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Aggiornato
Domenica 04-Mar-2012
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«Vecchia balorda!» - esclamò il Giangianni guardando dallo specchietto retrovisore il viso impallidito di una signora il cui unico torto era stato di trovarsi ad attraversare le strisce pedonali proprio mentre lui sopraggiungeva in accelerazione dopo aver tagliato la strada ad un buffo ometto che guidava una vecchia Simca e portava una specie di bombetta. “A certa gente dovrebbero ritirare la patente!”, pensò il Giangianni che non aveva tempo da perdere, che era un uomo d’affari e che se solo un centesimo della popolazione avesse lavorato quanto e come lui il mondo intero avrebbe risolto tutti i suoi problemi! Aveva fretta, il Giangianni, certo, fretta come e più di sempre – era atteso dall’Amministratore Delegato della ImEx S.p.A., un affare da parecchie migliaia di Euro, tanti quanti quella rimbambita là sulle strisce non ne avrebbe mai visti in tutta la sua squallida e insignificante esistenza! Giunto in piazza soffiò senza troppi complimenti il parcheggio ad un tizio che aspettava da un quarto d’ora, afferrò il cellulare, la borsa con i documenti e l’impermeabile. Chiuse ed inserì l’allarme della sua BMV nuova di trinca e mandando a quel paese il parcheggiatore si avviò con passo da bersagliere verso il centro, ma a circa venti metri dall’ufficio gli si avvicinarono due finanzieri che gli notificarono un mandato di arresto. Il Giangianni cercò di fargli capire che aveva un incontro d’affari importantissimo al quale non poteva assolutamente mancare, minacciò denunce, querele, inveì, lanciò anatemi, blaterò spropositi, invocò l’intervento divino, disse ringhiando che con quel pezzo di carta ci si potevano pulire il culo, che si sarebbe rivolto a questo o a quel ministro e gliel’avrebbe fatta pagare, urlò e smanacciò, ma a nulla valse tanto impiego di fiato ed energie: i due militari lo presero sotto le braccia con relativa delicatezza e sollevandolo da terra lo spinsero all’interno della loro auto. Fu allora che senza una ragione il Giangianni si volse e attraverso il lunotto vide uscire dal portone del suo ufficio un buffo ometto che aveva in testa una specie di bombetta. Strinse i denti, chiuse gli occhi, sospirò lungamente e alla fine ebbe solo la forza di chiedere con un filo di voce che giorno fosse… «Venerdì, signore, venerdì tredici.»
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