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Aggiornato Giovedì 11-Ott-2007

 

“Il mio amore mi sta aspettando” – pensava il bel giovane con la valigia in mano.

Poco più in là, un fanciullo seguiva con lo sguardo le acrobazie del tempo – un arazzo ordito a grandi trame, impressionante come un’oscenità, confuso tra i sassi bianchi, l’erba, l’asfalto della strada. Non sapeva che fare, guardava e basta, senza batter ciglio, senza sognare. Era soltanto molto stanco, stanco come suo padre, sua madre, come il mondo quando è stanco di sé.

«Vedrai, anche a te toccherà in sorte questa chioma color di zucchero!», gli dissero un giorno – ed il fanciullo non aspettava altro, desiderava davvero che tutto quel pallore gli scivolasse addosso, sin dentro il cuore.

Troppo triste è il tempo quando il sangue pulsa veloce, quando il corpo è caldo e forte, quando s’agita e freme come un bosco in seno alle stagioni – troppo ingiusto se si è così stanchi da non poter più ascoltare il brontolio bugiardo del vento.

Il bel giovane parve ingigantirsi e subito, senza accorgersene, diventò un ombra accanto a quella dei cipressi.

Fu così che il fanciullo volse lo sguardo altrove. Un poco assopito, forse, o forse già un po’ morente, volse lo sguardo oltre l’intreccio doloroso degli anni e vide il suo cuore scagliarsi suicida contro lo specchio ingordo che è il sole cocente d’estate.

Al tramonto si dimentica volentieri il passero ferito.

Dicono avesse gli occhi color di luna e non piangesse mai.

 

 

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