Il Commendator Angelini montò sbraitando sulla sua Simca: «Dio, che periodo! Ieri quel cretino s’è fatto arrestare prima di firmare il contratto, oggi una scema si suicida e altre due mi svengono fra le braccia, ma insomma, che deve fare un pover’uomo malato di cuore per starsene in santa pace?»
«Giornataccia, eh?» - gli disse il parcheggiatore vedendolo infuriato - «Torna?»
«Non lo so, Piero, non lo so e non lo voglio sapere!» - e poi, fra sé - «Un’intera mattinata buttata via…»
«Piero capì che non era il caso d’insistere: «Beh, fa lo stesso, Commendatore – vada pure…», lo salutò con un gesto della mano e si scostò prudentemente dall’auto per farlo passare.
Il Commendator Angelini ingranò la prima, diede gas, lasciò la frizione e sollevando una nuvola di polvere uscì dal parcheggio.
Strada facendo decise di prendersi un giorno di riposo, non avrebbe sopportato altri contrattempi. «Basta, me ne vado a casa, stacco il telefono, faccio un bagno, m’infilo il pigiama e leggo tutto il giorno!», esclamò armeggiando con la manopola del riscaldamento. Già pregustava l’attimo in cui avrebbe varcato la porta di casa, quando s’accorse che nonostante la temperatura all’interno dell’abitacolo fosse sensibilmente aumentata, aveva freddo ugualmente – alla testa. Si toccò l’ampia pelata, guardò il sedile accanto a sé, sbirciò attraverso lo specchietto retrovisore, ma niente – della sua strana bombetta neanche l’ombra. «Ecco, ci mancava solo questa!», strillò irritatissimo, quindi cercò di ricordarsi dove l’aveva lasciata. Al bar? Impossibile, la teneva in mano. Dalla fioraia? Improbabile, non gli sembrava di averla con sé quand’era entrato in bottega. E allora? «Oh, Signore, l’avrò mica lasciata sui gradini davanti alla vetrina?!» - una vampata di rabbia gli annebbiò la vista. Inchiodò l’auto, innestò la retromarcia, fece inversione e spinse a fondo il pedale dell’acceleratore - «Devo far presto, accidenti, altrimenti non la ritroverò più!»
Finalmente raggiunse un lungo rettilineo dove avrebbe potuto accelerare guadagnando qualche minuto prezioso: ottanta, novanta, cento, centodieci, centov… centoven… CENTOVENTI!!!
Ci fu un boato, poi un fracasso infernale come se il motore avesse deciso di sparpagliarsi in mille pezzi, infine il cofano esplose oscurando il parabrezza. Il Commendatore accostò come poté, guidando con la testa fuori dal finestrino tra gli sbuffi di fumo, quasi soffocando per il puzzo di bruciato. L’auto si fermò da sola, priva di vita. Il Commendatore scese, barcollando. Si guardò intorno, incredulo. Disse: «Adesso chiudo gli occhi, poi li riapro e…» la sua Simca era ancora lì, esanime. Si appoggiò ad un albero, tremante. Gli veniva da piangere. Nel giro di appena qualche ora gli erano capitati una tale quantità di accidenti che credette davvero di avere il malocchio: «Il vudù, ecco cosa mi hanno fatto – una stramaledetta fattura! Qualcuno mi vuol vedere morto, non c’è altra spiegazione…» - e assestò un calcione allo sportello ma questo non volle saperne di chiudersi - «Al diavolo, al diavolo, al diavolo!!!» - cominciò a ripetere prossimo al collasso.
Nel frattempo qualcuno aveva sentito tutto quel baccano e pensando ad un incidente aveva chiamato il 112. Quando la Gazzella arrivò, il buffo ometto se ne stava ginocchioni nell’erba.
«Si sente male?», gli chiese il carabiniere.
«No.»
«E allora cosa ci fa in terra?»
«Insegno l’alfabeto alle formiche!». Al Commendator Angelini era caduto il portafoglio. Nel raccoglierlo gli erano caduti gli occhiali. Nel cercare entrambi aveva smarrito le chiavi. Infine, zampettando nell’erba senza poter vedere dove metteva i piedi, li aveva rotti. Un disastro…
«Non faccia lo spiritoso.»
«Ho l’aria di uno che ha voglia di scherzare?», chiese a muso duro il Commendatore.
E l’altro: «Può darsi.»
«Può darsi che???»
«Favorisca i documenti.»
«Ma io non posso favorirle un bel niente, accidenti!», urlò ormai del tutto incapace di spiegarsi o ispirare pietà.
«Bene, allora si alzi e mi segua…».

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