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Aggiornato Domenica 04-Mar-2012

 

Jacqueline salì le scale facendo attenzione a non sporcare il soprabito contro il muro scalcinato dell’ultima rampa. Dopo vari tentativi riuscì ad aprire la porta di casa richiudendosela alle spalle con un colpetto del piede. Lasciò scivolare le chiavi sulla consolle nell’ingresso quindi, senza nemmeno spogliarsi, raggiunse lo studio e dopo aver posato la conca sulla scrivania prese una piccola busta ed un cartoncino bianco sul quale scrisse:

 

Ancora scusandomi per l’increscioso contrattempo,
infinitamente torno a ringraziarLa per la comprensione,
la pazienza e la stima dimostratami.

La mamma di Isolde, Signora Jacqueline Winwright De La Valle

 

Chiuse la busta, chiamò la governante e dopo essersi fatta preparare un drink le raccomandò di consegnare subito e personalmente la conca con il biglietto alla Direttrice dell’European Institute. Si accese una sigaretta e finalmente sprofondò nel grande divano del salotto. Era sfinita. Distese le gambe e improvvisamente cominciò a sudare: «Emilia, prima di uscire ti spiacerebbe abbassare un poco il riscaldamento? Ah, dimenticavo, hai portato in tintoria la giacca dell’Ingegnere?»
«Sì, Signora. Ha bisogno d’altro?»
«No, Emilia, puoi andare – ma cerca di far presto.»

Emilia si congedò facendo un piccolo inchino e dopo pochi secondi era già pronta per correre alla stazione.

Emilia era una brava persona ed un’ottima domestica, onesta e affezionata, comprensiva e indulgente. Soffriva nel vedere i suoi padroni prossimi alla rovina, ma ancor di più era preoccupata per la piccola Isolde, la loro unica figliuola. Aveva un animo così gentile e sensibile quella bambina – Emilia temeva seriamente per il suo equilibrio e il suo futuro.

Dopo il fallimento della ditta nella quale l’Ingegner De La Valle aveva lavorato per oltre trent’anni, Jacqueline aveva avuto un forte esaurimento nervoso in seguito al quale il loro matrimonio aveva cominciato a vacillare. Jacqueline discendeva da un’antica casata di Lord inglesi. Aveva conosciuto l’Ingegner De La Valle durante una vacanza in Italia e poiché anche lui vantava origini nobiliari e il suo patrimonio era ancora abbastanza cospicuo, le famiglie di entrambi avevano acconsentito al matrimonio senza sollevare obiezioni. Lui aveva una carriera ben avviata. Lei non aveva bisogno né di lavorare, né di badare alla casa perché a queste cose provvedevano rispettivamente il marito e la servitù. Così occupava il suo tempo ricamando, leggendo, frequentando il Lion Club, partecipando alle serate di beneficenza, andando a teatro e trascorrendo lunghi periodi di riposo e svago nel Galles, presso la sua famiglia. Fra stipendio e rendita, i De La Valle potevano permettersi una vita molto agiata e serena. Si erano ormai convinti di non poter avere figli quando, dopo ben tredici anni di matrimonio, Jacqueline rimase incinta di Isolde. Nel metterla al mondo fu sul punto di morire – subì il taglio cesareo e nonostante avessero tentato di nasconderle la verità, alla fine dovettero confessarle che non avrebbe più potuto averne. All’inizio fu uno shock, ma la piccola Isolde ebbe il sopravvento distogliendola dal dispiacere. In seguito pretese di dare alla sua unica figliuola un’educazione ed un’istruzione consona al ceto sociale al quale apparteneva, ma non potendosi trasferire in patria a causa degli impegni professionali del marito, si accontentò d’iscriverla ad un college gestito e frequentato dai suoi pari. Isolde non ne era entusiasta, non le faceva piacere passare tutto quel tempo lontano dagli adorati genitori, in quel noioso Istituto dove studenti e insegnanti fingevano di trovarsi in una specie di protettorato inglese. Isolde non si sentiva affatto anglosassone e con il passar degli anni tutta quell’ipocrisia, quei modi affettati, quel volersi distinguere ad ogni costo, cominciò a nausearla. Nel frattempo, alcuni ingenui o azzardati investimenti del padre avevano dimezzato il patrimonio familiare sino al punto in cui, poco prima del crollo finanziario della ditta nella quale lavorava, fu costretto ad ipotecare case e terreni per far fronte ai debiti e consentire alla figlia di proseguire gli studi.

Quella mattina, verso le otto, Jacqueline aveva accompagnato la figlia alla stazione, l’aveva messa sul treno, quindi aveva avuto un lungo e informale colloquio telefonico con la Direttrice. Si era scusata per il ritardo con il quale mandava la figlia al college e le aveva assicurato che entro pochi giorni avrebbe provveduto al pagamento della retta, ma ovviamente la notizia delle enormi difficoltà nelle quali si trovavano si era diffusa rapidamente ed anche lei ne era informata. «Una piantina non risolverà i problemi e men che mai renderà credibili le mie scuse…» - pensò Jacqueline trattenendo una lacrima, quasi pentendosi di aver agito in quel modo, sentendosi umiliata come mai prima.

La porta di casa si chiuse. Jacqueline buttò giù l’ultimo sorso del suo drink, spense con rabbia la sigaretta nel posacenere di cristallo e inspiegabilmente si sentì sollevata.

Andò in bagno, chiuse a chiave la porta, versò nella vasca qualche goccia di essenza d’ambra, la riempì e vi si immerse.

Aveva sentito dire che se si mettono i polsi nell’acqua calda e ci si taglia le vene non si prova dolore – ma cosa ne poteva sapere lei e cosa ne sapevano gli altri…

L’acqua divenne a poco a poco sempre più rossa, tanto rossa da sembrare irreale, ma Jacqueline non ebbe nemmeno il tempo di notarlo. Docilmente il suo cuore si arrese lasciandole il viso sereno.

 

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