Due
occhi color nocciola, trasparenti e limpidi, pieni di vitalità
e tristezza. Uno sguardo attento e indagatore, facilmente intuibile sebbene
protetto dietro due spesse lenti la cui montatura ad ali di farfalla acuisce
l’impressione di trovarsi di fronte ad una donna arroccata e sola.
Una
bellezza, la sua, piuttosto insolita, corollario di un atteggiarsi distaccato
e fors’anche indisponente, ma colmo di quella benevola durezza che
sempre segna il volto con leggere rughe di espressione là dove
il viso è più flessuoso e traducibile, più vulnerabile
e significativo, più somigliante a quello che si è intimamente
– sicché, Fabienne, era il ritratto di se stessa nel sorriso
e nello sguardo e questi, di fatto, ne sbugiardavano il comportamento.
Così, con quell’assurda pretesa d’infondere timore
o disinteresse, Fabienne otteneva immancabilmente l’effetto contrario.
Nei
suoi occhi, sulle sue labbra, trionfava beffarda un’immensa dolcezza,
un disperato bisogno d’amore e comprensione, l’incontenibile
rassegnazione di chi dubita innanzi tutto di sé. Chiunque vi avrebbe
potuto attingere le più prelibate ghiottonerie, prendendovi rivincite,
godendo del potere quasi illimitato di possedere l’altro senza nessuna
contropartita, senza nulla rischiare. A quarant’anni compiuti, Fabienne,
era troppo delusa e stanca per permetterlo ancora, di qui la necessità
di ritirarsi in una solitudine indesiderata che ne rendeva ancor più
evidenti i bisogni e l’infelicità.
Caduta
ogni resistenza nella stanchezza di fingersi, ecco Fabienne in tutta la
sua cedevole, arrendevole semplicità: Fabienne è disarmata,
disorientata, ed è questo di lei che disarma e disorienta; Fabienne
vuole amore ed è nata nuda per essere nuda, ma di lei è
questo che inibisce; Fabienne ha paura di restare sola, ha paura del tempo,
di sbagliare, di disturbare e nei suoi libri, nelle sue lunghe domeniche
trascorse spiando il silenzio, nei suoi quaderni dove nessuno andrà
a scuriosare, trova posto, si esalta e consuma un’intelligenza e
una sensibilità rara – ma è soprattutto questo che
di lei intimidisce e spaventa.
E
allora è bello cercarle in volto il pianto che vi è trascorso,
aiuta a non sentirsi estranei, differenti – quel pianto ci accomuna
ed è rassicurante scoprire che a mille anni di distanza un poco
le somigliamo… Così ho capito che questo cercarsi reciproco
crea una zona franca impenetrabile dall’esterno, un segmento di
silenzio nel quale si viene a stabilire quell’intesa alchemica che
salva dal baratro dell’indifferenza, che avvicina le persone affini
e ne decide il futuro comune – qui nasce il tacito accordo di alleanza
spirituale tra consanguinei.
Lo
sconcerto è naturale quando incontrarsi non è un caso, un
attimo qualsiasi della sua vita che facilmente dimenticheremo.
Ci
presentò un’amica a da allora non l’ho più vista.
Passammo pochi minuti insieme e nulla ci dicemmo, ma ho la certezza che
per una ragione a me sconosciuta, dovevamo guardarci e pensarci esattamente
com’è avvenuto – in nessun’altro modo.
Fabienne
mi salutò con un gesto della mano ed io avrei voluto dire: “Vieni,
vieni con me”, ma al solo pensarlo mi parve che le labbra le si
irrigidissero in una richiesta di rispettoso, paziente silenzio.
Allargai
le braccia ed ella annuì.
Ci
allontanammo una nella direzione opposta dell’altra e forse anche
lei, come me, proseguì per la sua strada senza voltarsi.

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