Si
erano conosciuti otto mesi prima.
Abele.
L’avvilimento di svegliarsi tutte le mattine senza udire altro che
il proprio respiro – e prepararsi il caffè, rifare il letto,
mettere un po’ di musica… Radersi, ormai, era diventato un
inutile spreco d’energie, quasi come scegliere l’abito più
bello e nascondere le rughe della faccia sotto qualche pennellata di terra
abbronzante. E intanto Caino decideva per entrambi il gioco crudele delle
finzioni… Caino, il bel tenebroso, l’uomo la cui storia faceva
accapponare la pelle per sconclusionatezza e vacuità, imbastiva
l’intricata trama di un trascinarsi inusitato e squallido nei meandri
altrimenti avvincenti della passione. Abele non sopportava più
quella mancanza di condivisione, rispetto. Triste bilancio, dopo appena
qualche mese di relazione, scoprire che non vi era mai stata gioia né,
forse, amore.
Le
dinamiche erano sin troppo chiare e agghiaccianti, soprattutto per Abele
che fra i due era certamente il più stanco e deluso, perché
egli amava davvero quel corpo possente, quegli occhi incavati, profondi
e neri, come un abisso attraenti; amava quelle sopracciglia ombrose che
parevano proteggere o nascondere lo sguardo; adorava quel viso squadrato,
scolpito nella carne, quelle labbra consunte, sempre dischiuse, quasi
incapaci di trattenere il respiro, o un sussurro. Sì, Abele amava
il suo prepotente amante, l’unico uomo che era entrato nella sua
vita senza dire una parola, senza nemmeno bussare.
«La
vita è là fuori!», gridò Caino. E Abele pensò
subito ad un universo stupido che gira in tondo, impazzito per una manciata
di scintillii riflessi – un brulichio farneticante e frenetico di
gazze ladre. «No, mi dispiace, ma la vita è qui ed è
qui che intendo viverla.», gli rispose - ma Caino, che non sapeva
ascoltare nemmeno se stesso, cominciò a non rincasare la notte.
E così, Abele, si svegliava tutte le mattine solo come un cane,
lui e il caffè bollito, lui e il rasoio abbandonato distrattamente
sul lavandino – ubriaco di tristezza e malinconia.
Eppure
vi era davvero qualcosa che li attraeva uno verso l’altro. Qualcosa
che inspiegabilmente li univa. «Ti amo», ripeteva Abele –
ma quelle parole terrorizzavano Caino e il sentimento che sentiva crescere
dentro di sé lo pietrificava.
Per
Abele amare significava fermarsi, poter finalmente riposare sereni, sorridere
senza fatica, non doversi guardare le spalle. Ma Caino aveva mille inquietudini
con le quali giocare o fare i conti – lui non aveva tempo per l’amore.
Abele
aveva fatto le sue scelte, l’aveva pagata cara la libertà
di viversi – Caino non gli somigliava in questo, come in molto altro,
del resto. Nessuna scelta, nessuna certezza – era un bambino con
il cuore diviso a metà, capace di calpestare l’evidenza,
capace d’indifferenze imperscrutabili.
Troppa
carne, troppo sangue, Caino. Adesso comincia pure a tremare, ma per qualcosa,
stavolta. Abele ha fatto la valigia e stanotte non lo troverai al solito
bar, non aspetterà sveglio che tu decida cosa ne sarà del
suo amore. Abele è andato ad insaponarsi la faccia, da stasera
torna nel mondo. Un po’ di dopobarba, la cravatta migliore, quella
di seta – gli occhi ancora umidi di pianto e la mano che scrive
due righe, così, giusto per dirti che se non lo cerchi è
meglio.
“Soltanto
di notte le menzogne e le verità si mescolano e finiscono col somigliarsi
– per questo, forse, sono più orrende, più autentiche
e comprensibili. Nella notte le nostre profondità strisciano raso
muro intorno alle case, ai piedi del nostro letto. Certi uomini gli camminano
al fianco e guardano all’oscuro con sincero stupore e persino raccapriccio,
ma non vi si sottraggono, non fuggono ciò che è ignorato,
negato o aborrito dagli abitanti del giorno, anzi, se ne ubriacano volentieri
consci d’esserne solo momentanei spettatori – vi sono altri,
però, che pensano d’esserne addirittura un’incarnazione
e invece altro non sono che l’ombra del loro travestimento, l’allegorica
scimmiottatura di quello che vorrebbero essere. ‘Da sbronzi si ride
e si piange meglio’ – che stupidaggine, che inutile spreco
di vita…” – così pensando, Abele si congedava
davvero, davvero lasciava dietro di sé quel penoso sopravvivere
all’amore.
La fuori, la stessa notte di sempre aveva imparato ad aspettare paziente
che le fosse recato il giusto tributo in lacrime o sangue…
Avancer
sans hésiter, messieurs – entre! Je vous rattraperai…

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