Rachele vide due ombre camminare lungo il ciglio della corsia d’emergenza. Rallentò prudentemente spostandosi verso il centro della carreggiata, quindi guardò nello specchietto retrovisore per essere sicura di non aver avuto un’allucinazione. Le sembrò di vedere un uomo e una donna piuttosto su con l’età, di bell’aspetto, non i soliti autostoppisti con la barba incolta, sporchi e puzzolenti come se ne trovano tanti in estate, specialmente all’estero. Rachele pensò che avrebbe potuto dargli un passaggio, ma poi le venne in mente di non aver notato automobili in panne e questo le parve assai strano, inoltre, ormai, era già troppo lontana – che se ne occupasse qualcun altro.
Accese la radio. Stavano trasmettendo le notizie sulla viabilità – una noia mortale. Aprì il raccoglitore dei CD, cercò l’ultima compilation di Disco Music, introdusse il dischetto nel lettore e digitò il tasto shuffle portando il volume ad un livello appena sopportabile.
Rachele era nata in Belgio. Suo padre, un importante funzionario del Ministero degli Esteri, a causa di un incarico particolare si era dovuto trasferire in Italia quando lei aveva sette o otto anni. Da allora vi era tornata solo per passarvi qualche breve periodo di vacanza o per far visita ai nonni. Della sua infanzia, della cultura e degli usi del suo paese, le rimaneva qualche vago, lontano ricordo nel quale stentava a riconoscersi. Ormai si sentiva italiana a tutti gli effetti ma siccome non ne aveva le caratteristiche somatiche, agli indigeni sembrava ancor più attraente e carina delle autoctone.
Era bella, Rachele: alta, occhi azzurri, capelli biondi – educata, sobria, allegra. Una ragazza sportiva, per bene, sicura di sé, che attirava le simpatie e i consensi di chiunque le stesse accanto. Sin da bambina aveva sempre ottenuto quello che voleva, senza fatica, perciò si era convinta di avere più diritti che doveri. A questo si aggiunga che avendo conseguito la Maturità Linguistica con il massimo dei voti ed essendo favorita dall’appoggio incondizionato e influente di suo padre, nessuna prospettiva di lavoro era troppo ambiziosa per lei. Raggiunto il ventesimo anno di età, i suoi genitori le acquistarono una Station Wagon superaccessoriata ed una splendida mansarda in pieno centro storico e lei, per dimostrare che era grande abbastanza per cavarsela da sola, sebbene non avesse ancora voglia di scegliersi una professione nella quale eccellere come le si conveniva, cominciò a provvedere autonomamente alla sua sussistenza passando da un’occupazione ad un’altra con disinvoltura, senza incontrare alcuna difficoltà.
A ventitré anni aveva già tutto e tutta la vita davanti a sé per goderne. Lavorava per divertirsi, per passare il tempo, certamente non per necessità. Niente di strano, dunque, se la fortuna che dicono essere bendata, avesse per lei un occhio di riguardo.
Rachele vide il cielo scurirsi, minaccioso. Accese le luci di posizione e si consolò pensando che anche se fosse venuto giù il diluvio universale a lei non importava perché tanto, da quel momento, avrebbe potuto fare tutto quello che voleva, anche andarsene a svernare ai Carabi. Si era stancata in fretta di lavorare al check-in dell’aeroporto, così, otto giorni prima aveva consegnato la sua lettera di dimissioni ed ora era finalmente libera di correre incontro a chissà quale nuova avventura.
Sul parabrezza caddero alcune goccioline. Rachele pensò che stesse iniziando a piovere e azionò il tergicristallo per migliorare la visibilità, ma questa peggiorò alquanto. Allora spruzzò un po’ d’acqua che sparpagliata dalle spazzole s’impastò con la polvere e con quelle strane gocce. Il manto stradale si deformò, le luci si dilatarono, si allungarono e ingrossarono, distorte. Rachele ridusse la velocità, cercò di pulire il vetro dall’interno con un panno – ma niente, un disastro. Pensò: «Olio, non può essere altro che olio...», quindi cercò nello zainetto gli occhiali che aveva l’obbligo d’indossare durante la guida ma che non portava mai perché non si piaceva, e quando finalmente riuscì a metterseli vide davanti a sé una grande macchia nera, come un muro stondato o peggio, la parte posteriore di una cisterna di carburante.
L’impatto fu terribile.
Le fiamme si levarono improvvise, alte, violentissime – ci fu un boato e poi, più nulla.

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