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Aggiornato Lunedì 10-Giu-2013

 

 

«Maledette fotografie!» - esclamò John Doe, sergente maggiore delle forze armate statunitensi dislocate in Afghanistan - «Ma cos’è ‘sta fissa di farsi fotografare? Possibile che non abbiano ancora imparato la lezione? Non bastavano quelle di Abu Ghraib?». Era davvero infuriato, non contro le aberranti azioni del cosiddetto Kill Team, composto dai soldati della Seconda Divisione, ma contro la stupidità dei suoi membri, così cretini da farsi immortalare insieme ai cadaveri vilipesi dei civili uccisi per divertimento, offrendo alla stampa e all’opinione pubblica la prova che la popolazione, lì come altrove, era l’ultima preoccupazione delle forze di occupazione.

Guglielmo, blogger e giornalista freelance non accreditato, assistette alla scena casualmente, invero senza stupirsene. Chiunque avesse un minimo di senso critico, di conoscenza storica, sapeva che gli Stati Uniti ne avevano fatte di cotte e di crude: la guerra in Afghanistan e in Iraq, a conti fatti, era il meno peggio se paragonato alle porcate che avevano combinato in giro per il mondo negli ultimi 50 anni. Altro che esportare la democrazia, altro che missioni di pace - quelle erano guerre sanguinarie, businnes irrinunciabili che i gruppi di potere internazionali non si lasciavano sfuggire, creavano dal nulla, ad arte.

John Doe, distante appena qualche metro dal suo tavolino, stava parlando animatamente. Quando la discussione si fece concitata, Guglielmo non riuscì più a distinguerne le parole. D’altronde, aveva perso parzialmente l’udito a causa di un attentato al quale era sopravvissuto per puro miracolo - nulla di strano che facesse fatica, e in ogni caso non gl’importava di starlo a sentire. Quella storia era vecchia di un anno: i Killer di civili erano già stati individuati, arrestati e condannati - solo alcuni giornali europei l’avevano sbattuta in prima pagina, come se non avessero notizie fresche su cui avventarsi.

Erano già le dieci. Guglielmo non era lì per spiare i militari della coalizione, voleva soltanto finire la sua cena e tornare in albergo.

Era stanco, stufo di vedere tutti i santi giorni qualcuno morire. Bambini, donne, uomini. A Kandahar e dintorni, la morte riempiva l’aria, camminava per strada, aveva gli occhi di ogni essere umano sfuggito ai tagliagole talebani e alle incursioni Onu. Qualsiasi momento era buono per andarsene all’altro mondo, specialmente se te ne andavi in giro a raccogliere informazioni. O ti ammazzava una bomba, o finivi nel mirino di qualche fanatico in vena di spassarsela con la tua testa. Ma poteva anche capitarti di esagerare con le domande, potevi anche finire al centro di qualche traffico internazionale (denaro, armi, droga, antichità), allora non tornavi a casa nemmeno da morto.

Brutta storia questa guerra schifosa, crocevia di troppi sporchi interessi.

Guglielmo pagò il conto, circa 250 afgani, e raggiunse l’Hotel, il Continental Guesthouse, uno dei più apprezzati dai giornalisti perché ogni camera aveva un collegamento internet sempre attivo.

Accese il PC, fece una doccia veloce e si mise al lavoro. Aggiornò il suo Blog con un breve editoriale sulla condizione della donna che, nonostante la caduta del regime talebano, non era affatto migliorata, tutt’altro. Lesse i commenti deliranti a un post di due giorni prima, scrisse una mail alla famiglia, poi decise di riordinare alcuni appunti che gli procuravano ansia e preoccupazione.

Era sulle tracce di alcuni Contractor inglesi che avevano messo in piedi un considerevole traffico di droga. Oppio, coltivato dagli afgani nelle zone più remote e inaccessibili del paese, quindi raffinato ed esportato grazie alla fitta rete di connivenze e corruttele, pagato con i dollari americani e con le armi. Il problema si era venuto a creare sin dall’inizio dell’Operazione Enduring Freedom, quando ancora i contingenti militari americani erano seriamente impegnati a dare la caccia a Osama Bin Laden e agli uomini di Al-Qaeda. I Contractors privati, almeno 26 mila, piovuti sull’Afghanistan come una devastante grandinata durata dieci anni, avevano immediatamente messo il cappello sul lucroso businnes del traffico delle armi e della droga. Una mano era al soldo dei committenti occidentali, l’altra operava e arraffava per sé e forse per quella stessa committenza, in barba alle leggi e agli intendimenti internazionali.

Anche questa non era una storia nuova, nulla che il mondo potesse dire di non sapere, ma il fatto di essersi imbattuto in informazioni di prima mano lo lasciava incerto su cosa farne.

Guglielmo non godeva di alcuna protezione, era lì per spirito di avventura, nessuno lo pagava per le sue inchieste e nemmeno per morire. Un quotidiano locale gli aveva fatto un contratto grazie al quale aveva ottenuto il visto per entrare in Afghanistan come corrispondente, ma naturalmente era tutto finto. Da tempo quella guerra insensata non interessava a nessuno. Perciò, si chiedeva se valesse la pena di rischiare oltre l’accettabile per una vicenda che non avrebbe aggiunto, né cambiato nulla. Certo, neppure i suoi editoriali sulle condizioni di vita degli afgani avevano peso, ma almeno gli piaceva scriverne, erano argomenti alla sua portata. Le armi, la droga, i Contractors - erano troppo, soprattutto per lui che non aveva un’opinione di sé sovrastimata.

Era notte fonda. All’orizzonte si vedevano dei bagliori. Un decennio, e ancora la gente moriva. «Finirà mai?», sussurrò, quindi chiuse le tende e s’infilò nel letto, esausto.

Il mattino dopo, di buonora, scese nella Hall dell'albergo. Fece un’abbondante colazione e scambiò quattro chiacchiere con alcuni giornalisti che avrebbero partecipato a una conferenza stampa indetta dalle forze ISAF. Che cazzo c’avranno mai da dire, pensò - e uscì in strada.

Il programma della giornata prevedeva un giro al mercato per scattare qualche foto e un’intervista all’Imam della moschea. Guglielmo, decise di andare a piedi, non aveva alcuna voglia di ascoltare le lamentele di un altro tassista. Percorse una serie di vicoli stretti e bui, poi, poco prima di giungere nella piazza, qualcuno lo afferrò al collo e lo trascinò in un angolo. Ebbe appena il tempo di sentire uno dei due aggressori intimare all’altro: «Uccidilo!» - quindi non ebbe scampo.

La Polizia Nazionale Afgana, giunta sul posto su segnalazione di un contadino, non poté identificarlo. Gli avevano portato via tutto: documenti, tesserino, portafoglio, soldi, orologio, macchina fotografica, persino le scarpe. Fu un giornalista francese che passava di lì per caso a riconoscerlo e dato che alloggiava nel suo stesso albergo, si offrì di accompagnarvi gli inquirenti. Fecero presto a trovare i suoi appunti e, naturalmente, ipotizzarono che l’avessero ammazzato per tappargli la bocca. Non c’entrava nulla la droga - era semplicemente stato vittima di una rapina. Una comunissima, stupidissima rapina, ma questo, loro, non potevano saperlo.

La notizia del brutale assassinio e del tentativo di farlo passare per una rapina finita male, fece il giro del mondo rapidamente. Guglielmo, per la prima volta, ebbe l’onore di apparire nell’elenco dei giornalisti - morti.

Suo malgrado e contro ogni previsione, divenne un eroe. Grazie alle informazioni che aveva raccolto - e che il New York Times pagò a peso d’oro a un funzionario di polizia corrotto, avviando così una propria inchiesta -, scoppiò uno scandalo internazionale che portò all’arresto e alla condanna non solo dei mercenari implicati, ma anche di parecchie decine d’imprenditori e faccendieri esteri, nonché alla chiusura di numerose compagnie private per la sicurezza le quali, si scoprì, finanziavano le milizie talebane.

I familiari di Guglielmo tennero attivo il Blog per qualche mese postandovi i risultati del suo lavoro e dell’inchiesta che ne era derivata. Poi, a riflettori spenti, smisero di aggiornarlo. Tre anni dopo la sua morte, in Internet non ve n’era già più traccia.

A Monte Colombo, il minuscolo paesello in provincia di Rimini che gli aveva dato i natali, l’amministrazione comunale fu sul punto di dedicagli una delle due piazze, poi, passato il clamore, se ne dimenticò completamente.

Guglielmo seguì l’intera vicenda tra l’incredulo, il divertito e l’amareggiato. Alla fine, concluse che l’umanità è feccia e finalmente poté godersi il meritato riposo.

 

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