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Aggiornato
Martedì 04-Set-2007
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Ancora non camminava che Giovanni già conduceva una vita notturna dissoluta. Suo padre la sollevava dalla culla e fiero la portava sotto casa, nel locale dove trascorreva le sue serate, talvolta insieme alla moglie. La esibiva mostrando agli amici quant’era degna di lui questa pargoletta con gli occhi grandi e attenti: inzuppava l’indice nel whisky e lei ciucciava, interdetta. Quel locale esiste ancora, praticamente identico a com’era quarant’anni fa e si chiama Don Chisciotte: una specie di cantina arredata con armature, macchinari per le torture, stemmi araldici alle pareti – un posto davvero impressionante che sin da subito affascinò il piccolo Giovanni e forse ne determinò, almeno nell’età dell’adolescenza, il gusto per certe atmosfere gotiche. Una sera erano tutti e tre a farsi un goccietto, quando per una sciocchezza suo padre ebbe un diverbio con un avvocato che lo apostrofò dicendo: «Io non mi metto a discutere con uno che non porta nemmeno la cravatta». Non lo avesse mai detto… Il “tedesco” (con questo soprannome era conosciuto suo padre, forse a causa dei capelli biondissimi e rasati, gli occhi di ghiaccio, la corporatura atletica e massiccia) salì in casa, si mise il vestito con il quale si era sposato (cravatta compresa), tornò dove aveva lasciato moglie e figlio, bussò sulla spalla del malcapitato e quando si fu voltato, disse: «Così ti vado bene?» e gli mollò un pugno sul naso che lo stese: fine ingloriosa (e meritata) di un sedicente principe del foro. L’abitudine di portarlo al Don Chisciotte durò parecchi anni. Gli avventori del locale si abituarono alla sua presenza e ben presto ne divenne la mascotte ufficiale. Non c’era festa o ricorrenza che Giovanni non inaugurasse e concludesse, specie quelle carnevalizie che si aprivano e chiudevano con la tradizionale “pentolaccia”. Giovanni veniva bendato, poi gli davano un bastone con il quale doveva cercare di colpire e rompere tre pentole poste sopra la sua testa, attaccate penzoloni in mezzo ad una stanza. In due di esse c’erano coriandoli e solo in una caramelle - quando riusciva a trovarla i festeggiamenti avevano inizio o fine. Gli adulti si divertivano molto, quella bambina era davvero deliziosa, e forte, aveva già parecchio temperamento e l’impegno che metteva in quel compito a dir poco “fondamentale”, lo dimostrava. Soprattutto le donne, già allora, se la contendevano, e lei pareva proprio esserne contenta, mansueta e sorridente passava di ginocchia in ginocchia pur non perdendo mai di vista sua madre che era senza dubbio il primo, vero, grande amore della sua vita. Purtroppo, però, ella non la ripagava con la stessa moneta. L’amava, certo - anzi, a dire il vero sempre negli anni successivi ebbe a ricordarle che fra tutte lei era “la preferita” - ma lesinò tenerezze e cure come se ne avesse in quantità talmente modesta da dover rinunciare a darne per non rimanerne senza. Gli unici contatti fisici di una qualche importanza si espressero prevalentemente nella coercizione, ma non sempre volavano ceffoni, ci mancherebbe! C'erano anche altri modi: ad esempio rivolgersi a lui come se fosse già grande, aspettandosi ed ottenendo quella comprensione che non sapeva o non voleva dargli. Oppure sottoporlo ad estenuanti sedute di bellezza durante le quali gli tagliava le unghie così male che il più delle volte s’incarnivano; o rifiutarsi di tagliargli i capelli costringendolo a portarli raccolti in una coda talmente stretta ed alta che quando finalmente poteva scioglierli gli rimanevano in mano a ciocche; o vestirlo ridicolmente e troppo pesante, tanto da farlo ammalare frequentemente (tonsille purulenti, raffreddori incipienti che si trasformavano in feroci bronchiti, febbriciattole che andavano e venivano - insomma, il povero Giovanni vedeva di più il pediatra che i nonni!). Con il trascorrere del tempo sua madre cominciò anche ad imporgli maglioncini di lana a collo alto che lo soffocavano e gli facevano venire le bolle, gonnelline alla scozzese, calzini con pon-pon, mocassini leziosi, sempre troppo piccoli per i suoi piedi che crescevano veloci. Giovanni dovette aspettare il suo diciassettesimo anno di età per potersi mettere il primo paio di Jeans - sua madre glielo impedì finché ebbe voce in capitolo. A suo dire solo le ragazze “leggere” vestivano in quel modo sconveniente (da che pulpito…) e poi, lei, doveva smetterla di fare il maschiaccio, pretendere calzoni, camicie come il suo babbo, scarpe da tennis! Era una femmina, perdinci! E via di completini rosa, camicie lilla con ricami e colletti arrotondati, cintoline in vita, gonne a portafoglio – una mortificazione continua! Ma fortunatamente, Giovanni, a quel tempo non si rendeva ancora conto di quanto fosse importante l’aspetto, ci pensò più tardi la scuola ad insegnarglielo...
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