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Aggiornato Giovedì 11-Ott-2007

 

Si erano conosciuti otto mesi prima.

Abele. L’avvilimento di svegliarsi tutte le mattine senza udire altro che il proprio respiro – e prepararsi il caffè, rifare il letto, mettere un po’ di musica… Radersi, ormai, era diventato un inutile spreco d’energie, quasi come scegliere l’abito più bello e nascondere le rughe della faccia sotto qualche pennellata di terra abbronzante. E intanto Caino decideva per entrambi il gioco crudele delle finzioni… Caino, il bel tenebroso, l’uomo la cui storia faceva accapponare la pelle per sconclusionatezza e vacuità, imbastiva l’intricata trama di un trascinarsi inusitato e squallido nei meandri altrimenti avvincenti della passione. Abele non sopportava più quella mancanza di condivisione, rispetto. Triste bilancio, dopo appena qualche mese di relazione, scoprire che non vi era mai stata gioia né, forse, amore.

Le dinamiche erano sin troppo chiare e agghiaccianti, soprattutto per Abele che fra i due era certamente il più stanco e deluso, perché egli amava davvero quel corpo possente, quegli occhi incavati, profondi e neri, come un abisso attraenti; amava quelle sopracciglia ombrose che parevano proteggere o nascondere lo sguardo; adorava quel viso squadrato, scolpito nella carne, quelle labbra consunte, sempre dischiuse, quasi incapaci di trattenere il respiro, o un sussurro. Sì, Abele amava il suo prepotente amante, l’unico uomo che era entrato nella sua vita senza dire una parola, senza nemmeno bussare.

«La vita è là fuori!», gridò Caino. E Abele pensò subito ad un universo stupido che gira in tondo, impazzito per una manciata di scintillii riflessi – un brulichio farneticante e frenetico di gazze ladre. «No, mi dispiace, ma la vita è qui ed è qui che intendo viverla.», gli rispose - ma Caino, che non sapeva ascoltare nemmeno se stesso, cominciò a non rincasare la notte. E così, Abele, si svegliava tutte le mattine solo come un cane, lui e il caffè bollito, lui e il rasoio abbandonato distrattamente sul lavandino – ubriaco di tristezza e malinconia.

Eppure vi era davvero qualcosa che li attraeva uno verso l’altro. Qualcosa che inspiegabilmente li univa. «Ti amo», ripeteva Abele – ma quelle parole terrorizzavano Caino e il sentimento che sentiva crescere dentro di sé lo pietrificava.

Per Abele amare significava fermarsi, poter finalmente riposare sereni, sorridere senza fatica, non doversi guardare le spalle. Ma Caino aveva mille inquietudini con le quali giocare o fare i conti – lui non aveva tempo per l’amore.

Abele aveva fatto le sue scelte, l’aveva pagata cara la libertà di viversi – Caino non gli somigliava in questo, come in molto altro, del resto. Nessuna scelta, nessuna certezza – era un bambino con il cuore diviso a metà, capace di calpestare l’evidenza, capace d’indifferenze imperscrutabili.

Troppa carne, troppo sangue, Caino. Adesso comincia pure a tremare, ma per qualcosa, stavolta. Abele ha fatto la valigia e stanotte non lo troverai al solito bar, non aspetterà sveglio che tu decida cosa ne sarà del suo amore. Abele è andato ad insaponarsi la faccia, da stasera torna nel mondo. Un po’ di dopobarba, la cravatta migliore, quella di seta – gli occhi ancora umidi di pianto e la mano che scrive due righe, così, giusto per dirti che se non lo cerchi è meglio.

“Soltanto di notte le menzogne e le verità si mescolano e finiscono col somigliarsi – per questo, forse, sono più orrende, più autentiche e comprensibili. Nella notte le nostre profondità strisciano raso muro intorno alle case, ai piedi del nostro letto. Certi uomini gli camminano al fianco e guardano all’oscuro con sincero stupore e persino raccapriccio, ma non vi si sottraggono, non fuggono ciò che è ignorato, negato o aborrito dagli abitanti del giorno, anzi, se ne ubriacano volentieri consci d’esserne solo momentanei spettatori – vi sono altri, però, che pensano d’esserne addirittura un’incarnazione e invece altro non sono che l’ombra del loro travestimento, l’allegorica scimmiottatura di quello che vorrebbero essere. ‘Da sbronzi si ride e si piange meglio’ – che stupidaggine, che inutile spreco di vita…” – così pensando, Abele si congedava davvero, davvero lasciava dietro di sé quel penoso sopravvivere all’amore.

La fuori, la stessa notte di sempre aveva imparato ad aspettare paziente che le fosse recato il giusto tributo in lacrime o sangue…

Avancer sans hésiter, messieurs – entre! Je vous rattraperai…

 

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