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Aggiornato
Martedì 04-Set-2007
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Le traumatiche vicende familiari nelle quali visse, quasi certamente determinarono in Giovanni i lati più estremi del suo carattere, tuttavia ebbero anche alcuni effetti positivi: il primo fu che per reazione non poté emulare i comportamenti che avrebbe dovuto prendere ad esempio, il secondo è che ebbe l’occasione rara di evitarsi il flagello devastante dell’omologazione, differenziandosi nel bene e nel male dai suoi coetanei soprattutto per la capacità acutissima di leggere con chiarezza e buon giudizio l’intima natura delle azioni umane, salvo poi, anziché amministrare saggiamente i suoi interessi, schierarsi dalla parte del più debole o a favore d’iniziative meritevoli poco o nulla convenienti. Quindi, precocissimo, si distinse per l’abitudine di votarsi alle cause perse e in questo primeggiò senza rivali per tutta la vita. Sua madre fu, ovviamente, la sua battaglia eroica e insieme la più cocente delusione. La gravidanza non era stata facile. Giovanni le aveva causato un gran numero di acciacchi: vene varicose, piorrea, caduta dei capelli aggravata dal fatto che il marito amava trascinarla per il ciuffo quando la massacrava di botte. Era a pezzi, fisicamente e moralmente. Suo padre invece stava benissimo e sempre più sapeva esercitare il suo potere all’interno e all’esterno della famiglia, aveva persino preso qualche chilo e la massa muscolare si era alquanto tonificata grazie a tutto quel menare le mani talvolta culminante in appassionati rapporti sessuali falsamente pacificatori ai quali, immancabilmente, seguivano istantanee gravidanze prontamente interrotte. Il troppo stroppia. Ad un certo punto non fu più possibile intervenire e nove mesi dopo la nascita di Giovanni, cominciarono i preparativi per l’arrivo dell’indesiderato secondogenito. Giovanni intanto s’impegnava molto: carponi cominciava ad esplorare lo spazio intorno a sé, prendeva le misure dando prova d’essere assai precoce e già abilissimo. Uno dei suoi divertimenti preferiti consisteva nel trovare il cacciavite che suo padre nascondeva in posti sempre diversi per vedere quanto ci metteva a scovarlo, poi scivolava sotto il tavolo da pranzo e cominciava a svitare le viti che tenevano insieme le sedie. Suo padre ne era orgoglioso senza darlo a vedere. Non fosse stato per quella mancanza di attributi ne avrebbe tessuto le lodi, ma come giustificare tanta manifesta mascolinità in una femmina? Con le buone o le cattive occorreva assolutamente correggere ciò che natura aveva sbagliato, ci sarebbe stato tempo e modo per farlo… Suo padre amava dimostrare che aveva potere di vita e di morte sui suoi sottoposti, che era capace di controllare e ammansire chiunque – per questo di tanto in tanto portava a casa qualche strana bestiola non proprio o non ancora domestica. La sottoponeva ad un trattamento educativo intensivo e brutale, poi se ne andava in giro mostrandola ubbidiente, asservita. Sua madre, invece, non voleva proprio saperne – odiava qualsiasi animale ed ogni volta faceva di tutto per liberarsene. Quell’inutile passatempo le costava lavoro: doveva pulire di più, preparare da mangiare ai nuovi ospiti, subirne la presenza, i rumori molesti, gli escrementi – era uno sgarbo intollerabile fatto contro la sua persona, contro la sua volontà, come se non bastasse tutto il resto… Un giorno il marito le portò un gigantesco gatto siamese per niente disposto a dar confidenza. Giovanni se ne innamorò istantaneamente e sin da subito si stabilì fra loro un rapporto esclusivo. Pippo si faceva toccare soltanto da lui, accettava persino che gli strappasse i baffi, ma nessun altro poteva avvicinarsi senza correre qualche rischio. Sua madre non riusciva a tollerarlo, ne aveva paura e lui non perdeva occasione per dimostrarle quanto potesse essere minaccioso, impressionante. Provarono persino a domarlo ma Pippo era incorruttibile, non si piegò nemmeno quando lo infilarono in una pentola piena di acqua bollente! Giovanni vide il suo gatto fare resistenza, dibattersi con le unghie sfoderate, mostrare i denti e gonfiarsi, ma nulla, nemmeno le sue urla disperate poterono evitargli la terribile punizione… Poco dopo sua madre aprì la porta, prese una granata e inseguendolo tenendosi a debita distanza, lo cacciò di casa. Per lungo tempo Giovanni continuò ad aspettarlo. Ancora oggi lo ricorda nitidamente, con affetto, pena e rabbia. A poco a poco, negli anni, ha compreso e perdonato quasi tutto, non quello che ha dovuto subire il suo piccolo, incolpevole amico. Di quel periodo, però, Giovanni non conserva solo brutti ricordi. Ancora si commuove se ripensa alla musica suonata da un giradischi montato su una carrozzina così da poter essere trasportato agevolmente da una stanza all’altra. Sua madre faceva le faccende domestiche portandoselo dietro, sceglieva i quarantacinque giri più adatti al suo umore ballerino e mentre spolverava si teneva compagnia cantando: Vanoni, Mina, Tenco, Milva, Modugno, Caselli, Dorelli, Fidenco… Se Giovanni avesse avuto qualche hanno di più, dopo alcune ore trascorse tra amori infelici e tragedie si sarebbe certamente suicidato, ma per fortuna era ancora troppo piccolo per capire cosa stesse imparando… Seduto sul tappeto duettava con la madre e se oggi può ancora canticchiare qualche ritornello lo deve all’eccesso di romanticismo di quella donna non meno infelice e tragica delle sue canzoni e dei suoi romanzi.
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