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Aggiornato Lunedì 07-Gen-2013

 

 

11 Gennaio 2004

Nel mio PC entrano le donne con due e “tre” gambe – indifferentemente. Tanto qui non siamo in passerella e stando seduti davanti al monitor la deambulazione e gli attributi fisici sono l’ultimo dei problemi. Confronto aperto e franco, senza censure e paletti. Deboli di stomaco, perbeniste travestite da rivoluzionarie, amanti del salamelecco, del lecchinaggio, del galateo e del “volemose bbene” ad ogni costo, esponenti del “il mio Dio, la mia opinione, la mia cultura, la mia faccia, i miei amici e quant’altro sono sempre e comunque migliori dei tuoi, a priori e per principio”, del “il personale è politico e viceversa solo quando e se pare a me e non t’offendere se t’investo con la macchina perché mi stai sul culo punto e basta”, affette dalla sindrome dell’abbandono e dal delirio di onnipotenza, bisognose di guide spirituali e padroncine di fronte alle quali genuflettersi in adorazione, reginette in cerca d’un palcoscenico, presenzialiste fuor di luogo e misura, mobbiste di professione, uterine, maschiliste, separatiste, fasciste, razziste, baciapile… ASTENERSI!

15 Gennaio 2004

Riuscire a fare tutto da sola significa per me poter scavalcare tutta una serie di persone e situazioni che non solo non richiedono la mia presenza, ma io stessa probabilmente non tollererei. Reciproca incompatibilità? Ecco perché “corro da sola”: per fare quello che mi pare, se, dove e quando mi va, fuori dalle schifose dinamiche legate al potere, al denaro, al prestigio personale giocato sulla pelle degli altri. Finalmente libera, soprattutto dal ricatto.

29 Gennaio 2004

Dio, che emozione… Ho ancora negli occhi la straordinaria nevicata dell'85… Ero a spasso quando cominciarono a scendere i primi, enormi fiocchi di neve – guardai verso il cielo, incredula, e con il cuore in gola mi misi a canticchiare “singing in the NEIV”… Il mattino seguente aprì la porta di casa e mi trovai immersa in 40 centimetri di zucchero a velo! Morgana, la mia amata e compianta gatta nera, cominciò a saltarci dentro - sembrava una lepre, o una macchia: appariva e spariva, appariva e spariva… M’infilai le Clark che s’inzupparono solo all’idea di mettere il naso fuori dall’uscio (lo so, non erano certamente scarpe adatte, ma solo quelle avevo – che sofferenza!) e, prima mi precipitai in Via Fillungo, poi sulle Mura: gente impazzita dappertutto! Comparvero slittini, sci, tute termiche da alta montagna – intanto, fuori dall’area pedonale, il caos! Macchine spiaccicate una contro l’altra, automobilisti impegnati a montare le catene sulle ruote sbagliate, altri che imprecavano contro i venditori perché gli avevano venduto delle “sole” (vai a spiegarglielo che le catene si montano sulle ruote trainanti), ometti in bicicletta impegnati in funambolici equilibrismi, vecchiette pattinanti o già franate… Uno spettacolo divertentissimo, assolutamente indimenticabile! Sì, nevica – seriamente. Qua i tetti sono già bianchi, bianco il marciapiede, pallido il prato… Faccio la spola dal computer alla finestra, misuro il tempo in fiocchi.

30 Gennaio 2004

Così sono, vado, tutto sommato senza una meta, ambizioni – per il gusto, o perché semplicemente non posso farne a meno… è la mia natura. Vivo e racconto la vita come la vedo, perché devo – non per sentirmi dire che sono brava, per prendermene il merito, per dare senso e valore alla mia esistenza, per riempirla di vanagloria, raggiungere il successo, avere notorietà, trarvi guadagno. Devo e voglio – come respirare. In automatico. Così sarebbe anche se fossi sola sulla faccia della terra. Così è sempre stato e forse, chissà, sarà. Lo faccio come posso, come so. Senza censure, senza vergognarmi di me e delle mie opinioni, senza preoccuparmi delle conseguenze, senza fingere una remissività che non c’è e non potrei sostenere. Sono esattamente come appaio. Spudorata. Coraggiosa? Sconsiderata? Dipende, ma la sostanza non cambia – è nelle tracce che lascio.

4 Febbraio 2004

Non sono la persona più adatta a far branco, mi spiace. Mi piacciono le persone, non le fazioni. Mi piace la precisione, la giustizia perseguita ad ogni costo, mi piace il coraggio. Mi piace la franchezza, la verità, mi piacciono i sentimenti e le opinioni critiche, libere e incondizionate – anche se inopportune, impopolari. Mi piace chi è fuori dal coro e chi sa apprezzarlo. Chi cerca di capirlo anche se non lo condivide, chi lo ama a prescindere perché il suo non è un bel vivere. Da lui verranno le cose migliori o peggiori – ma niente che sia mediocre, miserrimo. Non mi piacciono le dinamiche perverse che si creano quando si è più di due e soprattutto non mi piace farne le spese con regolarità spaventosa. Ma così è, certe cose o si accettano (si creano, gestiscono o subiscono) o fuori. Bene, adesso sono stanca, non voglio più: fuori.

17 Febbraio 2004

“Chi non fa non sbaglia” - e noi abbiamo fatto tanto! Non smetteremo. La vita continuerà a metterci di fronte i nostri fantasmi sin quando avremo imparato ad accettarli o a separarcene senza rabbia o dolore. Con gratitudine e consapevolezza. Finalmente libere di ricominciare da noi stesse.

26 Febbraio 2004

alla fine mi sono sempre scontrata con le leaderships, i correntoni ideologici o amicali, sulle modalità di gestione, la democrazia negata, i principi offesi, i diritti negati, le arbitrarietà, l’esercizio e l’abuso di potere, la mancanza di coraggio, onestà intellettuale, le invidie che prevalgono sul buon senso, le dinamiche perverse che il gruppo evoca, nel gruppo si esaltano e rafforzano, che creano privilegi, esclusioni, prevaricazioni, aggressioni gratuite, selvagge - e poiché non so (non voglio) tenere il becco chiuso... Tanti nemici molto onore? Bah, sarà... ma il mobbing che ti fanno quando non ti adegui, genufletti, costringe a levare il disturbo - correre da soli raramente è una scelta.

2 Marzo 2004

Sempre più mi stupisco di quanta ricchezza, di quanta prorompente vitalità ed originalità (nella forma e nel contenuto) sono capaci certe donne – quelle che il mercato e la critica italiana, soprattutto, si ostinano a non vedere, riconoscere. E questa è l’altra faccia della medaglia: la realtà che crea nicchie di isolamento sempre più piccole, lager per anime dentro i recinti istituzionali, politici e culturali del nostro paese. Come in una matrioska.

28 Marzo 2004

La fine di ogni prova attoriale lascia un vuoto incolmabile, spaventoso, rende inconsolabili, consapevoli e soli - come e più di sempre. A me prendeva la tristezza. Volevo il silenzio, restarmene sul palco a raccogliere i cocci e brandelli di ricordo, quasi che non io avessi vestito quei cenci polverosi, dato voce, corpo e sentimento – perlopiù inascoltata. Una piccola morte – disonorata nel postumo abuso di aggettivi e applausi, di sguardi che cercano in te, vivo, il cadavere - e quello portano via. Una forma di necrofilia, feticismo - certo. E un disconoscimento della persona che spente le luci resta a fare i conti con la miseria – quella vera, indesiderata e profonda, che ammorba, circonda. Ultimamente mi chiedo spesso a che serve e se guardo avanti fatico a trovare la forza. Ma sto parlando di me – una me che lavora dietro le quinte e compassionevole guarda la sé attrice raccogliere i fiori del suo funerale. Gli schizofrenici e i mediocri computano così - e talvolta si sopravvivono.

29 Marzo 2004

Per l’editoria cartacea in generale, di genere in particolare, sta diventando sempre più difficile sopravvivere, figuriamoci farsi strada. Internet ha avuto tanti meriti, ma anche alcune ricadute negative sulle testate giornalistiche minori che già facevano fatica prima, ora poi… Eppure, per come la vedo io, una vera diffusione e radicamento delle idee può avvenire solo attraverso la pubblicazione cartacea, per due semplici motivi: 1) perché in questo modo divengono tangibili, rimangono e possono “fisicamente” passare di mano in mano per un tempo quasi illimitato, ben oltre l’esistenza di chi ha dato corpo a quei pensieri; 2) perché in potenza possono davvero raggiungere chiunque, senza discriminanti (il computer è ancora e forse resterà un marchingegno elitario). Se Internet permette a chi è tagliato fuori dalle corporazioni e dai circoletti sclerotizzati che monopolizzano e condizionano la produzione e la diffusione delle idee, della cultura e delle informazioni, di pubblicare senza doverne far parte e senza genuflettersi (mi riferisco anche a tutto il baraccone mass-mediatico, dalle apparizioni TV alla partecipazione a conferenze e simili), dall’altra, di fatto, lo confina entro uno spazio limitato, controllato, tutto sommato fine a se stesso ed effimero, destinato a rimanere “altro”, ai margini, misconosciuto – ininfluente. Di questo materiale, poi, non solo non rimane alcuna traccia, ma ben poco resta anche nel fruitore che generalmente ha verso il mezzo digitale un approccio alquanto superficiale, veloce, consumistico, di tipo televisivo, insomma. Altro è aprire un libro, ritagliare per sé un tempo da dedicare alla lettura – lo si fa scientemente, con la volontà di entrare in relazione, far proprio il messaggio, la storia...

4 Aprile 2004

Sono ancora viva, allora – e adesso ho davanti a me abissi vecchi e nuovi da navigare, prospettive seducenti e strazianti insieme. Ascolto il canto di sirena, m’interrogo - inspiegabilmente fiduciosa, ti guardo. Assaporo. Cerco indizi per tracciare la rotta.

5 Aprile 2004

Chissà perché ho la sensazione che i miei pensieri (prosaici o lirici, indifferentemente) spesso abbiano sulle persone l’effetto di una stonatura, o del passaggio di un caterpillar…
Sono ancora in quella fase dove non mi sento autorizzata a puntare lo sguardo come un laser. Rubacchio dettagli qua e là – appena ne ho l’occasione, non vista. Le mani, i capelli, le orecchie, i gesti, le intonazioni, l’andatura – i colori e gli odori, soprattutto (compenso la sordità).

6 Aprile 2004

Siamo tutte persone fortunate se possiamo e riusciamo a raccontarci con onestà, se le vicende della vita non ci hanno ancora spezzato la schiena e portiamo il fardello (qualsiasi esso sia) con dignità, fierezza.
Per quanto riguarda la mano, basta che non mi ritrovi a stringere un budino. Se la stretta è vigorosa (anche poco, ma almeno un po’), gradisco – altrimenti qualsiasi altra cosa va bene, persino un “fatti in là, donna – è pronto da mangiare?”. In fondo sono comprensiva e di poche pretese, come le mie cene, del resto - e infatti non c’è speranza. Porta il pelapatate.
Se è vero che l’avanzar del tempo è un noto esaltatore di sapidità, beh, sì – potremmo ragionevolmente supporre che l’età finisca per far emergere certe caratteristiche primigenie...

7 Aprile 2004

Quando si parla di ferite vere è sempre meglio andar cauti – i fantasmi se li evochi arrivano.
L’ultima cosa che voglio è subire o imporre – qualsiasi cosa. Non sono proprio all’altezza.

8 Aprile 2004

Talvolta ricordo che l’amore non ha bisogno di chiacchiere, che le affinità avvicinano e nel tempo, con naturalezza e pazienza, uniscono in quel caldo abbraccio che nemmeno la morte può sciogliere.

10 Aprile 2004

Io non litigo – discuto, ma non litigo. E raramente punto i piedi. Se capita è perché non ho scelta – sono finita in un angolo (da sola o spinta) dal quale non so uscire. Non sono vendicativa e non sono rancorosa, ma se mi arrabbio lo faccio sino in fondo, spesso silenziosamente, sempre profondamente – poi mi occorre del tempo per uscirne. Da qualche parte (non so dove altrimenti l’avrei già scollegato) ho una specie di amplificatore delle percezioni, ma fortunatamente sono anche molto distratta per cui molte cose mi scivolano addosso – in apparenza, però, perché prima o poi, se contano... Come si fa a procurarmi un’incazzatura feroce o una cocente delusione? Offendendo la mia intelligenza - il resto lascia il tempo che trova. Insomma, abbaio poco e non mordo, non fisicamente, almeno…

11 Aprile 2004

...Un buon bicchiere di vino bevuto con gli amici, una giornata di sole passata strappando erbacce, il sorriso di un passante che pur non conoscendoci ci saluta, il mal di denti. Sono le piccole cose che ci danno la giusta misura attraverso la quale filtrare la vita, imparare a viverla senza subirla, senza che divenga una continua offesa alla nostra persona, alle nostre aspettative, all’opinione comunque preconcetta che abbiamo di noi stessi e delle persone che ci circondano. Sposta il tuo punto di vista – non sei il centro dell’universo, eppure, proprio perché esisti, lui va in una direzione anziché in un’altra. Smettila di chiederti perché – non avrai risposte, né servirebbe averne.

14 Aprile 2004

Cosa fa una palla su un piano inclinato? Rotola. Quanto è inclinato il piano? Tanto. Una parete a picco, direi.

15 Aprile 2004

Sfidiamo le leggi gravitazionali, la relatività è una roba vecchia, superata, e non dubito che tra non molto avremo il dono dell'ubiquità (o ubicazione, come alcuni dicono dando sfoggio di erudizione).
Cammineremo sospese in aria eppure sembreremo umane.

20 Aprile 2004

Tutto è distorto, dilatato, smisurato, abnorme. Più nulla è come prima. Bisogno di tempo, adesso – per ritrovare una misura, riferimenti. I pensieri si rincorrono. Le lacrime rimangono sospese, come le parole.
Raccolgo in un rosario i frammenti della mia vita – allineo perline. Sono scissa e intera. Autentica e consapevole, sempre – su piani paralleli, disgiunti, eppure comunicanti, gli uni dipendenti dagli altri. Ritrovandomi come raramente è accaduto, stupita e grata, protesa, aderente. E non riesco ad avere paura, e mi faccio domande ma non sento il bisogno di rispondermi. Ciò che accade è per me chiarissimo, lo è stato da subito – è un dato acquisito che affido al tempo e alla pazienza. Tutto il resto… un enorme niente che pure tanto condiziona e tante conseguenze ha sulla vita vera, quella che forse ha senso chiamare con questo nome.
Raccolgo brandelli, li ricompongo in un mosaico con un desiderio inspiegabile e forse inappropriato - egoisticamente darmi.
I territori dell’anima si fanno carne, diventano presenza, nel quotidiano, oggetti che segnano distanze e appartenenze.

21 Aprile 2004

Ogni incontro importante ci travolge e segna, profondamente. Spesso lascia ferite che nemmeno il tempo scolora, dolori che rimangono vividi e solo i sospiri raccontano. Piccole e grandi delusioni (quelle imposte e quelle subite) che non si possono dimenticare, a volte perdonare. È il prezzo – bellezza, profondità, intensità, sono cose rare e preziose… Danno e prendono molto – spaventano, attraggono e… costano. Impegnano. Impoveriscono e arricchiscono insieme. Un’equazione vampirica. La bella e la bestia in un unico organismo – umano, divino.
Il pericolo più grande? Il fraintendimento – per pigrizia, sbadataggine, perché non sempre si può essere attenti, non sempre si riesce ad essere autenticamente rispettosi, generosi, non sempre si ha l’energia per andare incontro all’altro, ascoltarlo senza sovrapporre la nostra voce alla sua. Ho paura dell’incomunicabilità e dell’indifferenza, della trascuratezza, spesso opportunistica, talvolta accidentale, involontaria. Fa male lo stesso. E scava fossati. Forse è per questo che accettiamo (e talora cerchiamo) rapporti nei quali non è possibile mettersi in gioco completamente, assumersi la responsabilità dell’altro – per risparmiarci un po’ di fatica ed avere lo spazio entro il quale esercitare, non visti, il distacco, l’egoismo. Un margine più o meno ampio di falsa libertà, senza scossoni, persuadendoci di una reciprocità fantasiosa, illusoria. Ingannatrice. O per poter sopportare il pur sempre probabile abbandono, tradimento – che naturalmente, evocato, non tarda ad arrivare. O anche per romanticismo, perché illanguidire e struggersi fa sentire vivi, non meno d’una ferita, perché la gioia par non debba essere pane quotidiano ed anzi, ad averne troppa o troppo a lungo goderne, quasi sembra di rubarla o che lei rubi a noi qualcosa… Non so… Rifletto “a voce alta”, tanto per riempire l’aria che qui è piena di sussurri e grida…
È notte. “Rubo” un po’ di tempo al sonno per accorciare le distanze, mettermi in comunicazione. Come Penelope ricamo il silenzio, l’attesa – tesso la tela di ragno sulla quale vorrei danzassimo.

25 Aprile 2004

Da tempo non mi sentivo così sola… Forse fa bene esserlo, di tanto in tanto. Da la misura, valore a quello che si ha e a quello che si è perduto…

5 Maggio 2004

Potrei descrivere il mio stato d’animo, adesso, mentre fuori dal finestrino corrono i paesaggi di un’Italia industriosa, estranea. Il libro aperto sulle ginocchia che non leggerò. I profumi che mi avvolgono, figure che appaiono e scompaiono lasciandomi spesso senza fiato… Fotogrammi che s’intersecano mentre tento inutilmente di trovare un punto di equilibrio, di rientrare in una vita che non è più la stessa, che è lontana da me anni luce, ormai.

6 Maggio 2004

E poi ci sono le parole, quelle che non dico per prudenza, pudore e… paura, sì, ancora. Perché dicendole forse mi schiaccerebbero contro le mie responsabilità, contro lo spettro degli abbandoni, delle delusioni e dei fallimenti, mi sbatterebbero in faccia uno di quei film che ho già visto e rivisto. Tutti mi fanno piangere, ma uno, uno solo di più ed è quello che evito come la peste bubbonica. Non si scherza con la salute, mi ripeto – ma poi rimango sulla porta, mi nascondo dietro a un dito, sorrido come una scema.

Sto su quella dannata porta in attesa di una spinta, d’esser presa per mano o non poter più fare a meno di muovermi, venirti incontro e dirti: “Sono pronta, andiamo – portami dove vuoi”.

11 Maggio 2004

Sono una specie di orologio meccanico - decine e decine di piccoli ingranaggi, molle, ruote, bilancieri, sembra tutto molto complicato ma il funzionamento in realtà è semplicissimo, anche troppo. Non ci sono zone d’ombra, non sono capace di far “giochetti”, né cado vittima di certe dinamiche quali, ad esempio, il “senso di colpa” a causa del quale tanta confusione si fa - perciò di tanto in tanto posso sembrare di un’insensibilità assoluta, l’incarnazione vivente dell’indifferenza, del cinismo e di un individualismo/opportunismo senza limiti, un mostro, insomma, una di quelle persone che cadono sempre in piedi, che quasi nulla può turbare o fermare - o il suo esatto contrario. Non è così, naturalmente. Gran parte delle mie energie le impiego per tenere insieme, in equilibrio impilate una sull’altra, cose tanto diverse fra loro. Sfido le leggi fisiche e morali e spesso fallisco, ma almeno ci provo. Nei miei silenzi non c’è distrazione, assenza - i miei silenzi sono un’inarrestabile concatenazione di ragionamenti attraverso i quali compio lo sforzo, questo sì talvolta sovraumano, di contestualizzare, ordinare, capire - hic et nunc, però, perché le elucubrazioni sono un inutile spreco e non mi danno alcun piacere. La parola parlata, infine, come la messaggistica, mal mi corrisponde (sono creativa, pungente, pigra e rinunciataria, ma soprattutto sono consapevole che il mezzo è, per sua natura, obsoleto, limitato, insufficiente) - ma quella scritta sì (negli spazi appropriati), affido a lei il compito difficile di contenermi, spiegarmi, rendermi leggibile se nelle azioni tanto di me rimane misterioso o equivocabile. E tanto, appunto, dev’esserlo se io stessa tendo a separarmi, lasciarmi indietro o precedermi quasi che parti di me fossero altro.
Intanto vorrei levare dal mio dizionario temporaneo parole quali “gioco”, “giochetti”, “giocare” e sinonimi. Niente di quello che sta accadendo ha minimamente attinenza con un gioco.

13 Maggio 2004

Un po’ ho tirato il fiato. Il vento ha spazzato il cielo, scosso le fronde degli alberi, creato nicchie d’immobilità, calma apparente. Sospensione. Quiete.

Le parole mi girano in testa - alcune sono quasi una ferita. “…e sia come sia” - un po’ come dire “non si muore né di poco né di molto dolore quando si è sopravvissuti all’inferno”. Già. Me lo ripeto sempre quando mi predispongo ad essere travolta e uccisa - abbandonata, tradita. Serve a farsi coraggio. A serrare i ranghi. Ma io non voglio far male, vorrei non farne mai… Seppur consapevole che la vita è anche dolore e il dolore ha, spesso più della gioia, effetti taumaturgici, vorrei comunque non esserne la causa, chiamarmi fuori dalle mie responsabilità che comunque ci sono e sono tanto più forti quanto più si è consapevoli…

La consapevolezza non dovrebbe essere uno stato cognitivo limitato alla soggettività - la consapevolezza, come la intendo io, non dovrebbe prescindere dalla volontà/capacità di avere una percezione il più possibile oggettiva di sé e del mondo. Difficile, ma non impossibile. Sara dice che so farlo, ma lei ha un’opinione di me che talvolta mi sembra un tantino esagerata - tuttavia è vero che ci provo, che m’impegno per riuscirci, per limitare i danni, le conseguenze di quello che sono.

Pensieri sparsi. Una specie di monologo nell’impossibilità momentanea di farne altro. Mi accontento? No, ovviamente. Ma non è la pazienza la virtù dei forti? Non sono neppure molto virtuosa, allora. Mi arrendo. Sono umana, umanissima.

Rondine impaziente che cerca l'estate - torno. Accoglimi.

14 Maggio 2004

Lo so, sarebbe più semplice dirsi “addio”, fare come tutti: prendere atto che una storia è finita e poi, con il tempo, se è il caso, diventare o restare amici. Lasciarsi alle spalle, come se niente fosse accaduto. Un giorno o una vita, che differenza fa? Avere tanto in comune – che vuoi che sia? Sarebbe più facile se l’amore fosse definibile, una pulsione che comincia con il desiderio sessuale e finisce quando il desiderio non c’è più. L’amore come lo intendono gli altri è forse questa misera cosa senza ragione e importanza, ma l’amore per me è altro – ed io altro sento, altro ho.

16 Giugno 2004

Talvolta le parole hanno il suono sinistro d’una recriminazione postuma, d’una rabberciata giustificazione, d’una spiegazione che non spiega niente ed anzi offende, d’una sottile e certamente involontaria rivalsa. Parole che diventano concrete, tangibili, macigni posti a segnare un confine oltre il quale non esistono principi e quasi nulla conta se non riferito a sé.
Il contesto nel quale stiamo vivendo lo si cambia con i fatti, non con le parole, dando segnali forti e autorevoli, dimostrando coraggio, fermezza e integrità - a partire da noi stessi.

18 Giugno 2004

Giornalismo. Una notizia è una notizia. E allora, se si vuol fare un buon servizio mediamente imparziale, onesto, si contattano gl’interessati, si raccolgono testimonianze, ci si fa un’idea circostanziata, poi, se proprio non se ne può fare a meno, si decide da che parte stare - ma questo è altro, è politica, non giornalismo, che pure ha le sue connotazioni ideologiche, ne è inevitabilmente condizionato ma non dovrebbe esserlo tanto da divenire propaganda schietta o schietta strumentalizzazione.

Ecco, se qualcosa ho da recriminare rispetto alla mia vicenda personale, è che due importanti quotidiani, invece di verificare la notizia, l’abbiano giudicata aprioristicamente, pregiudizialmente dubbia se non proprio falsa, trasmettendo al lettore la sgradevole sensazione che qualcuno lo voglia buggerare con una storiaccia tra pervertite probabilmente mitomani in cerca d’una ribalta (chissà, poi, che guadagno potrebbero trarne… mistero).

Mi sembra evidente che per far passare un messaggio così infamante si deve avere un’ottima ragione, o devo pensare che LA NAZIONE e IL CORRIERE DI LUCCA non abbiano giornalisti in grado di fare il proprio lavoro? Non mi si vorrà far credere, anche a me, che la prudenza è d'obbligo in questi casi! Si ammetta, piuttosto, che l’argomento è scomodo, o non gradito... Ed anche dichiarare che “se saranno individuati gli autori di questo sconcertante e vergognoso episodio, saremo ben felici di dare loro lo spazio che meritano” mi pare sconcertante – e se non li trovassero mai (cosa peraltro possibile vista la scarsità di indizi prodotti)? Violentate due, tre, quattro, cinque volte, sempre per lo stesso motivo: impedirgli di parlare, di esistere – ma a questi giornalisti non gli si rivolta mai un tantino lo stomaco quando si guardano allo specchio?

26 Giugno 2004

Non ho più l’energia per vivermi una storia nei ritagli del tempo degli altri, nei risicati spazi che qualcuno ha lasciato liberi – già dato e per averlo fatto mi sono procurata e ho procurato ferite che non guariranno mai. Vorrei provare, questa volta, a non fare compressi, ad essere sincera sino in fondo, a non fare spallucce fingendo che non me ne importi, affidandomi ai miracoli, vorrei provare a dare e darmi la possibilità di sentirmi felice e appagata, protetta e capita, ascoltata e anteposta, senza dubbi, incertezze, finzioni e omissioni, mezze verità - accanto, in due, almeno per un po’, ma non un’ora soltanto o qualche giorno, nelle pause dalla vita. L’amore non è una fuga dalle proprie responsabilità, l’amore è assunzione di queste. Ma per poter vivere una tale condivisione, bisogna potersi fidare ciecamente dell’altro ed essere pronti ad offrire le stesse garanzie. Se non si è disposti a mettersi in gioco, il che non è in sé disdicevole, si deve almeno avere il coraggio di ammetterlo, prima di tutto a se stessi.
Sai che risate se il giorno che mi sentissi pronta a riceverti e darmi totalmente, tu ti fossi stancata di me?
Ti prego, non ridurmi ad una caricatura, non offendermi più – non piango quasi mai ma se lo faccio è un pianto profondo, vero, che arriva da lontano e ha numerose rispettabili ragioni.
Come si può pensare di poter convincere che stiamo amando, che ci stiamo impegnando per dare spazio e valore a questo sentimento, che se si ama non lo si fa a scadenza? Ma l’amore ha bisogno di rassicurazioni e dimostrazioni, attenzioni e cure, di delicatezza, ma anche forza, coraggio, ha bisogno di chiarezza e motivi, altrimenti si rassegna e svanisce…

3 Luglio 2004

Ci sono momenti nella vita, nei quali tutto si ottenebra – rimane una fiammella che par potersi spengere ad un solo sospiro… Mi è capitato così spesso ma, e ne ringrazio il Signore (che non si offenderà se una miscredente come me spesso lo nomina a sproposito), sempre una mano invisibile mi ha sorretta. Quello che è succeso il 18 Aprile scorso, mi ha chiusa in un angolo, spalle al muro. Attraverso e grazie ad esso, si sono mostrate una tale quantità di “aberrazioni” che non passa giorno senza che ne rimanga stupita e scossa. Ma anche tanto ne ho tratto, ricevuto. Meno, di sicuro, in quantità - rispetto al male e all’offesa ricevuta -, ma enormemente tanto in qualità, profondità dei sentimenti e delle azioni da parte di chi mi si è avvicinato con coraggio e generosità, spesso facendo cose che mai si sarebbe sognato. Così, persone che vivevano nella paura o in una beata o sofferta indifferenza, si sono svegliate ed hanno reagito. Ecco, volevo che quello che abbiamo subito non fosse fine a se stesso, volevo dargli un senso “altro” ed alto, volevo servisse – mi sarei accontentata anche di una sola risposta e invece ne ho ricevute tante, tante di più. Tutto questo è semplicemente magnifico e quando ci penso sorrido, mi prende una gioia che non so descrivere.
A poco a poco, il mio caso comincia a camminare da solo - come un bambino che diventa adulto, si affranca, emancipa, impara a mettersi in relazione e diviene altro da me, altro per sé e chi attraverso lui ha un’occasione di crescita o involuzione. Spero di potermene separare presto, riprendere possesso della mia vita e lasciare che ognuno prosegua la sua tirando le somme, traendone le conclusioni che può e sa. Sono un po’ stanca. Sopravvivrò. Sopravvivremo. E chissà che poi io non riesca a piangere, finalmente…

18 Luglio 2004

A parte le non indicative situazioni “protette e felici” che qualcuno si ostina a spacciare per regola generale, non è affatto vero che in questo paese è in corso la tanto strombazzata “normalizzazione” (che poi, parliamoci, chiaro, per noi è l’ennesima inculata – non è chiedendo di entrare a far parte del sistema che si cambia l’esistente… è lottando per l’affermazione di una cultura del rispetto basata sul riconoscimento delle differenze e delle diverse specificità, delle insindacabili libertà individuali, l’autoderminazione, che si abbattono i privilegi, si fa un servizio utile a favore dell’essere umano, oltre gli interessi di casta), ma questo non è un discorso che si può liquidare con poche battute ad effetto…

24 Luglio 2004

Finalmente piove – tuona, persino.

L’aria profuma di terra bagnata. L’acqua lava via il caldo soffocante di questi giorni, colora la luce di grigio, la ovatta. Le fronde scosse dal vento. Finestre e porte sbattute. Metto a riposo la mente, il cuore. Mi preparo a tornare.

Come un guerriero di altri tempi, un cavaliere costretto alle armi che non gode del sangue, aborre i saccheggi ed ha in odio la guerra, torno malconcia e stanca dal mio Signore per dirgli che non ho voluto mettere a fuoco e fiamme il feudo del suo rivale, che m’han fatto pena i sudditi già provati dal lungo assedio, che ho visto negli occhi dei bambini più d’una lacrima, negli occhi delle donne più d’una supplica. «Non sono Dio.» - dovrò dirgli - «Tu mi hai detto: “Va e radi al suolo, portami il cuore dei miei nemici, cancella le genti perché più nulla turbi il mio riposo, minacci la mia autorità”. Hai armato la mia mano contro gl’inermi, mi hai dato il potere di umiliare i vinti, ma io sono pusillanime, mio Signore… M’è mancato il coraggio d’accanirmi, né credo serva… Ho dubitato e disubbidito. Se t’ho deluso, se non sai capire, se non ti servo più, eccoti la mia testa…».

Fuori il nubifragio. Preparo la sacca. Non ho bottini da esibire. Per quanto abbia provato, alla fine non ho ucciso per il gusto o necessità, né per me, né per altri. Mi sono solo difesa, com’ho potuto, cercando di non far troppo male dove già la ferita era aperta, sanguinante. Ho anteposto alle armi la parola. Chiesto di non costringermi a far quello che la mia natura nega. Non ho scelto di portare il fardello, ma questo è ciò che avevo, questo è quello che è rimasto. Mi faccio carico delle mie responsabilità – non è fuggendole che verranno meno. Mi faccio carico e dico: «Se possesso e diffidenza gridano più dell’amore, se l’amore non basta, vuol dire che amore non è, e allora va bene, ecco la mia testa posticcia…».

Piove. Quasi è freddo.

Che profumi porta l’aria. È un po’ come rinascere – ma già vecchi e tristi, consapevoli, arresi. Arsi. Dalla finestra guardo la pioggia danzare, le gocce disegnare cerchi sempre più fitti.

Tutto il resto è immobile. Spaventoso. Vano.

1° agosto 2004

Silenzio. Ancora. E ancora. Ancora…

Il cuore è gonfio. L’anima dolente, in ginocchio.

Mi terrò la vita accanto – per il tempo necessario, per non dimenticare. Per ricordarmi quanto sono sprovveduta e presuntuosa, che nulla è scontato, niente è dovuto. Che l’amore ha bisogno di occhi grandi per vedere oltre se stesso, che non va d’accordo con l’orgoglio e l’orgoglio non va d’accordo con la generosità, il buon senso, che la gelosia è solo l’altra faccia dell’egoismo. Per ricordarmi che la bellezza spesso è fine a se stessa. Che, come sempre, subisco le persone che merito, perché regolarmente dimentico ognuna di queste cose.

In ultimo, la terrò lì finché sentirò dolore, per ricordarmene la ragione, che questa ferita ha il suono umiliante di un insulto gratuito. Perché l’indifferenza o il tradimento mi ricordino che forse non è vero che ho diritto all’amore, ad essere rispettata.

Sul niente, niente si costruisce e niente è quel che rimane. Il niente non si rimpiange, il niente non costa fatica, non procura dolore, al niente è facile rinunciare.

Ed anche questa, mi accorgo, è una lettera d’amore.

Grondo lacrime e sangue.

3 Agosto 2004

Poesie? No, non credo di scriverne - è che di tanto in tanto, le parole prendono un ritmo che la prosa non permette, o solo raramente, a piccolissime dosi. Ora, complice la vita, quasi non riesco a fermarmi, tracimo. Ho rotto gli argini. Che chiasso ho nella testa: tamburi, grancasse, campanelli e campanacci – un effluvio di parole, a valanga, dappertutto. Stancante.

6 Agosto 2004

No, non mi stanca né mi addolora parlare di quello che ci è accaduto - è sapere che non potrò farlo ovunque che mi preoccupa, che mi spinge a insistere. È l’indifferenza che mi dilania, l’ottusità, la difesa dei propri privilegi a qualunque prezzo, anche a costo della vita, del diritto alla dignità, al rispetto, alla difesa e alla tutela degli altri, specie se fratelli, sorelle. È chi nega le proprie responsabilità che mi offende, non chi chiede, cerca di capire e nel farlo, magari, manca l’approccio. Guardo la luna, il dito non m’interessa.
Direttamente o indirettamente ho fatto più di un miracolo. Tramite me molte strane alchimie si sono compiute, molta vita è transitata. Io ho perduto tutto, ma… ho adesso l’occasione di cominciare un’altra vita, ragionare gl’ingranaggi con quella consapevolezza, quella profondità che solo un cambiamento radicale, una gioia o un dolore immenso può dare. Sono fortunata – mi dicono. Già, potrei esser morta. Sai che consolazione…
Mi accorrerà del tempo per lasciarmi alle spalle questa sensazione di morte, e schifo, ma volterò pagina, come sempre – senza rimorsi e senza rimpianti. Non si piange il nulla anche se spesso il nulla tanto pesa, segna.

Rosa Marina di Ostuni, 8/14 Agosto 2004

La poesia ha occhi che brillano, nei quali non ci si può smarrire. Possono far spavento o essere insostenibili, ma lì le parole hanno senso e profondità, l’anima accoglie e riscalda. Occhi veri, vivi - che vedono e parlano. Consolano, fanno sentire a casa.
Ti scardino – dal cuore ti levo.
A quella rinuncia sopravvissi bene o male quattro anni, poi venne una specie di buio dell’anima, un ottenebramento durato altri tre. In seguito ho amato, certo, ancora. Ma la ferita era profondissima, occorreva tempo per riprender fiato. Fatto – e mi ritrovo punto e a capo. “Col tempo sai…” non si ama più. Può darsi. Ora ricomincio – come sempre, da me.
Non c’è saggezza, consapevolezza, maturità, intelligenza che tengano, che possano proteggere dall’amore. Quello quando arriva, arriva – non c’è scampo. Anni di lavoro in fumo.
Mi preparo a tornare. Assurgo dettagli – interrogo le onde.
Drappelli di donne oziose e anziane galleggiano. Salotti di sale e conchiglie da godere - piangendoti.

Verso casa, 15 Agosto 2004

Donne stanche o vigorose invariabilmente condannate alla subalternità: dei padri, dei fratelli, dei mariti, dei figli, dei nipoti – maschi. Il mondo è loro perché per loro, esse, lo creano - a loro, ogni giorno, tutte, lo destinano. Si può essere più sceme?
Di regione in regione: macchie di colore, forme geometriche si rincorrono, equilibri magnifici, simmetrie ardite, acrobatiche rotondità e spigoli. Borghi arroccati e colline soffici, sinuose, vaporose, o picchi vertiginosi, improvvisi, verso il cielo - accecante. Terra rossa, i bruni, i verdi, i gialli – il turchese, il blu oltremare, il bianco spumeggiante dell’Adriatico in festa, fra ulivi secolari, le viti, i covoni, i frumenti, i frutteti, i girasoli (uno, in un campo – da solo), i cipressi scossi dal vento - impetuoso. E poi cascinali diroccati, case contadine consunte, villette a schiera color pastello, infissi come cabine in spiaggia, o pareti a calce, muretti a secco, palme ed orti improbabili, parcheggi selvaggi fra sterpaglie e discariche, addio mesto ad un luogo che asfalto, cemento, masserizie umane e umani derelitti non vedon più, né più vogliono. E ancora: capannoni abbandonati accanto a nuovi in costruzione, eternit ovunque, cave dismesse: monumenti alla ruggine, archeologia mineraria, industriale, rurale – bell’Italia, sì, senza amore, memoria, gusto, senza pietà per se stessa.
Con le lacrime agli occhi partii – con le lacrime agli occhi torno. Niente è cambiato, ma più nulla è come prima.

21 Agosto 2004

Chi siamo? Noi – ed è questo che ci rende unici, speciali, degni. Sempre. Comunque. Impariamo questa verità se già non la conosciamo o facciamo fatica ad accettarla, poi infondiamola a chi non la vede, a chi la nega, a chi la fraintende, a chi la usa, spreca, offende. Non importa riuscirci – l’importante è provarci. Questa è la mia battaglia.

26 Agosto 2004

Così, pur non avendo alcun interesse per la guerra, mi ritrovo a farla – nel quotidiano e neanche tanto metaforicamente. Strano destino.

28 Agosto 2004

Collettivo 9 Luglio: «ma la parola "Collettivo" non richiama troppo "la sinistra"? Non sarebbe meglio occuparci di queste cose prescindendo ALMENO NOI dalla politica?»

No. Non ci si può occupare di diritti, garanzie, democrazia, rispetto e quant’altro prescindendo dalla politica, evitando di prendere una posizione chiara ed univoca risposto a questi temi ed altri. Potremmo prescindere dalla politica (forse) se costituissimo un gruppo dedito al taglio e cucito, una bocciofila, o un centro ludico/ricreativo, ad esempio – ma in questo caso no, proprio non è possibile. Lo so, “Collettivo” è una parola un po’ vecchia che richiama alla mente dei più immagini di militanza sinistrorsa. Ma per gente come me che non si fa fregare e non s’accontenta, che usa il cervello e scava nelle cose in profondità, che ama le parole e a queste cerca di restituire il significato che hanno, “Collettivo” è esattamente quello che vuol dire e significa: gruppo che agisce pubblicamente, collegialmente, con iniziative collettive, appunto, che hanno lo scopo di offrire un servizio, alternative, attrarre consensi, fare domande, dare risposte, riempire un vuoto, sostenere istanze, dibattere nel/sul sociale, culturale, ecc. – è politica.

Questa domanda dimostra tutto lo schifo che decenni di brutta (e sporca) politica ha provocato. La politica, quella che stomaca e non è stata prodotta solo dalla destra, non ha saputo e forse non ha voluto parlare, dialogare con le persone, appassionarle, stimolarle alla partecipazione attiva, le ha allontanate da sé creando la situazione che stiamo vivendo e contro la quale è necessario scendere in campo – ma non lo si può fare proponendo un torneo di briscola. Occorrono argomenti, occorre metterci la faccia, avere la volontà di confrontarsi anche duramente senza farne una questione personale. E questo, come tutto quello che ci riguarda al di là dei nostri interessi privati, che coinvolge gli altri e con essi ci mette in relazione/contrapposizione, è politica – e politica è scegliere se fare o non fare una cosa, se dirla o non dirla. Nessuno ne è fuori.

Si può essere apartitici, ma non apolitici. In questo senso, il Collettivo 9 Luglio è apartitico: come gruppo non si riconosce, né appartiene ad alcun partito – ma l’area di pensiero è di sinistra e non potrebbe essere altrimenti perché è proprio il pensiero di destra che crea le premesse dell’odio, promuove le disparità e i privilegi e con ciò legittima la violenza, la prevaricazione – ed ora che è al governo, si istituzionalizza.

E pensare che io volevo solo starmene in santa pace – scrivere, vivere, amare… ma a qualcuno non va che certi possano farlo liberamente. Ecco perché non si può stare alla finestra.

La politica in sé non è una cosa brutta – sono i politici ad esserlo. Sono le loro azioni e i loro pensieri che sporcano la cosa più naturale e inevitabile che ogni animale sociale fa: politica. I politici sono “brutti, sporchi e cattivi” perché invece di fare i nostri interessi è ai propri che provvedono facendocene pagare le spese. La politica, restituita ai suoi valori originari, è un’arte nobile e giusta – e comunque, sporca o pulita che sia, è necessaria, proprio non si può più evitare di farla, da qualunque parte si stia.

31 Agosto 2004

Passerà – ma quanta pazienza, quanto amore mi occorre per non odiare la tua codardia.

2 Settembre 2004

Quello che è successo ha… accecato, ma non me, gli altri. Mi ha resa incredibile - fantasmagorica. Sola – come un cane. A nulla serve che chieda aiuto, a nulla serve che dica ho fame, ho sete, ho male – sono trasparente, invisibile, altro, non più io. Disumana, “sovraumana” – anche. Ma non io. Quando dico che rivoglio indietro la mia vita il massimo risultato che ottengo è un sussulto, lo stesso che mi assicuro con una frase ad effetto. Scrivo bene, d’altronde – e sono capace di muovere le montagne… Oplà, conigli bianchi dal cilindro… e intanto muoio, dentro – poi morirò anche fuori, ma con calma: il mio pubblico si accorgerà dei vermi quando già sarò polvere. Prodigi dell’“egocentrismo”: la gente come me non ha bisogno di nulla, si basta e avanza – inutile preoccuparsi. La gente come me fa magie, plasma, partorisce marmocchi di vent’anni, coi cordoni ci fa collane, se ci passi sopra con un caterpillar si tira su, smadonna tre minuti e poi riparte: la carne è di gomma, l’anima è aria. La gente come me sopravvive, se la cava benissimo, capisce tutto e se non capisce subito prima o poi lo farà. Le sue lacrime non sono come quelle degli altri, non meritano la stessa attenzione, lo stesso rispetto, lo stesso soccorso. Non val la pena sprecare fiato, tempo ed energie - con Dio. Lo si può bestemmiare tanto lui sa che non facciamo sul serio. Lo si può abbandonare e tradire, tanto poi basta pentirsi e non occorre nemmeno chiedere scusa - lui sa perdonare. Dio - di fronte a lui ci si sente piccoli piccoli, insignificanti, “poveri, comuni esseri umani”… Dio ci ha destinati alla subalternità? e allora si merita il nostro silenzio. Merita di starsene da solo sul bel piedistallo di nuvole che gli abbiamo inventato sotto i piedi.

7 Settembre 2004

Mi sono incamminata, ti sono venuta a cercare, quasi ti ho obbligata ad accogliermi – eri la mia lucerna, il mio approdo, la mia scommessa contro l’evidenza. E mi sono arenata tra le tue secche.
Cos’hai di così speciale? Forse nulla, è solo il mio amore ad esserlo.

8 Settembre 2004

Sola, ancor più sola – e ce ne vuole per esserlo più di quanto già lo sono. Odiare questa casa, tenerla pulita, ordinata, per poterla digerire, sopportare - e con lei la mia vita, tutta la mia vita. Non avere lacrime, dopo tante averne versate. Guardarsi sullo sfondo ingiallire: congelata, sfocata, orpello lontano senza diritti, importanza. Necessaria (forse) ma non indispensabile. Potrei anche morire, sparire - niente cambierebbe, o così poco che alla fine non farebbe differenza.

Sono meno di un granello di polvere, un niente microscopico che il vento disperde.

Ti carico sulle spalle come una croce e, Dio, dammi la forza, sostienimi. Fammi trovare una buona ragione per non aver voglia di andarmene, seguirti. Dovrei scrivere una preghiera, adesso. Ma non ho parole nemmeno per questo – posso solo sedermi sul divano ad ascoltare il silenzio, la mia vita che scivola via, asciugarmi le guance.

Così è l’amore. E d’amor si muore.

Mi onoro di averti conficcata qua dentro. Ti asciugo le lacrime, le mescolo alle mie.

9 Settembre 2004

Attaccarsi a un sorriso, una parola, un respiro… attaccarsi come una mignatta, una zecca. Per sopravvivere.
Non sono nemmeno arrabbiata, non lo sono più da un pezzo – solo offesa, ferita, dilaniata, addolorata, sconfitta, arresa, ma non arrabbiata. Si può essere arrabbiati di fronte ad un flagello, un cataclisma, qualcosa d’imprevedibile e incontrastabile?
Pensavo che una notte sarebbe bastata, avrebbe messo a posto le cose - magicamente. Talvolta mi capita: chiudo gli occhi e sogno la soluzione a un problema. Questa volta non ha funzionato. Vado nel bagno. Mi lavo la faccia, mi guardo. Sono mediamente bella, intelligente, buona. Stamani un po’ devastata, ma gradevole. C’è certa gente in giro: brutta, stupida, cattiva, sgradevole – ma felice, appagata, corrisposta. Mistero.
Io non credo in Dio, non in quel Dio cattolico dal quale è bene prendere le distanze – il mio Dio è un entità sana, è silenzio e luce. So che c’è un disegno. So che quello che accade è giusto, serve – anche se non lo capisco, anche se tanto prende, costa. So, ma ci sono dei momenti in cui vorrei che la smettesse di disporre di me. Non ha già preso abbastanza? Cos’altro vuole? Cos’altro ancora dovrò sopportare per accontentarlo, assecondarne i piani? Quanti altri inferni dovrò attraversare? Ed io, non ho diritto a un po’ di pace? Mai? Cosa vuole dirmi, dimostrarmi? Di fronte a cos’altro dovrei aprire gli occhi? “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare”… Ho cominciato presto. È tutta la vita che racconto le fiamme, la speranza, canto la bellezza che sempre disarma e talvolta uccide - perché non passi inosservata e persa, “come lacrime nella pioggia”. Forse non faccio bene il mio lavoro. Forse qualche dettaglio importante mi sfugge ancora. Ecco, sì, dev’essere per questo che insiste tanto, mi tiene ferma nel mio punto di osservazione.
Non basta voler bene per accettare i pur sempre possibili momenti di vacuità – ci vuole amore.
Vai – lascia che la disperazione ti porti dove vuole o deve. Anch’io vado, umile, sola: nel pianto e nel dolore.

10 Settembre 2004

«Come mai l’Arcilesbica nazionale è stata così assente rispetto ai fatti accaduti il 18 Aprile scorso?»

Questa domanda (che pure io mi sono fatta e continuo a farmi, di tanto in tanto), andrebbe posta ad Arcilesbica. Le spiegazioni che ho ricevuto sono tutte alquanto deliranti, comunque indirette e perciò, dal mio punto di vista, inattendibili. Illazioni, insomma.

Potrei farne un elenco ma, per quanto bizzarro o deprimente (dipende dai punti di vista), non avrebbe senso, né ci servirebbe a capire le motivazioni reali che hanno portato Arcilesbica Nazionale a commettere quello che io considero essere un gravissimo errore politico prima ancora che una deliberata e incomprensibile cattiveria verso la mia persona, Sara e tutte le lesbiche che, non facendo parte di alcuna consorteria, sapranno di ritrovarsi completamente sole se avranno la sfrontatezza di denunciare pubblicamente una violenza subita senza prima passare dal vaglio censorio del gota GLBT.

Qualcuno ci ha fatto sapere che "abbiamo mal posto il problema", con ciò sottintendendo molte gravi cose. Come se una persona (in stato di ignoranza, isolamento, urgenza, pericolo e necessità) avesse la forza e il tempo di mettersi a baciare le mani, elemosinare consensi come farebbe un portaborse, o cedere in appalto la gestione di una tragedia reale, concreta, non una fiction, o affidare la propria vita alla discrezionalità e ai capricci di una comunità disomogenea, comunque superficiale, distratta, inetta, disorganizzata, perlopiù concentrata su se stessa, sui suoi personalismi, le sue beghe di condominio, le sue misere e miserabili pastoiette.

Certo, adesso lo so, avrei dovuto bussare, chiedere il permesso, farmi sostenitrice acritica dei vari presidenti o sedicenti tali delle organizzazioni GLBT più "potenti", ma avevo 10 giorni di tempo prima che il nostro caso fosse archiviato, definitivamente seppellito sotto un mare di silenzio e sottesa approvazione dei nostri aggressori - cos'altro potevo fare se non tentare di alzare un polverone per impedire l'irrimediabile? Povera illusa, povera sprovveduta - come potevo immaginare che in quel mare di silenzio le lesbiche per prime avrebbero riversato il peggio di cui erano capaci, non soltanto lasciandoci sole come cani, ma facendoci persino passare per bugiarde, mitomani, maschiliste (!!!), opportuniste e chi ha avuto più sudiciume nella testa e nel cuore, più ne ha messo... Un bel primato davvero, complimenti ANCHE ad Arcilesbica Nazionale che, sì, questo è agli atti (una macchia che niente potrà cancellare), non si è nemmeno degnata di far pervenire alla CPO provinciale di Lucca, una cauta ma doverosa, necessaria adesione formale all'iniziativa politica che travalicava il nostro caso specifico assumendo una valenza altra, più vasta, generale, volta a denunciare uno stato di pericolo reale che riguarda tutte le donne non conformi, fra queste anche le lesbiche.

Lascio al lettore il compito di trarre delle conclusioni, ed anzi, se un giorno avrà una risposta a questa domanda, lo prego di comunicarmela. Non servirà a niente (tutti i danni che potevano esser fatti li abbiamo puntualmente subiti), ma almeno mi leverò una curiosità.

23 Settembre 2004

Tutto sta in equilibrio stabile o precario su quella linea sottile che è la “normalità” così come convenzionalmente si crede debba essere. Oh, certo, qualcuno cade da una parte o dall’altra, ma quando questo avviene raramente vi prestiamo attenzione, ci giunge la voce, o il grido – d’altronde spesso è un’implosione silenziosa, un viaggio solitario senza ritorno, e chi lo compie non chiede clamori, né va a cercarli. Lo scopo di scelte tanto difficili, di necessità così insopprimibili, non è attirare l’attenzione – è sopravvivere. Ritagliare un proprio spazio nel quale poter essere se stessi, quanto più possibile – per non morire, dentro.

Se si vuol bene, bene davvero, non si può che aiutare le persone che amiamo a trovare la loro dimensione - anche se questo ci costringerà a rimetterci in discussione, ci priverà di alcune illusorie ma rassicuranti certezze.

A volte chiedo: «Ma vi pare che se avessi potuto decidere, avrei scelto d’essere lesbica? E se anche avessi potuto decidere di non essere me stessa, ma che razza di persona sarei stata? Forse la mia famiglia, i miei amici, la mia comunità avrebbero preferito che non li mettessi a disagio, non buttassi all’aria i progetti che avevano fatto per me, non li avessi costretti a prendere atto di una realtà che, seppur ignorata o negata, esiste - ma a cosa sarebbe servito continuare a screditare l’evidenza se non a perpetuare inganni, dolore, paura, infelicità, ipocrisia? È a questo che serve vivere?». Qualcuno ci riesce, lo so. Ma so anche che chi mortifica una parte di sé, prima o poi ne paga le conseguenze. La parte di noi che cacciamo dalla porta, prima o poi rientra dalla finestra con esiti ancor più imprevedibili e incontrollabili di quelli dai quali si è creduto di poter fuggire.

Quando si tratta d’identità, orientamenti affettivi, non si possono e non si devono fare compromessi. Il prezzo di un tale errore, di una tale orrenda pretesa, è sempre la sofferenza o una lenta e inesorabile morte interiore.

Il gioco (la vita) può non essere accettabile dal nostro punto di vista ma certo non è incomprensibile se si è disposti a conoscerne le regole…

L’amore vero è tutto fuorché egoismo, gelosia, costrizione e irragionevolezza. Occorre esser lieti. Darci l’occasione per essere felici, per trovare il nostro “identico e contrario”, qualcuno che possa corrisponderci pienamente. Potremmo non trovarlo mai, ma se invece di andarlo a cercare rimaniamo fermi pretendendo di far funzionare qualcosa che è irrimediabilmente guasto, ci priveremmo di quell’unica possibilità. Insomma, ci vuole pazienza e generosità e, per quanto retorico, è vero che con il tempo si supera tutto – basta non cadere nella trappola delle ossessioni che sono sempre asservite ai propri scopi e alle proprie necessità – mai a quelle degli altri. Quando succede parlare di amore è uno sproposito, è un tantino disonesto...

27 Settembre 2004

Lo so: quello che sto facendo è giusto, serve. Questo ho e questo do. Una goccia che quasi impercettibilmente scava, e segna. Solitaria, a prua, raccolgo il vento nelle vele, danzo la tempesta. Se una veggente mi avesse predetto il futuro che sto attraversando, avrei riso sino alle convulsioni… La vita supera sempre la fantasia.
Via, su! Cos’è questa cappa? Leggerezza ci vuole, noncuranza… Ci sono miliardi di cose più importanti di cui lagnarsi, sulle quali arrovellarsi... Un paio di cose - le mie - tralasciando gli zeri.

28 Settembre 2004

Se la vita è stata intensamente vissuta e non è trascorsa invano, a quarant’anni l’amore non è più solo una questione di ormoni.
Mi sembra d’essere percepita come quei fiori bellissimi che per proteggersi emanano un odore pestilenziale - non li si può che ammirare, estasiati, ma da lontano… E allora, di fronte ad un così poderoso malinteso, come si fa a non essere tristi, dispiaciuti per se stessi e gli altri, preoccupati?

18 Ottobre 2004

Nella mia scrittura vi sono abissi, subito carezzati, difesi come cose preziose, care. Voragini che la vita, l’amore apre e riempie - lì s’acquieta. L’immagine è quella di una sfera, perfetta e lucente. D’acciaio o cristallo – dipende. Talvolta con la neve dentro. Un po’ chic, lo ammetto. Roba per collezionisti. Il collezionismo è sempre patologico.
Le donne non sono impegnative, è l’amore ad esserlo, e molto. L’importante è saperlo, sapere sin dove si è disposti ad arrivare – risparmiare all’altra la nostra pigrizia, arrivati in fondo, risparmiarle almeno le nostre bugie, o necessità.
Fra le righe ritrovo un’immediatezza spavalda e insieme trattenuta, in ogni fiammella la promessa d’un incendio… Conosco, conosco – e lacrimo. Io sono il mare.

21 Novembre 2004

L’isolamento, specie per chi non vive nelle grandi città (Milano e Roma, per citare le più note) è il tratto caratteristico di tutte le donne, non solo lesbiche – ed è anche la condizione peggiore nella quale una persona possa trovarsi. Nel 2001, quando ho acquistato il mio primo PC, ero completamente sola e isolata, un po’ per carattere e un po’ per la mancanza oggettiva di occasioni d’incontro/confronto. Lucca, pur essendo capoluogo, non è diversa dalla maggior parte delle piccole cittadine di provincia ed anche Firenze, che in fondo dista solo una settantina di chilometri da qui, o Pisa, una ventina, non sono quelle gran realtà cosmopolite che si crede. L’affermarsi, poi, di Torre del Lago (la mecca turistico marinaresca del divertimento fine a se stesso LGBT*) ha istituzionalizzato e quindi ulteriormente appiattito, omologato l’esistente. Insomma, per chi cercava e cerca altro, poco o nulla è cambiato. Tuttavia, Internet, se affrontato con cautela e consapevolezza, qualche opportunità la offre. Così, pur non riconoscendomi praticamente in niente di quello che vi ho trovato (e per ciò cominciando sin da subito a dare battaglia pagandone regolarmente le conseguenze) mi si è aperto davanti un mondo e la mia vita è completamente cambiata: in meglio. Senza il computer, ad esempio, non avrei mai potuto pubblicare i miei lavori rimanendo indipendente e libera da ricatti e compromessi – e senza Internet nessuno ne avrebbe potuto godere. Di più: senza computer e senza Internet, la mia vicenda personale (dettagliatamente illustrata nella sezione “18 Aprile” del sito) sarebbe stata solo un disastro – invece, attraverso questi due strumenti (perché tali sono) ho avuto il peggio ma anche il meglio possibile. Ormai sono tre anni che affermo (e so di non esagerare) che Internet ha salvato la vita a tante persone, offrendo soprattutto alle donne almeno l’opportunità, seppur virtuale, d’incontrarne altre senza dover imbracciare un fucile per poterlo fare! Quante donne di fede, quante mogli e madri schiave della famiglia e del sistema frequentano le chat, i forum, le mailing list lesbiche! Questo non cambia loro la vita, ma almeno una boccata d’aria di tanto in tanto possono respirarla! Quindi, per parte mia, che pure sono estremamente critica e ben conosco il mezzo e le dinamiche che ne riducono le potenzialità, ad Internet farei un gran bel monumento!
Davvero pensavo di poter dare il mio contributo senza dovermi mettere troppo in gioco, senza fare troppa fatica. So che in una certa misura è possibile, a partire dal quotidiano, nella vita privata, facendo lo stretto necessario – ma, complici gli eventi, ho scoperto che non basta, non basta più. Lo avrei evitato non tanto per paura, quanto per pigrizia, per mancanza di mezzi e, tutto sommato, autostima – ho capito sulla mia pelle che non occorre averne e che la pigrizia e la paura ci porteranno alla rovina.

5 Dicembre 2004

A casa. Fuori piove. Cieli plumbei da un capo all’altro della penisola – è un po’ come sentirsi a casa, ovunque, portarsi intorno e dentro. Circolarità. Ed ora fare il bucato, gustarsi un po’ di quiete, la musica giusta – non accendere la luce per non rompere l’incanto o affidare le ombre ad una fiammella che le agita, distende. La solitudine talvolta aiuta, conforta, scalda. Riavvicina parti di noi che si sono sparpagliate ed altre se ne vanno, o fluttuano nell’aria – piacevoli come un profumo buono, o fastidiose come una mosca che sente il tempo mutare, fuggire.
Non so cosa accadrà, cosa ne sarà di noi ma, sì, la vita, nonostante tutto, è generosa e continua a darci più di quanto in effetti ci occorra – anche quando non ce ne accorgiamo, anche quando non pare o sembra poco.

23 Dicembre 2004

Ed ora Natale, un altro. Ma quest’anno non ho angosce, melanconie. Non ne ho né il tempo, né le energie, né il motivo – il mio punto di vista non è più lo stesso di un anno fa, adesso sono altri i pensieri e i sentimenti che si rincorrono nella mia mente e nel mio cuore, altri i riferimenti, le necessità. Anch’io ho spesso voglia di piangere, così, apparentemente senza che ve ne sia una ragione. Guardo fuori dal finestrino quest’Italia bella e dannata sfrecciarmi accanto ma il dolore non è mai insopportabile, prevale la consapevolezza e, talvolta, la speranza. Sarà quel che deve ed io, noi, faremo la nostra parte. Come sempre non mi tirerò indietro - finché potrò resisterò, farò quello che è nelle mie possibilità per non prendere parte all’impazzimento che ciclicamente affligge il genere umano o parte di esso, che ottenebra le coscienze e le rende incapaci di ascolto, pietà, comprensione…
Italietta. L’immagine è quella di una catapecchia che ha fondamenta d’argilla: puoi arredarla suntuosamente, cambiarne gl’infissi, decorarla quanto e come vuoi, raddrizzarla, ma ad ogni sussulto ecco che ovunque s’aprono crepe, crollano pareti, sempre di più si piega su un lato – la fisica non è un’invenzione dei soliti disfattisti, eppure…

 

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