Harold,
aveva un modesto ma decoroso appartamentino in affitto, un buon lavoro
in un ufficio commerciale ed una brava e onesta moglie.
Annie
usciva tutte le mattine alle otto per recarsi al lavoro, faceva colazione
alle dieci bevendo una tazza di orzo senza zucchero, pranzava con le colleghe
della sartoria alle tredici, rincasava alle diciassette e sino alle diciotto
si occupava delle faccende domestiche. Quindi, se era necessario, fra
le diciotto e le diciannove andava per negozi, alle diciannove e trenta
metteva in tavola la cena e alle dieci era pronta per coricarsi.
Harold
non aveva ragione di lamentarsi. Le sue camicie erano sempre molto ben
stirate e mai, in oltre vent’anni di matrimonio, aveva dovuto chiedere
la schiuma da barba. Non doveva neppure occuparsi di lampadine fulminate,
lavandini intasati e quant’altro. Annie era persino capace di sostituire
un pneumatico forato.
Harold
non aveva voluto dei figli. Veniva da una famiglia numerosa e a causa
di questo aveva sofferto la miseria, la mancanza di spazio, pace e considerazione.
Era un uomo metodico e abitudinario, non sopportava gli imprevisti e la
confusione. Era un tradizionalista, lui, uno di quelli che sanno sempre
cosa dicono e perché. Annie conosceva a menadito i suoi doveri
ed uno di questi consisteva senz’altro nel non contraddirlo.
Un
giorno, Harold, prese qualche ora di permesso per andare a vedere con
gli amici la finale del torneo. Ad una cert’ora se ne tornò
a casa salutando amichevolmente i vicini con un pizzico di buon umore
in più perché gli Snookers avevano vinto. L’ultima
volta era accaduto quindici anni prima (o erano sedici?) e lui a quel
tempo non tifava ancora per loro.
Infilò
la chiave nella serratura e con disappunto scoprì che la porta
era aperta…
«Annie?...
Annie… ANNIE!», urlò – ma solo quando entrò
in salotto si rese conto di quanto, improvvisamente, tutto fosse divenuto
straordinario…
La
stanza era finita a testa in giù! Il tavolo se ne tava in equilibrio
perfetto sulle gambe di tre sedie, sulla quarta c’era il televisore
acceso, capovolto, la stampa con il naufragio del Bounty era girata verso
la parete, un’orribile bambolina di biscuit penzolava per i piedi,
soprammobili, piatti, tutto era sparpagliato sul pavimento e… anche
la cucina era sottosopra, ed anche il tinello! Harold si precipitò
al piano superiore ed anche lì, tutto, ma proprio tutto era finito
gambe all’aria. Persino il water era stato smontato e rimontato
- al contrario! Ma Harold indietreggiò inorridito solo quando vide
il mobilio della camera attaccato al soffitto e andò su tutte le
furie solo quando si accorse che per impedire alle coperte di venir giù
erano state malamente spillate al materasso a sua volta saldamente inchiodato
alle doghe del letto. Sì, questo era troppo, veramente troppo anche
per lui che non perdeva mai la calma!
Tornò
al piano di sotto, compose il numero del distretto di polizia e guardandosi
intorno per essere sicuro di non avere le allucinazioni, attese una risposta.
La centralinista fu molto paziente: «Pronto?... Pronto, chi parla?...
Pronto!», continuò a ripetere senza stancarsi, ma Harold
non la sentiva, se ne stava a bocca aperta, immobile, la cornetta pigiata
contro l’orecchio, in mano un’istantanea saltata fuori da
chissà dove… Annie baciava qualcuno. Un uomo. No, una donna!
Era
accaduto qualcosa che andava contro ogni logica, che non aveva ragione,
precedenti, che era inimmaginabile, inspiegabile. Harold vide tutta la
sua vita capovolta, rigirata come un calzino e come un calzino steso ad
asciugare, sbattuta in faccia ai vicini, al quartiere, al mondo intero!
Il
suo cervello smise di funzionare.
La
polizia risalì a lui rintracciando la telefonata. Quando irruppe
nella casa lo trovò come pietrificato. Per poterlo portare via
dovettero recidere il cavo del telefono.
Dopo
trent’anni la cornetta era sempre lì, attaccata al suo stupido
orecchio.

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