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Aggiornato Martedì 04-Set-2007

 

Olinto: ossatura grossa, tanti muscoli, occhi azzurri, capelli color dell’oro sottili e corti come spilli acuminati, mani grandi, grandi ideali e vecchi rancori.

Da ragazzo era stato sensibile, estroverso, intelligente, curioso – aveva avuto fiducia e coraggio, due passioni vere: la boxe e la meccanica.

Prima di partire per il servizio militare frequentava la palestra, aveva aperto una piccola officina dove riparava motociclette. Voleva una vita onesta, riscattarsi. Tornato a casa si sarebbe sposato con una ragazza di vita strappata alla strada, avrebbe amato il figlio che aveva in grembo anche se non era suo. Si sarebbe sistemato, avrebbe avuto e dato dignità…

Ebbe una licenza premio, improvvisa, inattesa. Tornò a casa senza avvertire. Fece appena in tempo a posare lo zaino prima che il destino lo travolgesse senza pietà. Sentì dei rumori insoliti provenire dalla camera dei genitori e allarmato andò a vedere: suo padre e la donna alla quale aveva promesso eterno amore stavano fornicando – nel letto dove tanto spesso aveva dormito abbracciato a sua madre, nel letto dove era stato concepito… Fu come precipitare in un baratro, tutto cominciò a girare, una luce intensa lo accecò e lui non capì più nulla per un tempo che non si può quantificare, poi vide due mani che stringevano il collo di suo padre, si vide riflesso contro la spalliera del letto, vide qualcuno che lo colpiva alle spalle con una sedia ma lui non sentiva niente, guardava se stesso senza riconoscersi… Allentò la presa e l’ultima cosa che gli parve di scorgere prima di ripiombare nel buio, fu il viso insanguinato di una sconosciuta, i suoi capelli arruffati, il seno scoperto, la sua pancia gonfia… Fuggì il più lontano possibile da quella fogna putrida. Per non soccombere alla ferocia che lo dilaniava bevve quasi sino a scoppiare. Avrebbe ucciso, sì, ne sarebbe stato capace. Dopo qualche mese tornò a casa deciso a lasciarla per sempre ma vi trovò sua madre che pensò di rendergli più sopportabile l’offesa confessandogli che Luigi non era suo padre. Secondo lei avrebbe dovuto sentirsi meglio, in fondo quell’uomo era un estraneo, non suo padre, il nonno dei bambini che quella donna gli aveva promesso, invece il mondo gli crollò addosso, definitivamente.

Da quel giorno Olinto non fu più lo stesso. Un rancore senza limiti s’impossessò di lui. Un’insicurezza profonda e inconfessabile, quasi un mal sottile, ne condizionò ogni azione, ogni pensiero, ogni sentimento. Più nulla contò davvero e da allora visse per levarsi da dentro l’oltraggio, la paura del tradimento. Aveva creduto nell’amore, si era fidato ciecamente, aveva rispettato delle serpi – che stupido, che cretino! Nessun altro si sarebbe preso gioco di lui, nessuno!

Cominciò a bere per farsi coraggio, per essere capace di vivere solo per se stesso, per sbugiardare la sua natura, fingersi diverso, terrorizzare, sorprendere – e in parte ci riuscì.

Su quello che fece in famiglia ho scritto già molto, ciò che stupisce davvero, però, è l’altra faccia della medaglia: la sua immagine pubblica, il suo straordinario successo con le donne e gli uomini, indifferentemente. Appariva socievole, disponibile, protettivo, attento, sicuro di sé, affidabile. Aveva una gran parlantina, proprietà di linguaggio. Fu amato e stimato, tenuto in gran considerazione. Nessuno poté credere che fosse capace di una tale ferocia dietro le mura domestiche. Fuori casa metteva in pratica un proprio codice morale al quale non trasgredì mai: gli amici, prima di tutto, per i quali si levò il pane di bocca, fece la galera, rischiò la vita - poi i nemici che, se uomini d’onore, seppe fronteggiare alla pari, con rispetto e franchezza. Mai un sopruso, una prepotenza, un tradimento gratuito. Fu generoso e comprensivo - persino ingenuo. Si fece valere con intelligenza ed onestà, usò la forza solo se costretto. Questo gli permise di crearsi numerose amicizie, di essere benaccetto ovunque: in galera godeva di ampi margini di libertà perché di lui ci si poteva fidare, la comunità zingara lo accoglieva come un padrino, i malavitosi pendevano dalle sue labbra o lo temevano abbastanza da non mettersi inutilmente in competizione. D’altronde non era uno scemo: approfittava dei periodi di detenzione per chiudersi in biblioteca e farsi una cultura, aborriva i traffici più disgustosi (droghe pesanti e prostituzione, ad esempio), si teneva alla larga dalla politica. Fu un maneggione generalmente accorto, senza troppe velleità, per divertimento, per darsi importanza. S’accontentava di tirar su i soldi che gli servivano per apparire all’altezza del suo personaggio (auto, moto, donne, alcol), mantenersi in salute (qualche canna ogni tanto – per rilassarsi, sosteneva) e provvedere agli amici qualora ne avessero avuto bisogno (vale a dire spesso). Al resto pensava sua madre.

Per entrambi era terribilmente importante quello che pensava la gente, guai a dare un’immagine che offuscasse il loro status di persone poderose e giuste, guai costringerle a giustificarsi, a rendere conto. Zitte dovevamo stare, leccarci le ferite in silenzio, far finta d’essere una famiglia normale, felice, mediamente schizofrenica. Mostrarci fedeli, ossequiare la patria potestà, tesserne le lodi quasi fosse quanto di meglio potesse capitarci – di meglio c’era solo la morte, sua, ma vai a spiegarlo ai suoi amici di bevuta, ai carabinieri e ai questurini, agli insegnati, agli assistenti sociali, ai giudici, ai dottori, agli avvocati, ai vicini di casa, ai parenti, vai a spiegarglielo che se non avessimo conosciuto di lui anche la parte migliore non ci sarebbe stato tanto difficile sopportare la peggiore. Se lo si era visto, non si poteva non aver nostalgia del suo sguardo innamorato e fiero, fanciullo.

Talvolta rideva Olinto, e il suo riso riempiva l’aria – quante volte ho sperato che ne rimanesse contagiato. Quante volte ha cercato la mia comprensione ed ha avuto in cambio la sua stessa durezza... Dio, come lo facevo arrabbiare… Mi guardava e diceva: «Non capisci, non capisci!» - capivo invece, altroché se capivo, ma sapevo anche che le lacrime, da sole, non lavano la faccia.

 

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