Paolo pensò a quanto sono stupide certe canzoni. Spense lo stereo, scese e chiuse l’auto. All’ingresso del night la guardarobiera gli diede un gettone numerato e appese il suo cappotto fra molti altri.
«Signore e signori, dalla Romania, per voi, stasera…»
Era arrivato appena tempo. Non che gliene importasse, ma visto che Nicola ci teneva tanto… Sbuffò cercando le sigarette nella tasca interna della giacca. Nicola lo vide e subito gli andò incontro festante com’era abituato a fare con gli amici: «Alla buon’ora, Paolo!» - esclamò dandogli una pacca sulla schiena - «Pensavo che non saresti venuto… Che prendi da bere?»
«Un Cuba Libre.»
«Allora facciamo due.», disse rivolgendosi al barman che intanto si era avvicinato per servirli. «Beh? Com’è andata?»
«Poteva andar peggio…»
«Il solito ottimista, vero?»
«Già…»
Paolo era un bel ragazzo, alto, forte, in apparenza molto sicuro di sé. Nicola, invece, non era un Adone, ma aveva una gran parlantina e con quella faceva miracoli. Erano colleghi ed amici da un paio d’anni – un connubio perfetto del quale i superiori erano piuttosto soddisfatti. Paolo era entrato nella Guardia di Finanza giovanissimo, come il padre del resto. Nicola più tardi e certo non per amor dell’Arma. Era stanco di girovagare da un mestiere all’altro, aveva voglia di sistemarsi e grazie a qualche buona conoscenza non gli fu difficile indossare l’uniforme.
Paolo era sposato. Nicola, invece, di sposarsi non ne voleva proprio sapere. Era un irriducibile, impenitente libertino, a suo modo coerente e persino onesto: mai finse di aspirare ad altro. Paolo provava ad imitarlo, ma tutta quell’allegria gli stava stretta, non era contento né di se stesso, né della sua vita. Era nato e cresciuto in una famiglia conservatrice e reazionaria, aveva studiato in scuole private cattoliche, aveva frequentato l’oratorio, quindi, sin da bambino, si era abituato ad una mentalità e ad un’educazione di stampo borghese zeppa di precetti e preconcetti, tuttavia non era riuscito ad abituarsi davvero a quell’utilitaristica concezione del mondo e dell’esistenza. Sentiva dentro di sé tutto il peso delle sue contraddizioni: amava i suoi genitori ma non ne condivideva l’ottusità, la rigidità morale, l’opportunismo, e tuttavia non riusciva quasi mai a distaccarsene - si sentiva intimamente diverso, eppure gli somigliava. Sapeva che cedendo ai loro ricatti faceva torto a se stesso ma finiva sempre con il soccombere, più o meno consapevolmente. Viveva perciò con tormento, senza saper trovare un’alternativa che gli consentisse di accontentarli e insieme lo liberasse dai sensi di colpa, dalla subdola certezza d’essere divenuto un uomo dappoco. Tentava disperatamente di adattarsi, uniformarsi, di apparire risoluto. Di fronte ad amici, colleghi e parenti faceva propri i principi morali ai quali era stato educato, specialmente in riguardo alla famiglia, ma la verità era che non aveva mai amato sua moglie, l’aveva sposata solo perché si era sentito in obbligo di farlo…
«Era un periodo strano, quello. Un poco alla volta cominciarono tutti a fidanzarsi, poi arrivarono le prime partecipazioni di nozze. Mamma sospirava guardando le foto di quand’ero bambino e papà passava il tempo a fare i conti in tasca alle famiglie che si andavano formando… Insomma, mi sentivo una mosca bianca, mi sembrava di fargli torto disinteressandomi alla progenie e, più in generale, al mio futuro. Un giorno, papà mi fece notare che era arrivato il momento di prendere una decisione, che ero pronto, ed io mi sentì uno stupido a non averci pensato prima: frequentavo Clara da quasi un anno e “lei è un’ottima occasione che non ti dovresti lasciar sfuggire”, disse papà dandomi un paio di colpetti sulla spalla. Così la sposai e da allora ho cominciato a sentirmi inquieto, infelice. Non so che pensare, Nicola, ma io non sono più stato lo stesso.»
Nicola aveva capito benissimo ma non poteva far molto per l’amico. Pensò che il modo migliore per aiutarlo consistesse nel fargli vedere le cose anche da un altro punto di vista. Gli avrebbe dimostrato che leggerezza e allegria non sono necessariamente sinonimi di superficialità e immoralità, che l’essere sensibili e generosi non indica debolezza di carattere e inclinazione alla dissipatezza. Nicola pensava che per vivere bene bastasse imparare ad accettarsi. Allora aveva cominciato a smontare gran parte delle sue convinzioni e, proprio come un ragazzino capace d’inventare sempre nuove costruzioni da uno stesso numero di mattoncini, gliele aveva rimontate sotto il naso completamente stravolte, ma Paolo sembrava cieco e sordo. Non era colpa sua – gli avevano taciuto la pluralità delle idee, gli avevano insegnato i colori primari negandogli le conoscenze per trarre da essi le infinite sfumature dell’iride – cos’altro ci si poteva aspettare da lui? Nicola capì che solo il tempo avrebbe abbattuto la sua prigione, che solo instillando piccole dosi di dubbio dove le certezze erano più artefatte sarebbe esplosa la necessità di ribellione e allora, forse, avrebbe preteso che gli restituissero la vita.
«Non riesco a comportarmi come dovrei, Nicola, è più forte di me. Mi sento una merda, credimi, un gran pezzo di merda…»
«Tu devi comportarti come ti senti, non come qualcun altro ha deciso che devi! Che novità è questa?»
«Un paio di giorni fa il Colonnello ha voluto parlare con me: “Un colloquio strettamente riservato” – ha detto. Non mi stupirei se mio padre c’entrasse qualcosa…»
Certo che c’era di mezzo lui.
Paolo, in quell’ultimo periodo aveva avuto dei comportamenti più inquieti del solito. Alla fine si erano preoccupati un po’ tutti, specie i suoi genitori i quali, dopo innumerevoli tentativi di ricondurlo alla ragione - a nulla erano servite le minacce, le lusinghe e i regali -, pensarono di doversi rivolgere a lui che era un buon amico, di vecchia data. «Senti, Ulderico, te lo dico sinceramente: in mio figlio c’è qualcosa che non va. Penso che abbia bisogno di una guida forte, autorevole - e chi più di te potrebbe esserlo? Lo sai, certe cose non possono dirle i padri. Lo conosci sin da quando era bambino e tu sei un uomo esperto, Ulderico, sai quanto me come va il mondo. Il ragazzo è ingenuo, è cresciuto in parrocchia, lui a certe cose non ci pensa proprio, ma sarebbe meglio che qualcuno cominciasse a farlo ragionare! Insomma, Ulderico, siamo nelle tue mani…» - e il Dottor Clerici non aveva perso tempo.
«Allora, Paolino, cos’è questa storia?» - Paolo non riusciva a capire - «Ho notato che da qualche tempo il tuo rendimento non è più fra i migliori, sei svogliato, disattento…» - non aveva il coraggio di guardarlo in faccia - «Mi deludi, figliolo…» - aveva cominciato a tormentarsi le nocche delle dita - «Non sono uno stupido, so benissimo come vanno certe faccende e ti sarei grato se tu pensassi a me come ad un buon amico al quale confidare senza paura e pudore i tuoi crucci, le tue preoccupazioni…» - ma Paolo era troppo intimorito per poter parlare - «C’è di mezzo tua moglie, eh?» - Paolo sollevò lo sguardo - «Capisco…» - il Dottor Clerici si accese una sigaretta - «Sei un ragazzo onesto, puro – so che non è facile convivere con una persona… come dire… deludente? poco stimolante?» - Paolo annuì timidamente - «Ecco, appunto. Devi imparare a scindere il matrimonio, che è e deve rimanere sacro, dalla tua vita privata, intima, che è cosa diversa ma altrettanto inviolabile e sacra. Credi davvero che potresti essere un buon marito, un buon padre e un buon ufficiale se la tua vita privata non fosse pienamente soddisfacente? Certi compromessi, caro il mio Paolo, sono necessari! Soddisfare con discrezione e moderazione esigenze e interessi personali diversi da quelli familiari, è un dovere - purché nel farlo non si danneggi la propria reputazione o quella delle persone che amiamo e ci amano. Parliamoci chiaro, Paolo: conosco uomini che se non avessero avuto una vita propria, indipendente e svincolata dagli obblighi e dalle responsabilità familiari, non avrebbero sopportato un solo minuto il loro matrimonio! Ciò gli ha permesso di onorare promesse e impegni, conservando equilibrio e autorità.» - quindi gli diede una serie d’indirizzi ai quali avrebbe trovato certe sue “conoscenti” che lo avrebbero aiutato a risolvere durevolmente e senza complicazioni i suoi problemi. Punto.
Paolo non poteva crederlo: gli avevano suggerito di farsi “rimettere a posto” da qualche compiacente “massaggiatrice”. In poche parole gli avevano detto: “Fa quello che ti pare ma salva le apparenze”.
Lì per lì se l’era presa, poi però aveva pensato che forse tutti i torti non li avevano e se aveva funzionato con loro, magari avrebbe funzionato anche per lui – così, quando squillò il telefono, propose a quella ragazza d’incontrarsi e tutto andò come gli avevano consigliato.
«Che cretino… Se me l’avessi detto ti avrei dissuaso…»
La testa di Paolo cadde ciondoloni all’indietro. Era già al sesto Cuba Libre e da quella posizione avrebbe potuto contare tutte le stelle del firmamento, invece, chissà perché, cominciò a canticchiare uno stupido motivetto lasciando Nicola da solo a giocare con i suoi adorati mattoncini…
“…Non si baciano gli estranei,
Bambina mia,
Nulla è cambiato
Sono solo andato via…”

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