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Aggiornato Lunedì 07-Gen-2013

 

 

15 Gennaio 2005

Parlare non basta, non basta più - non ci sono attenuanti. E lo sappiamo - tutti. Calata la maschera non rimane che agire, o fingere di potersi chiamare fuori - chiudere gli occhi e tacere, rinnegare o subire, sparire. Queste sono solo altre facce del medesimo camuffamento, delle stesse indifferenze, della stessa paura che paralizza e ottenebra, dello stesso odio e disprezzo, della stessa mancanza di coraggio e fantasia - in una parola, della stessa incapacità d'amare. Sé e gli altri. Fine.

Vedo nero? Sì, sono realista.

La realtà non ha colori.

17 Gennaio 2005

Se avessi un apriscatole capace di scardinare i cervelli e i cuori, se avessi la possibilità e la capacità d’influenzarne i pensieri, in giro non ci sarebbero stupratori, cretini, vigliacchi, forzanovisti e forzaitalioti ancorché camuffati da ineffabili riformisti, lesbiche, finocchi e quant’altro – a scelta. La solitudine, quando non se ne è responsabili, non fa né male, né paura – e soprattutto non uccide, non stupra, non licenzia, non rende né stupidi, né ipocriti, né vili, né pigri, né iniqui. Al contrario. Certo, sola. Certo, sole. Ma quant’è dolce addormentarsi con la certezza di aver fatto e detto tutto quello che era possibile. Arrivare alla fine della giornata rallegrandosi di essere ancora vivi, nonostante tutto. Perché - forse non è chiaro – qui non è una questione di trovare qualcosa da fare nel tempo libero, scaricarsi la coscienza, darsi un tono da persone “impegnate”, qui è una questione misera misera di sopravvivenza (libertà), individuale e collettiva. È sopravvivenza dover avvertire un datore di lavoro che sta assumendo una persona “scomoda” e questo potrebbe causargli qualche problema (chiacchiere, ma anche minacce, vandalismi, ad esempio). È sopravvivenza dover sopportare occhiate e battutacce che sottintendono tutto il disagio o il disprezzo che generi. È sopravvivenza dover fare ricorso per la seconda volta in 8 mesi contro l’archiviazione di un caso di stupro, politico (!!!). È sopravvivenza doversi guardare le spalle, fare continuamente attenzione a quello che ti capita intorno, perché dietro ogni angolo potrebbe esserci qualcuno che aspetta te o chi ami, e non per chiedere l’autografo. È sopravvivenza: la mia, ma anche quella di chi non può bersi un cappuccino in santa pace senza correre il pericolo di essere insultato o picchiato perché a qualcuno gira così. È evidente che se questo accade il problema non è più (ma mai lo è stato) solo mio o di pochi sfigati. Il problema è di tutti e tutti, teoricamente, dovrebbero sentirsi in dovere di fare e dire quanto è loro possibile, da soli o in compagnia, per impedire il ripetersi di una storia già vista e rivista che tante vittime ha causato e causa principalmente fra le donne, le trans, gli omosessuali e le lesbiche visibili ma isolate, fuori dai giochi, dai privilegi. Ora, o questo lo si capisce o non lo si capisce. Se lo si capisce non ci sono “se” e non ci sono “ma”. Se non lo si capisce… Beh, nessun problema – per chi pensa o sa di non rischiare nulla, naturalmente (finché dura).

24 Gennaio 2005

A Lucca problemi, problemi, solo problemi, il 99% dei quali rimangono non denunciati e/o taciuti per volontà stessa delle persone coinvolte - perché qua (visti gli scoraggianti precedenti, il nostro è in questo senso un caso esemplare) ci devono vivere, da sole, senza alcuna speranza di essere prese in considerazione, adeguatamente e imparzialmente difese, tutelate, né dalle istituzioni, né dalla sinistra, né da nessun altro.

Qui, ma ovunque la musica è più o meno la stessa, conta solo quale posto si occupa – così, chi sta in prossimità della cima o comunque non tanto in basso da beccarsi in testa gli escrementi di tutti gli altri, può anche darsi un tono da persona impegnata, magari a sinistra, tanto… ma chi cazzo se ne frega!

Ci indigniamo, scalpitiamo, protestiamo per gli studenti ingiustamente aggrediti dalla polizia mentre esercitano un proprio diritto ma poi, a guardar bene… chi cazzo se ne frega!

Scendiamo in piazza e firmiamo petizioni per Salà (un extracomunitario preso di mira dalla questura), leggiamo di ecologia e guerra, inviamo comunicati contro il tentativo di reprimere la libera espressione (di qualcuno, mi raccomando – mica tutti si “esprimono” adeguatamente), ma oltre questo, beh, in fondo... chi cazzo se ne frega!

Siamo talmente impegnati a guardare “in alto”, che ormai vediamo solo la cima dei problemi – e allora ci scaldiamo tanto contro Forza Nuova e ne chiediamo lo scioglimento perché tanto alla fine nessuno lo farà… meglio: ecco servito su un piatto d’argento un nemico comodo comodo da additare se c’avanza del tempo tra una riunione e l’altra, tra una priorità e l’altra, perché non di tutto ci si può occupare, non tutto è opportuno, non tutto ha la stessa importanza e urgenza (che poi quei cretini se non rompessero i coglioni…)!

Già.

Così, chi mangia più escrementi che pane, non può far altro che averne inutilmente le palle piene. Badate, non di Salà, dell’acqua, degli studenti, del sindaco, del questore e dei questurini – ma di noi e delle nostre agendine sulle quali prendiamo appunti e impegni secondo convenienza o capriccio, del nostro lassismo, della nostra connivente selettività, della nostra indaffarata inconcludenza. Noi, che misuriamo tutto in chili e ci preoccupiamo più del peso del recipiente che di quel che contiene, siamo solo l’altra faccia della medesima medaglia.

31 Gennaio 2005

Quando un regime (sociale, culturale, politico o religioso), reprime o assoggetta le sue menti più brillanti, quando si erge a giudice di se stesso o del precedente, quando un’epoca ne giudica un’altra e pontifica, la punisce colpendone e disconoscendone le personalità più geniali che accidentalmente l’hanno attraversata, non ci troviamo di fronte ad un paradosso, ma ad una tragica realtà che depaupera l’intero genere umano.

2 Febbraio 2005

Donne: da sempre ombre nell'ombra di uomini che poco o tanto che siano, senza sarebbero meno, o niente.

22 Febbraio 2005

Spesso sono le zone d’ombra, le omissioni (più delle bugie) a scavarci intorno fossati. Il silenzio è un muro invisibile, il più duro da abbattere, e il più ammorbante. Il silenzio è un male sottile che ci avvelena giorno dopo giorno, un poco alla volta, quando te ne accorgi i danni maggiori sono fatti, ma porvi rimedio, in una certa misura, si può ed anzi, si deve. Per noi stessi e gli altri – che meritano di essere trattati come vorremmo loro trattassero noi, con la stessa attenzione, solerzia, con la stessa assunzione di responsabilità.
L’amore è amore. Punto. Se una persona non è in grado di capire una cosa tanto semplice, come possiamo pretendere che capisca cose assai più complesse e profonde, quali il nostro valore e il suo, l’importanza e il senso profondo dell’esistenza, le imperscrutabili ragioni che governano l’emotività umana e la trascendono? Cercare o dare spiegazioni è un’inutile perdita di tempo, uno spreco, un po’ come guardare il dito che indica la luna invece di guardare oltre, la luna stessa. Ma dobbiamo essere indulgenti, pazienti con chi ci delude: non eravamo diversi da lui prima che la vita ci obbligasse a fare un passo avanti - e dobbiamo ricordare che molti altri dovremmo farne, anche con il suo involontario aiuto, qualsiasi sia la sua reazione, la sua capacità di riguardo e comprensione. Le persone, tutte, hanno diritto alla verità – anche quando non sono disposte ad ascoltarla, accettarla.
Scremare migliora la qualità della vita, e la solitudine non è certamente il male peggiore. Peggiore è mentire, fingere di essere diversi, tollerare l’intolleranza e la mancanza di rispetto per la paura di restar soli – in queste condizioni soli si è, davvero, sino in fondo.
Non è la quantità di telefonate che riceviamo in un giorno che conta, ma la qualità delle parole che vengono spese e la loro effettiva corrispondenza con i gesti che le accompagnano.
Nelle relazioni umane dev’esserci reciprocità. Diversamente non c’è alcun rapporto che abbia senso e si può, si deve farne a meno. È una questione di sopravvivenza – della propria anima, l’unica parte di noi che abbiamo il dovere di preservare, nutrire, anteporre. Costi quel che costi.

26 Marzo 2005

Dov’è la bimba che mi riempiva le giornate con le sue burle, i suoi giochi, il suo fiume di risate, parole e balletti? Ha portato altrove le gambette di legno, le risa acute e la gentilezza per un mentore che niente più può insegnare, volere – per sé, da lei. Altrove, adesso, sperimenta il suo cuore di ciaccia, io - che son burattinaio del nulla - la mia anima di stracci ascolto, consapevole e triste siedo in un teatro abbandonato. Ma non peno, sai? Solo il respiro che rimbomba disturba. Solo la polvere - che si solleva da sé e par per effetto della penombra nebbia, una coltre odorosa di tempo che passa ed ossa rotte - incupisce. I palchetti - bui e vuoti. I cristalli – opachi. Gli ottoni e gli argenti – imbruniti. Il velluto - consunto e sporco. Il sipario – a brandelli, semiaperto. Il palco – deserto. Qua e là gli avanzi dell’ultima replica – fermati nel tempo e del tempo privati. Ecco, mi consegno a te foto ingiallita. Senza lacrime. Rimpianti. Cornice. E aspetto che la vita nuovamente mi colga - e desti.

28 Marzo 2005

Ho fatto molti insani compromessi nella mia vita. Ho frainteso spesso senza averne coscienza e talvolta ho persino finto – per una briciola, o molto, molto meno. Non ne ho ricavato che qualche istante d’illusoria felicità cui immancabilmente è seguito un abisso d’insoddisfazione, delusione – colpevole solitudine. E male ho fatto, tanto, troppo – molto più di quanto sono disposta a perdonarmi.

Ora, che la vita mi ha presa e sbattuta faccia a terra costringendomi a fare i conti con i miei limiti e le mie precise responsabilità, ora che mi ha mostrato senza girarci intorno di cosa è capace, vorrei non dover fare cose che so di non sentire, vorrei non commettere errori che già conosco – perfettamente.

Non m’importa se per riuscirci il prezzo sarà una totale mancanza di conforto, vicinanza fisica con i miei simili, aiuto, comprensione.

Da tempo mi sono incamminata verso un futuro solitario e ciò che vedo laggiù in fondo è spaventoso ma, mille volte meglio questo che trovarmi ancora a far spallucce, farne pagare il prezzo ad altri.

29 Marzo 2005

Eccolo il primo passo, anzi il secondo, o il terzo, il quarto… le sferette del pallottoliere si sono arruffate: non c’è computo, non può esservi.
Vuoi, puoi abbattere le barriere? Ne ho, ne hai, ne abbiamo. Staccarti e seppur vivente in essi, portare più su ed oltre quello che fa di te una creatura speciale: la tua anima pura e ferita, il tuo sguardo attento e consapevole, il tuo cuore pensante e responsabile – il tuo essere in cammino, intero ed integro, riverbero di luce, fiero strumento di ricchezza e cambiamento.
Dio (il mio Dio) ha un ben strano e magnifico disegno per ognuno, ma con me ci ha messo impegno… Talvolta sono furiosa con lui ma sa che so, mi passa in fretta.

18 Maggio 2005

Non so se siano i fascisti vecchi e nuovi ad avere le idee dei cattolici, o viceversa. Penso che la linea di confine sia sottilissima, se non inesistente - e penso anche che il pensiero integralista che erroneamente e troppo genericamente definiamo di “destra” o “cattolico” e che si sta affermando in questi ultimi anni, affonda le radici nella nostra cultura, nei nostri irrisolti e rimossi, si alimenta in questo clima fortemente destabilizzato, caratterizzato da un grave decadimento culturale ed economico. È un “fenomeno trasversale” che va al di là delle colorazioni politiche, il ceto sociale, la fede.

Sabato parlavo con una conoscente e lei, comunista doc, sosteneva che è giusta la legge che vorrebbe impedire agli avventori serali dei bar di bere alcolici per strada (birre, naturalmente, chi vuoi che se lo prenda un grappino per portarselo appresso? - quindi il provvedimento riguarderà i “giovani” che hanno la pessima abitudine di ubriacarsi, schiamazzare e compiere atti di vandalismo fuori dai locali - ???). Per prima cosa le ho fatto notare che ogni limitazione alla libertà individuale è pericolosissima in quanto crea quei precedenti sui quali si costruiscono le dittature, poi le ho chiesto: cosa la paghiamo a fare la polizia se non fa un’opera di controllo del territorio? Non sarebbe più semplice indurla a svolgere il suo lavoro? E chi ricopre incarichi amministrativi non dovrebbe avere, fra gli altri, il compito di vigilare affinché ognuno faccia quel che deve altrimenti... a casa?! Mi viene in mente il caso di Haidelberg, nell’83. L’amministrazione locale, per risolvere il problema dei barboni che dormivano sulle panchine insozzando l’immagine della città, decise di toglierle... Fare così è più semplice, solleva da impegni e responsabilità, tiene lontano dai guai ma, sulla distanza, quegli stessi guai s’incancreniscono, cronicizzano - e i guasti prodotti dal malcostume, dalla deriva ideologica (dall’alto verso il basso), portano allo scontro sociale, mettono gli uni contro gli altri, spingono le singole persone e intere categorie economiche, politiche, sociali e culturali (peraltro cangianti a seconda delle convenienze e necessità contingenti) a pretendere per se stesse forme di privilegio e impunità sempre più evidenti ed estese. Ma questo è un lungo, articolato discorso che non può esaurirsi in poche righe buttate lì…

15 Giugno 2005 - Sulle relazioni, il rispetto, la libertà e la comprensione...

Per stare e rimanere con una persona, occorrono buone ragioni (in parte opportunistiche/razionali, in parte emotive/irrazionali) che poco o nulla hanno a che vedere con l’altro (che è mero oggetto, raramente più e meglio di questo). L’amore stesso (o per meglio dire, la “pulsione” sessuale/amorosa), non è sufficiente a tenere in piedi un rapporto, a giustificarlo, farlo durare. Quando vengono meno quelle “buone ragioni” (arbitrarie e soggettive - costrittive), quando non si hanno più bisogni, le relazioni vanno in pezzi, o semplicemente evaporano. Non so se esiste l’amor puro (incondizionato, gratuito, generoso, ingiustificato - senza necessità, scopi) - ma se non lo credessi possibile, se non anelassi a questo, se non sperassi d’incontrarlo, se la smettessi di cercarlo, se non avessi la sensazione di averlo talvolta sfiorato, se pensassi che l’esistenza è fine a se stessa, tutto si ridurrebbe a chimica, fisica, biologia, matematica e vivere, allora, davvero, non avrebbe più alcun senso - per me.

Ogni volta che le cose non vanno come vorremmo, ogni volta che le relazioni mostrano di noi e degli altri i lati che meno condividiamo o gradiamo, ogni volta che a causa dei condizionamenti culturali siamo portati a trasformare le avversità, le differenze e le incomprensioni in un personale, imperdonabile fallimento, la prova d’essere incapaci e inadeguati o che lo sia l’altro divenendo perciò una minaccia dalla quale dobbiamo difenderci, pensiamo che l’auto/isolamento (o l’auto/negazione) sia l’unica soluzione, alternativa, il modo migliore per cancellare, eliminare il problema. Lo “rimuoviamo”, appunto, non lo risolviamo. Senza accettazione e confronto con le diverse specificità e istanze, non c’è relazione, crescita, rispetto, pace. E pure è sbagliato parlare di “problema”. Non è un problema pensare diversamente, diversamente vivere, desiderare – è una ricchezza. Dobbiamo “solo” imparare la convivenza, il rispetto, dobbiamo smetterla con l’autoreferenzialità, di avere paura dell’altro quando non ci somiglia, corrisponde, di tutto quello che esula le convenzioni personali e sociali, dobbiamo smetterla di avere diffidenza, repulsione e rabbia verso chiunque ci mette di fronte ai nostri limiti, alle nostre deficienze, ai privilegi che possediamo o vorremmo - non siamo Dio, non abbiamo la verità in tasca, il nostro punto di vista non è il migliore in assoluto, l’unico possibile. Il nostro pensiero, le nostre convinzioni sono condizionate, piene di suggestioni, non sono libere e giuste e sane come ci educano a pensare che siano. Sono difettose e parziali, perciò possiamo sbagliare, commettere errori - condannare e condannarci alla gogna per questo è la cosa più inutile, stupida e auto/lesionista che si possa fare ed è anche esattamente la reazione che si aspetta da noi il sistema. Val la pena di non cadere nella trappola solo per la soddisfazione di non dargliela vinta!

Non si nasce “imparati”. L’educazione che subiamo ha il compito di ammaestrarci, non di renderci liberi. Qualunque persona mediamente dotata d’intelligenza e buon senso dovrebbe, io credo, sforzarsi di andare contro questa logica, rendersi autonoma, emanciparsi, svincolarsi, crescersi, prendersi cura di se stessa e condursi fuori quanto più possibile dalle regole invalse, dai luoghi comuni, i preconcetti, da quel che si deve fare per essere ben accetti, accolti – come se servisse, bastasse per evitare il dileggio, la prevaricazione, la subalternità, lo sfruttamento. È un lavoro quotidiano, costante, che richiede attenzione, fatica, implica sofferenza, solitudine, può avere conseguenze terribili, rende antipatici, impopolari – ma il mondo cambia a partire da noi stessi, non il contrario, e siccome è più simile all’inferno che al paradiso, poiché l’abbiamo trasformato nel posto peggiore dove un essere evoluto possa desiderare di vivere, non rimane che rimboccarsi le maniche o supini patire una lenta, inarrestabile morte dell’anima, per qualche briciola d’esistente rinunciare ad un fiero pasto o ad un ancor più nobile digiuno, rassegnarsi all’auto/distruzione, senza orgoglio, dignità, discernimento, giudizio, amore per sé e gli altri – divenire pecore in un gregge che segue il caprone verso un precipizio. Non ci sono alternative. Chi crede che tutto questo non lo riguardi, chi non fa ciò che dovrebbe e potrebbe, o è un rimbambito o un criminale – in ogni caso la vita non esonera e la storia non assolve, invariabilmente ognuno fa ricadere su se stesso e gli altri il peso delle proprie responsabilità, le conseguenze dei propri attivi o passivi, volontari o involontari consensi, egoismi, ognuno, che lo voglia o meno, ne raccoglierà i frutti e, forse, spero, dovrà renderne conto.

Tuttavia so che gli eroi campano poco e male - qualche compromesso, specie per chi non ha la fortuna di non avere niente da perdere ed ogni giorno ricomincia da zero, è opportuno. Io sono stata fortunatissima. La mia storia e il mio temperamento mi hanno preservata (tenuta fuori) da una tale quantità di pastoie, condizionamenti e connivenze da rendermi automatico quello che, ammantandolo di un significato “alto”, definisco “sforzo di comprensione” - dovrei chiamarlo piuttosto “istinto di sopravvivenza”. Di più. L’istinto, senza autocontrollo e consapevolezza, non porta lontano, allora la definizione giusta potrebbe essere “volontà di sopravvivenza”. Ecco perché sono ancora viva, tutto sommato abbastanza integra. Nessun miracolo, niente di straordinario.

7 Luglio 2005

Che inutile spreco votarsi al lutto, cedere alla paura, voltarsi inutilmente indietro, cercare un nemico che non esiste o, se è esistito, probabilmente è già morto e sepolto. Non bastano quelli che verranno? Non dovremmo, invece, attrezzarci per vivere meglio il presente, gettare le basi per quel futuro sul quale, comunque, non ha alcun senso interrogarsi? Esso verrà, che lo si voglia o meno. Cosa potremo dargli se non saremo capaci di accoglierlo, riconoscerlo? Se non saremmo disposte a dialogare con lui, ascoltarlo, metterci in gioco?
Se rinunciassi a vivere avrei un’unica certezza: morire. No, non è questo il mio scopo – non vivo per fare carta straccia della mia esistenza, non la vanifico per cavarmi fuori dai guai, per evitarmi il rischio di sbagliare o perdere. Non rinuncio a vendere cara la pelle.
Non so come, non so quanto, non so dove e non so nemmeno perché (“dettagli” dei quali, fors’anche scioccamente, poco o nulla mi curo) – ma so, credo, che se non provassi almeno a cogliere il poco o tanto che la vita mi offre, altre occasioni non avrei. Val bene qualche lacrima non avere rimpianti.
Ascoltala, ma non permettere alla paura di dire l’ultima parola, di dominarti, non lasciare che sia lei a decidere cosa ne sarà di te. Alla fine non è lei che paga, ma tu.

9 Luglio 2005

Cos’è questo gelo che graffia l’anima, s’insinua e striscia? Nella solitudine non ho inquietudini, è tutto chiaro, stabilito – non ci sono incertezze. Nella solitudine non mi sento sola. Non c’è un tempo e uno spazio per la paura dell’inadeguatezza, del fallimento, della perdita – del futuro. È tutto scritto: qui e adesso. Senza rischi, assenze pesanti come macigni, abissi. Un perfetto equilibrio, una perfetta equidistanza…

Poi arriva l’amore e s’alza il vento – prima leggero spettina appena l’erba, poi si fa prepotente, le fronde scosse riempiono l’aria di cigolii sinistri ed anche gli uccelli smettono di volare. Non si sfida un fortunale, nemmeno se provvisti di grandi e forti ali, vele. È Prudente, allora, mettersi al riparo, aspettare che passi – lo sanno bene le aquile, i navigatori esperti che già hanno perso la barca contro gli scogli per eccesso di vanagloria.

Mordo il freno. Mi dico: «Aspetta! Che ne sai cosa la tua mente malata saprà generare, quale sotterranea ribellione il tuo cuore offeso saprà coltivare?». Perché il problema sono le cose che di me non so controllare, prevedere, i muri che non sempre intuisco, che mi compaiono e scompaiono intorno senza che possa porvi rimedio, che erigo alacremente e alacremente demolisco secondo capriccio, seguendo un progetto interiore che non so interpretare eppur mi guida, eseguo.

Mura – fatte dell’argilla molle dei barbagli. Mura di granito e sabbia – legante non c’è. Muri per tener fuori e dentro. Per risparmiare a chi bussa la vista sconcia d’una guarnigione sotto assedio. I corpi sudici e sanguinanti, le menti addestrate alla difesa e alla parsimonia, incapaci d’una gioia che duri più d’un istante, un niente, perché perderla non levi il fiato, perché il risveglio non colga impreparati, fiduciosi oltre quel necessario che serve a sopravvivere – un giorno ancora.

11 Luglio 2005

Non si segue nel baratro chi ha deciso di lanciarvisi se non si hanno necessità proprie per farlo che con l'altro hanno poco o nulla a che vedere. L'altro non ha responsabilità. Ci si fa le ossa sulla propria esistenza. Non s'impara a camminare dritti e spediti se ci si appoggia ad un bastone, e non si vive bene se si hanno rimpianti, se si ha paura di poterne avere. La paura evoca. La paura è l'ombra di chi ha rinunciato a vivere trascinandosi appresso tutti quelli che gli somigliano - non altri.
La caduta è tanto più rovinosa quanto più in alto si vola.
Nelle crepe che i malintesi, le omissioni, i silenzi o le bugie creano, fanno il nido gli scarafaggi, e a quelli piace il sudicio, si muovono con il buio.

Luglio 2005

Riordinando i documenti che compongono le sezioni "politiche", per caso ho rivisto in sequenza prima la foto di Bella Martinez, transessuale ventiquattrenne morta assassinata a Los Angeles, e poi quella di Fanny Ann Eddy, attivista lesbica madre di un bambino morta l’anno scorso, anch’essa brutalmente assassinata.

Come sempre ho cercato nello sguardo la vita, nei tratti somatici la storia – e sono precipitata in un abisso disperante. Furono persone che amarono, soffrirono, risero. Sognarono e lottarono per un mondo libero nel quale ogni persona abbia il diritto di vivere, libera - e per questo morirono. Assassinate. Perché la smettessero di ricordarci quanto stupidamente conduciamo le nostre esistenze, in quante anguste galere le costringiamo trascinandoci appresso fantasmi, consanguinei e simili, di quali feroci indifferenze e violenze siamo capaci – pur di non vedere, continuare a non capire, crederci superiori anche a costo della vita degli altri, spesso sulla loro pelle, dimentichi che non c’è libertà per nessuno là dove la libertà non è di tutti.

Di queste donne belle e rare, mai più respiri, parole, odori. Solo fotografie e parole - scritte. Grida di dolore - inascoltate, solitarie. E orgoglio, bellezza, dignità.

Giustizia, verità, amore - ogni anima oltraggiata non chiede che questo, e per questo vive, paga, troppo spesso muore a causa dell’odio e del disprezzo, in un silenzio che espone e rende complici.

Idealmente stringo e fortemente amo chi getta il suo corpo nella lotta anche a costo di perderlo – perché la vita di un essere umano nulla vale e a nulla serve se è acritica, asservita sopravvivenza senza consapevolezza, generosità, partecipazione.

5 Agosto 2005

Chiediti se ti onora veder picchiare, stuprare, torturare le persone, vederle private della loro dignità, libertà, dei loro diritti. Chiediti se ti procura piacere vivere in un mondo dove una persona può essere ammazzata solo perché pensa, vive, ama a suo modo. Ogni volta che un essere umano SUBISCE e PAGA le OPINIONI di qualcun’altro, chiediti se vorresti questo per te e i tuoi figli e se la risposta è “no”, smettila di comportarti come se non ti riguardasse o non potessi far nulla! La mano che stringe il cappio è di chiunque si chiami fuori dalle proprie responsabilità. Quel cappio può stringersi intorno a qualunque collo - anche al tuo o a quello di chi ami.

6 Agosto 2005

Le persone hanno pudore (se non vergogna) di loro stesse, paura di non essere adeguate, di esporsi a rischi, pericoli, giudizi, darsi troppo o a sproposito, e diventano prudenti, artefatte al punto di smarrire se stesse. Indossano una o più maschere, tracciano evidenti o discreti confini nell'esercizio quotidiano dei rituali sociali, comunicativi, nell'uso proprio o improprio del linguaggio. Tutto è affidato alla parola scritta e parlata, filtrato attraverso codici espressivi fisici o verbali, secondo condizionamenti precisi, interiorizzati tanto profondamente che pensiamo di agire in libertà e invece li stiamo riproponendo, confermandone e tramandandone i precetti, anche se contrastano pesantemente con il buon senso, le aspirazioni, i desideri personali e persino collettivi. Quando incontriamo persone che, magari inconsapevolmente, sovvertono le regole ignorandole o reinventandole, saltano gli equilibri, scatta l'allarme. Il sito e le reazioni che si sono venute a creare per suo tramite, sono, in buona sostanza, il prodotto di questa alchimia, la quale, se da un lato ha scatenato pulsioni rabbiose talora spinte sino alle estreme conseguenze, dall'altra ha evidenziato o addirittura risvegliato la predisposizione al pensiero critico, all'indipendenza ideologica e morale, alla fantasia. Così è capitato, capita e capiterà ancora, che vi sia chi ha trovato uno stimolo per cominciare o tornare ad interrogarsi, mettersi in relazione secondo le proprie inclinazioni, fuori ed oltre le necessità, le convenienze e le convenzioni - ed è appunto in questo che risiede la prorompente forza eversiva del mio lavoro e forse di tutta la mia esistenza. I am a taxi.

31 Dicembre 2005

Tanta vita è passata, tanto dolore e amarezza – ma quanto sono cresciuta! Più sola e isolata, certo, ma anche più forte, consapevole e… amata, apprezzata. Non da tutti, sia chiaro, anzi - ma da qualcuno sì.

In questi due anni ed oltre, sono accadute cose difficili da spiegare – misteriose per me che ero e resto una persona come ne è pieno il mondo. Sapeste quant’è strano essere avvicinati quasi con timore, sapere che alcuni ti credono irraggiungibile, immaginano tu sia talmente affaccendato in chissà cosa da non aver tempo, interesse per altro. Sapeste che stupore ricevere mail che cominciano con “Stimata Signora Ricci…” – Chiii??? Cercare nella stanza quella signora e non trovarla… lì per lì è divertente, poi subentra una certa insofferenza perché mi sento chiusa in un angolo, costretta in un personaggio che non mi corrisponde neanche un po’ e, di fatto, preclude molte possibilità.

Così, se potessi fare un bilancio, dovrei constatare che, se da un lato non ho mai ricevuto una sola mail offensiva (penso che si tratti di un caso più unico che raro, particolarmente significativo), dall’altro sono state pochissime quelle scritte per mettersi realmente in comunicazione. A parte alcune lettere lusinghiere, scarsissimi sono stati i tentativi di entrare in relazione – naturalmente, quando è accaduto, vi è stata reciprocità, alla pari, e sono nate discussioni utili o interessanti, amicizie autentiche, collaborazioni, amori.

Se non desiderassi aprirmi alla vita reale e alle persone che la rendono tale, non avrei pubblicato un sito che porta il mio nome e cognome, che parla di me, di quello conosco, immagino, imparo, scopro, vedo, denuncio. Fare un’operazione di questo tipo è un po’ come dire: “Eccomi, questo sono, questo ho da offrire - adesso. Tu chi sei? Cosa porti, cosa pensi? Parliamone, vediamo se possiamo far qualcosa uno per l’altro affinché il nulla non c’inghiotta, vanifichi…” – è singolare che di fronte ad un approccio tanto semplice e chiaro la risposta sia stata un generale silenzio, talvolta ossequioso, altre spaventato, spesso diffidente o indifferente.

“Borderline” è un’esperienza conclusa principalmente a causa di questo. Chissà, forse le persone percepiscono che, al di là della mia volontà e dei miei intenti, rischiano di mettersi in gioco, davvero – sul piano personale, nel rapporto con se stesse. D’altronde non ho fini diversi da quelli enunciati, attraverso me non si accede ad alcun salotto, ad alcun premio, e i miei invisibili e silenziosi interlocutori, il mio pubblico, è il più eterogeneo e trasversale che si possa immaginare, ed anche il più attento, rispettoso. Questa la cosa più inaspettata di tutte, ben oltre i miei obiettivi, più di quanto potessi sperare.

Non so cosa ne sarà di me, ma so di aver scavato un piccolo solco in cui scorre un piccolo fiume di pensieri - positivi. Il mio lavoro, fuori dalle logiche di potere, dalle esigenze consumistiche e utilitaristiche, fuori dagli steccati che ci costringono in spazi angusti, in gruppi ristretti e chiusi, aureferenziali, fuori anche dalla retorica e dal sensazionalismo più scadente e dannoso, ha una sua ragione e una sua importanza – che rimarrà, da qualche parte, e trae alimento dalle piccole cose, appunto, quelle che noi per primi sottovalutiamo o addirittura disprezziamo.

Insomma, talvolta, come capita adesso, devo scrivere per dire che esisto, ci sono, in carne ed ossa, respiro, piango e rido, non ho la verità in tasca, ho grandi limiti e non sempre posseggo le parole che occorrerebbero… sono umana – e soprattutto guardo agli altri con curiosità, interesse sincero, da persona a persona. Non mi sento e non sono un gradino più in alto.

Esisto e come me esistono milioni di altre persone, anche se non scriveranno libri, nessuno le inviterà in TV per esibirle, chiederà loro di tenere conferenze, cambiare il mondo. Esistiamo - e la vita di ognuno, persino la più lontana e incomprensibile, è sempre preziosa ed unica, assolutamente straordinaria.

 

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