
«Ecco, se dovessi descrivere in poche parole il nostro caro Edoardo, direi che è stato un... un... un gran coglione!». Dopo un attimo di smarrimento, gli amici riuniti per dargli l’ultimo saluto scoppiarono in una fragorosa, collettiva, sgangherata risata.
Sì, un vero coglione. Il campione dei coglioni, per l’esattezza.
Edoardo, non aveva mai brillato per scaltrezza. Aveva la dote innata di cacciarsi nei guai e più s’impegnava per evitarli e peggio era. Non gli si poteva affidare alcun incarico di responsabilità. Era un pasticcione tremendo, sempre distratto, sempre con la testa tra le nuvole - capace di parcheggiare in discesa senza inserire la marcia o mettere il freno a mano, capacissimo di dimenticarsi il giorno del matrimonio e presentarsi con tre ore di ritardo, perfettamente in grado di dar fuoco a una pineta per dimostrare che era capace di accendere un fuocherello con la pietra focaia, in piena estate.
Di professione ladro, aveva avuto una carriera al contrario. Non che fosse incapace di scassinare serrature, tutt’altro, ma spesso dimenticava a casa i ferri del mestiere o almeno quelli che gli servivano proprio in quel momento, e poi non aveva il passo felpato, l’agilità e la prontezza necessarie, più d’una volta aveva fatto un tale fracasso da rischiare l’arresto prima ancora di essere entrato in un appartamento. Alla fine, i soci lo avevano progressivamente reso inoffensivo. Da principio facendogli fare l’autista, ma dopo una fuga finita male perché non aveva fatto benzina prima di partire, lo avevano relegato al ruolo di palo, ma dato che in un’occasione si era addormentato senza accorgersi dell’arrivo della vigilanza, lo avevano ridotto al rango di facchino. Insomma, caricava e scaricava le auto - senza muoversi dal garage.
Un giorno, al culmine dell’avvilimento a causa della scarsa considerazione di cui godeva, sentì in sé una vocina malandrina che gli suggeriva di mettersi al lavoro. «Farò da solo!” - esclamò eccitato - «Vedranno di cosa sono capace!».
Scelse l’obiettivo con cura - una villetta a schiera abitata da una famiglia benestante -, studiò i movimenti degli inquilini scoprendo che erano in partenza per le vacanze, infine, preparò gli attrezzi da scasso e decise di andare.
Tutto filò liscio come l’olio: come previsto, la porta si aprì docilmente, nessun allarme si mise in funzione e in casa non c’era anima viva. Entrò facendo meno rumore possibile, salì le scale, posò il borsone e si mise a cercare la cassaforte. A un certo punto si accese la luce e alle sue spalle apparve il maresciallo dei carabinieri. Lo sbigottimento fu reciproco. Edoardo ebbe appena il tempo di chiedersi cosa ci facesse, lì, in pigiama poi, e l’unica cosa che pensò di fare fu guadagnare l’uscita, ma sulla via di fuga, un passo prima delle scale, il suo borsone gli fece lo sgambetto.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, vide il maresciallo sopra di lui che gli diceva di non muoversi.
Edoardo pensò: sono fritto - poi gli chiese con un filo di fiato cosa ci facesse in quella casa.
«Ci abito», rispose.
«Da quando?»
«Da anni.»
«Ma questo non è il civico 465/c?»
«No, è il civico 465/d.»
«Che coglione.»
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