Fiammetta non poteva credere ai suoi occhi: la mite e succube donnetta del palazzo di fronte aveva spaccato la faccia a quel tronfione, a quel pallone gonfiato, a quell’essere immondo travestito da brava persona! C’era di che sentirsi fiduciosi: forse il genere umano non era tutto da buttare. Socchiuse le imposte. Adesso anche Pippo Baudo le sembrava sopportabile e volentieri si lasciò ubriacare dalle stupidate del sabato sera televisivo.
Generalmente evitava di non andare al lavoro, ma aveva preso una brutta infreddatura e per questo non era stata in grado di prendere servizio. Non era abituata a trascorrere le serate a casa, da sola. La musica, le luci soffuse, l’atmosfera fumosa ed equivoca di quel locale la divertiva. Si sentiva meno infelice se confrontava la sua esistenza con quella dei frequentatori di night e sebbene trovasse un po’ demodé quei vecchi e nuovi marinai alla ricerca di un porto franco al quale attraccare, non ne era affatto turbata - non più, almeno.
Al “Donchy” era arrivata per caso una sera che aveva accompagnato nel loro pellegrinaggio alcolico certi suoi amici in vena di far baldoria. Com’era sua abitudine aveva simpatizzato un po’ con tutti e in special modo con il titolare che le chiese subito se le sarebbe piaciuto fare la guardarobiera nel suo locale e lei, che ormai era stanca di lavorare come commessa in un ingrosso di confezioni, accettò con entusiasmo senza farsi troppe domande.
Finalmente avrebbe potuto scrivere qualcosa d’interessante attingendo informazioni direttamente dalle profondità dei più bassi istinti, una specie d’inviato speciale nell’inferno dei vivi - ma ben presto si accorse che se d’inferno si poteva parlare, quel posto non ne era nemmeno l’anticamera. Aveva sentito parlare di alcuni club dove accadeva di tutto, senza inibizioni o limiti: i cosiddetti privé per coppie “scambiste”, “osservatori” discreti e singles di bocca buona, dove si praticava “l’amore libero non mercenario”, luoghi inaccessibili se non si era accompagnati da persone di fiducia già bene introdotte. E poi c’erano gli inserzionisti, i cinema a luci rosse, i viali, i boschetti e le pinete, i gabinetti pubblici, le dark-room, le saune, i bordelli di lusso con telecamere e guardie armate all’ingresso, le feste del jet-set, le favelas, le galere e le guerre - divertimento assicurato per tutti i gusti e tutte le tasche. A conti fatti Fiammetta era finita in un covo di pudichi ed onesti cittadini.
Sorrideva, Fiammetta, ricordando la faccia attonita di Rachele quando le disse che avrebbe lavorato in un night. «Tu sei matta!» - le aveva risposto - «Se non ti piace più lavorare in quel magazzino lo dico a mio padre così magari ti trova qualcos’altro... Oppure, se hai pazienza, potresti prendere il mio posto al check-in dell’aeroporto - tanto io mi stanco presto, lo sai...». Sorrideva pensando ai rimproveri dei genitori, ai pettegolezzi e alle maldicenze: «Una ragazza tanto giovane, carina e simpatica - che peccato finire così!» - ma finire come? A riporre cappotti e pellicce, a guardare di nascosto le moine delle entréneuse, a dispiacersi in silenzio delle loro spesso orribili vicende? Sì, così era finita e non se ne vergognava - sapeva che c’era di peggio e non occorreva scomodare la fantasia per immaginarselo, bastava guardarsi intorno.
Dopo qualche mese trascorso ad ore piccole ed acqua minerale, abbozzando maldestri ritratti di uomini e donne schiavi di se stessi e dei propri bisogni, incapaci d’altro, vittime e carnefici, comunque complici di un destino al quale si erano consegnati nella convinzione preconcetta di non potersene sottrarre, ormai troppo collusi con le miserie e le piccinerie umane per potersi adattare ad una trascrizione romanzata del mondo, in lei svanì qualsiasi interesse letterario e per un certo periodo più nulla ne stimolò la creatività.
Per Fiammetta scrivere era una necessità che spesso si manifestava in coincidenza con il ciclo mestruale e dalla quale solo raramente nascevano produzioni di un certo rilievo. Se le avessero chiesto spiegazioni avrebbe dovuto rispondere che ubbidiva ad un impulso improvviso, che c’era urgenza, che non aveva mai un progetto vero e proprio sul quale lavorare ed ogni volta era come se si limitasse a trascrivere, a riordinare i pensieri di qualcun’altro - alla fine leggeva quello che aveva scritto e, buono o cattivo che fosse, candidamente per prima se ne stupiva. Così accadde anche quella sera: senza preavviso e senza ragione, mentre girovagava da un canale all’altro in cerca di un film o un programma decente, si sentì la testa piena di parole fra loro prive di nesso logico, allora si precipitò al computer, cercò di afferrarle, fermarle, di dargli un senso, ma poiché non ci riuscì perse la pazienza e abbandonò la scrivania in preda allo sconforto. Si buttò sul divano per riposarsi un po’. Aveva il naso completamente tappato e mentre cercava l’ennesimo fazzolettino smarrito chissà dove, le capitò una cosa davvero strana: la porta di casa si aprì ed una donna, il cui aspetto le era familiare sebbene non l’avesse mai vista prima di allora, le si avvicinò mostrandole un volume piuttosto malridotto: «Guarda» - sussurrò - «sembrerebbe un libro di poesie...». Fiammetta ne era incuriosita, cercò di scoprirne l’autore ma non vi riuscì, allora si tirò su per dare una sbirciatina furtiva ma la donna glielo porse come per indurla ad una più facile e attenta lettura. Fiammetta ubbidì...
Girandola d’amore e morte,
Voci d’eco condannate a lambire le stesse spiagge
- Sempre -
Urla vibranti o cristallo infranto.
Tumulto di gente,
Maschere d’insulsa ipocrisia,
Come un amore senziente
In questo buio/macchia che non va più via.
Noi - scambiarsi di scorci dorati
O adorati occhi di fanciulla;
Noi - negato abbraccio o angeli caduti,
Ombra sbavata e pianto in una culla...
Oh, certo, come api di bocca in bocca
Cogliere aspersa dolcezza o fiele,
Ma non è vero che così ama la vita chi l’ama
E non si fa zittire
E vera non è la stanchezza del giostraio -
Illusoria ascesi, trapasso solitario,
Piaga profonda che grida sgomento,
Disperde parole e sangue nel vento...
Occorreva voltar pagina per leggere il resto, ma la donna le sfilò di mano il libro e allontanandosi disse: «Non c’è sgomento. Stupore sì, forse, a volte - dolore, anche, ma non disperazione. C’è sempre una ragione ed ogni viso riflette del cielo il suo buio e nel buio una luce magnifica...».
Fiammetta era stupita, affascinata. Si concentrò e ripeté più volte quelle parole in modo da potersele ricordare ma un boato improvviso ed una luce intensissima la ridestò. Si era addormentata con il televisore acceso e quando finalmente se ne rese conto vide che sullo schermo scorrevano le immagini in bianco e nero di un devastante bombardamento. Fiammetta aveva la bocca impastata ed era in un bagno di sudore. Guardò l’ora e si stupì di aver dormito così tanto, poi si ricordò di quel sogno strano, prese carta e penna, frugò nella memoria ma niente, tutto sparito - le rimaneva solo il suono delle parole, come una musica, e la certezza di aver vissuto un’esperienza quantomeno insolita. Provò un profondo dispiacere. Quello che aveva letto le sembrava ancora abbastanza bello, ma più passava il tempo e meno ne era sicura. Pensò: «Certo, se inventassimo un marchingegno capace di registrare i sogni non dovremmo sforzarci di ricordare, al risveglio non potremmo condizionarli ed io, adesso, non avrei dubbi...» - delusa spense il televisore. Si guardò intorno sperando di vedere nell’oscurità l’ombra di una figura umana, ma nulla si mosse e ovunque trovò solo un immutato, rassicurante disordine. Sospirò. Sciolse un’aspirina nell’acqua e la bevve tutta d’un fiato. Si alzò per chiudere le tende della finestra, quindi tornò sul divano, si raggomitolò nel soffice piumone, spense la luce e dopo qualche minuto il ticchettio della sveglia smise di tormentarla.

|