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Aggiornato Martedì 04-Set-2007

 

Giovanni, quindi, intuì che appena fuori avrebbe dovuto lottare non tanto contro la forza di gravità, la fame e la sete, i singhiozzi o il mal di pancia, quanto piuttosto contro chi, anziché proteggerlo e amarlo sopra ogni cosa, avrebbe fatto di lui una specie di capro espiatorio sul quale riversare gli eccessi di furore e pazzia.

Dopo diciassette ore di eroica resistenza, nacque. Ester, una giovane ma esperta levatrice, la sollevò per i piedi non riuscendo a trattenere l’ammirazione: era bellissima, pulita come se fosse appena uscita dalla vasca da bagno, pasciuta e rosea, calma, senza un capello – una piccola aliena. Per dimostrargli che era la benvenuta, invece di festeggiarla teneramente la sculacciò - e Giovanni versò le sue prime, timide lacrime.

Per evitare l’assunzione forzata di cibo non richiesto e men che mai gradito, decise di attuare sin da subito lo sciopero della fame. Vomitò le prime poppate di latte materno che, prontamente analizzato, si rivelò di qualità alquanto scadente. Vomitò anche le seguenti poppate di latte artificiale e a questo punto si mobilitò l’intera categoria dei pediatri i quali, pur non essendone affatto sicuri, diagnosticarono una qualche forma allergica. Cominciarono quindi a fargli assumere gli intrugli più svariati nella speranza che fra questi ve ne fosse uno tollerabile, ma Giovanni non voleva proprio saperne… Forse l’aveva spuntata. Già assaporava il momento in cui avrebbe tirato il calzino levandosi finalmente dai pasticci, quando Silvano, un farmacista autodidatta amico intimo di suo padre, tirò fuori da uno scatolone proveniente dall’America un campioncino di latte in polvere non ancora commercializzato in Italia. Non vomitò. Ammutinamento! Il suo organismo l’aveva tradito, il nemico era passato e Giovanni era ormai condannato alla sopravvivenza! Nonostante la tenacia, le sue sole forze non erano bastate a contrastare la sciocca volontà di tenerlo in vita. Il farmacista, suo padre, sua madre e il suo corpo, avevano stretto un patto di alleanza trionfando sul buon senso. Da quel momento capì quanto irragionevole fosse il genere umano. Capì anche che occorreva stare in campana: viste le premesse non gli avrebbero permesso alcun tipo di autonomia, la sua opinione e la sua volontà non valeva un soldo bucato.

Non potendo far altro decise di attendere tempi migliori, senza lamentarsi.

Adorava sua madre, adorava il suo odore, quel suo modo di cullarlo e guardarlo dritto negli occhi quasi si aspettasse da lui una risposta, un segno. Lui provava a farle capire che ne sentiva i pensieri, le inquietudini, ma lei pareva completamente cieca e sorda.

Suo padre, intanto, aveva preso a guardarlo con sospetto, non capiva perché il suo primogenito fosse nato sprovvisto degli attributi che tutti si aspettavano da lui. Si ostinava a chiamarlo in quel modo ridicolo, un tantino offensivo: Cinzia. “Non sono né Cinzia, né ciotolina, né passerotta, né niente di tutto questo!” – protestava Giovanni smanacciando come poteva, ma nessuno capiva un accidente delle sue rimostranze e via a mettergli quelle stupide tutine rosa, a dire quanto fosse bellA, buonA, bravA... idioti.

Giovanni se ne stava nella sua culla guardando le farfalline colorate svolazzargli sulla testa mentre i suoi genitori si massacravano. Non poteva far nulla. Li sentiva sbranarsi come bestie. Sentiva sua madre implorare che la facesse finita, ma suo padre non smetteva di picchiarla, aveva bisogno di farlo. Per quanto strillasse, Giovanni non riusciva a farsi sentire, ad attirare l’attenzione, distrarli, richiamarli ad un istinto protettivo del quale, evidentemente, erano quasi del tutto privi. Poi suo padre se ne andava sbattendo la porta e lei finalmente lo prendeva in braccio, tentava di tranquillizzarlo, gli sussurrava all’orecchio la sua disperazione. Giovanni la sfiorava lievemente, a suo modo cercava di consolarla – non sopportava le sue lacrime, vederla ridotta così… Cominciò a desiderare di crescere in fretta, farsi grande alla svelta per poterla difendere...

 

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