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Aggiornato
Martedì 04-Set-2007
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Si convive con il vuoto - e si aspetta. Quando il bicchiere torna ad apparirci mezzo pieno, si riparte di slancio, ma un po’ più stanchi, meno fiduciosi. È dura – certi giorni vorrei addormentarmi e non svegliarmi più. Combattere ogni istante per tenersi in piedi con dignità e poi guardarsi intorno e non trovare niente a cui aggrapparsi – dover fare tutto da soli, sempre, o quasi. Ed ogni volta ricominciare, sempre più spaventati, soprattutto dai nostri limiti – piccole e grandi deficienze che in sé non sono così terribili, ma lo diventano perché si trasformano in un pretesto. Un pretesto che giustifica l’indifferenza nella quale siamo costretti e dalla quale non possiamo affrancarci, un pretesto per avere legittimamente paura del ripetersi puntuale degli stessi disastri ed infime piccolezze. La paura paralizza – ed anche la pigrizia. Ma, quando le ferite stentano a guarire, quando il dolore (la delusione) è tanto e tanto a lungo sopportato, come non avere comprensione per quest’umana difesa di sé? Non abbiamo forse anche noi diritto ad un briciolo di felicità? Non ci meritiamo un po’ di pace e considerazione? I mezzi, il tempo e lo spazio per dare ciò che gli altri non hanno o preferiscono trattenere? Davvero non contano nulla la propensione alla profondità, le grandi aspirazioni o solo l’esigenza di mettere a disposizione il poco o tanto che abbiamo, vederlo riconosciuto? Davvero questi sono mali da rifuggire o nascondere? No, ma è che ti procurano una quantità tale di problemi che lo diventano. Talvolta penso che sarebbe meglio essere degli sciocchi senza arte né parte – vive meglio, molto meglio chi lo è: ha poche esigenze, poche domande da fare - e le risposte che si da o ottiene lo accontentano, quasi sempre. Ha il suo posto, le sue incrollabili sicurezze – un piccolo o grande orticello che è l’invidia del vicino a rendere importante. Il mondo inizia e finisce lì, è tutto lì. Così, se non hai orpelli da difendere e mostrare, da anteporre a tutto il resto – sei niente, non esisti, o al più diventi un paragone - l’amico intelligente, disponibile e un po’ sfigato, buono per farsi un piantino e poi sentirsi meglio, o migliori. Personalmente mi accontenterei di non dovermi addormentare con l’assillo delle bollette da pagare – poi mi chiuderei in casa e butterei la chiave. Continuerei a scrivere, certo, perché questa è l’unica cosa che so fare – e serve, forse. Perché non ho bisogno di uscire, di farmi continuamente massacrare per sapere cosa succede là fuori, per vederlo e raccontarlo. Mi basta affacciarmi alla finestra, accendere la TV, sfogliare un libro… come Salgari posso descrivere paesi lontani e cose mai viste, perché li ho nella testa, e nel cuore - perchè il mio orticello è fatto di neuroni, ed anima. I piedi, da soli, non vanno in nessun posto.
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