto a lei, di fronte all’evidenza si era arresa. Non aveva voluto dimenticarla ed era indubbio che avesse sofferto il suo abbandono, altrimenti perché conservare con tanta cura e per così tanto tempo quelle parole? Le lettere le caddero dalle mani sparpagliandosi dappertutto. Dio, che coincidenza - e che equivoco, che malinteso!

Mortificata, piena di vergogna per non essere riuscita a essere migliore degli altri, per averlo soltanto creduto, per aver presumibilmente procurato più dolore e delusione di quanto le era sembrato, pensò che per porre rimedio alla sua sconfinata dabbenaggine, avrebbe forse potuto tentare di risalire a lei attraverso gli indirizzi appuntati su una vecchia rubrica, quindi decise di tornare alla discarica con l’intenzione di riprendere la valigia in cui l’aveva lasciata, ma giunta sul piazzale era tutto svanito.

Si guardò intorno e vide un ometto che senza riguardo ammucchiava alcuni oggetti suddividendoli per tipo o in base al materiale con cui erano fatti: il legno volava tra il legno, ad esempio, la plastica tra la plastica e così via – arredi di ogni tipo, alcuni ancora in buono stato, raggiunte le cataste finivano perlopiù a pezzi.
«Scusi! Scusi!» - gridò Carlotta cercando di attirarne l’attenzione. L’uomo si voltò con aria alquanto irritata. «Ho portato degli scatoloni ma mi sono accorta di aver inavvertitamente gettato anche una valigia di cartone che conteneva documenti personali importantissimi, può mica indicarmi dove è stata portata la roba che era là?»
«Qui stocchiamo solo mobilio, elettrodomestici, eccetera. Il resto finisce in un altro capannone. I camion sono partiti da un pezzo.»
La delusione di Carlotta doveva essere evidente perché l’uomo aggiunse che qualsiasi cosa avesse buttato poteva considerarla perduta, poi disse: «Certo è strano, oggi lei è la seconda persona che viene a riprendersi qualcosa. Dovreste stare più attente quando fate pulizia.»
Carlotta annuì mestamente e fece per allontanarsi quando quella frase riecheggiò nelle sue orecchie: «Attente?» - chiese voltandosi - «Chi altro è venuto e cosa cercava?»
«Ma che ne so io!? E comunque mica chiediamo la carta d’identità alla gente!»
Carlotta si sentì un po’ scema, che idea bislacca le era venuta. «Ha ragione, scusi se le ho fatto perdere tempo.»
«Perché le interessa?»
«Sto cercando un’amica, il suo indirizzo forse era in quella valigia e mi è venuto in mente che... Lasci perdere, è un’assurdità. Grazie lo stesso.»
«Aspetti...» - l’uomo tirò fuori dal taschino un biglietto - «Ha voluto lasciarmi un recapito nel caso avessi potuto interessarmene. Sì, c’è anche il nome...»

Anna.

 

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