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Aggiornato Giovedì 11-Ott-2007

 

È triste la sera con le voci nelle case, i passi ridondanti nel tepore buio della notte. È triste e cupa, malinconica, assente.

Ho colto per te il più bel fiore del mio giardino, l’ho messo in un calice di cristallo, vi ho versato un poco del mio sangue e ho atteso che cambiasse colore. È morto del mio stupore, della tua cecità, della nostra idiozia – non si piangono i fiori.

Perdonami se non ti narrerò le mie disgrazie… Ho imparato che è affar mio questo dolore, che c’è di peggio, che sono sciagurata e fortunata al tempo stesso. Ho imparato persino a sorridere, cosicché, adesso, ho il volto coperto dai segni del tempo e mi lascio avvilire dal male profondo che è vivere e già un po’ morire.

È triste il mio cielo con le sue grandi luci che corrono nella notte senza trovar risonanze. Nel mio cielo non ci sono pareti di pietra contro le quali far rimbalzare la voce o il pensiero. Il mio cielo è il mio mare, è questo batter d’ali al vento fra mille altre che han perso le piume nella fretta di crescere, di lasciarsi alle spalle i pallettoni del bracconiere.

Preferisco andarmene piuttosto che rimanere così – a metà tra quello che potrei essere e quello che in realtà sono.

D’accordo, capita a molti eppure non si lamentano – e allora perdonatemi tutti se ho smesso di cantare allegramente, ma è capitato spesso che abbia provato un tale sgomento e disgusto di fronte allo spreco, che poi ho preferito scegliere fra i mali quello che a me sembrava essere il minore: piegarmi docilmente, annullarmi in un microcosmo muto, incolore. Ho sbagliato, lo ammetto, la colpa è tutta mia – ma sono stata giovane e sciocca, non potevo sapere che in questo modo ci si consuma e spenge lentamente, come una candela.

Ora ho capito che non si muore volentieri se si ha fame, o sete, o freddo. Morire dev’essere bello solo se lo spirito è sazio, quando la carne non ha più bisogno di sé.

Amore mio, di tutto questo a te che importa? Cosa t’importa se ho preso la mia coperta, se ho messo nella sacca un pezzo di formaggio e un po’ di pane, se ho riempito d’acqua fresca la borraccia. Che t’importa della spiaggia e del mare che mi aspetta. Tu sei altrove, assorbito in altri e ben più inutili sprechi – che senso ha che ti racconti il mio cuore adesso, ora che ho trovato la mia strada, il modo d’essermi fedele senza farmi male?

 

* * *

 

Ho camminato a lungo, sai? Era quasi il tramonto e sentivo crescere in me il desiderio struggente di ammirare ancora quel sole, di contemplarlo come già altre volte ho fatto senza gioia né consapevolezza. Ho sentito un insopprimibile bisogno di abbandonarmi ad esso, di farne parte – e allora mi sono stesa sulla sabbia, l’ho guardato senza stancarmi. Per imprimerlo nella memoria me ne sono nutrita sino ad esserne ubriaca, poi ho atteso l’alba per poterla portare con me, nei miei occhi, ovunque stessi andando.

Ho riempito la mia vita di falsi silenzi. Ho stretto i denti. Ho chiuso i pugni. Mi sono data mille volte e mille volte m’è mancata l’aria, mille volte mi hanno soffocata senza capire che avevo bisogno solo di un po’ d’ossigeno, per non morire…

Il sole si basta, arde per sé. La luna è un’altra cosa – par che risplenda di luce propria, ma non è vero. Non c’è conflitto quando c’è ignoranza, quando non c’è contatto, coscienza.

Ho lasciato che il niente riempisse i miei giorni, ma la mia morte sarà una danza attraverso la quale saprò riscattarmi. Questa vita ha smesso d’opprimermi. Adesso sono il sogno che non ho voluto vivere – sono l’aria che non ho potuto respirare…

E tu non disperarti domani quando non ti carezzerò più le palpebre, quando non cullerò più i tuoi vizi – altrove un mondo intero di donne non aspetta altri che te per sacrificare a Dio il loro bel ventre e quel piccolo vuoto che sono.

Io non ho più tempo, non so più mentire e questo mare è davvero il mio cielo – quel cielo che tu non puoi nemmeno tentare d’immaginare.

 

Anne Cecile

 

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