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Aggiornato Lunedì 07-Gen-2013

 

4 Febbraio 2009

Gli zerbini sono tessuti con gli atti di eroismo dei nessuno.

10 Febbraio 2009 - Leggi "su misura" e testamenti biologici...

Non voglio vivere in un paese fascista, paternalista e confessionale che mi privi della libertà di essere me stessa, di scegliere che farne del mio corpo, cosa pensare e perché, dove e quando esprimermi - IN QUALUNQUE CASO. Desidero vivere e morire in uno stato che non voglia e non possa sostituirsi a me e al mio giudizio, che riconosca, rispetti e tuteli le mie scelte, la mia volontà, che sia pluralista, inclusivo, possibilista, laico, civile ed evoluto. Ma può credersi tale un popolo che, attraverso la classe politica che lo rappresenta, ha bisogno di normarsi per affermare (o negare?) questi valori, per difendere (o cancellare?) il diritto all'autodeterminazione?

12 Febbraio 2009

Non è la verità che offende, ma la menzogna - e la menzogna attecchisce e permane più di qualunque verità al mondo. Ovviamente, ciò è possibile perché sempre vi sono persone e gruppi che traggono da essa guadagno, piacere. Dietro l'opportunismo non c'è mai innocenza, ingenuità, buona fede. Si diventa mentitori quando si da credito alla menzogna e si è molto peggio che mentitori quando non la si sbugiarda.

Qualcuno sostiene che gli italiani stiano smettendo di pensare. In realtà, hanno smesso di pensare molto, molto tempo fa - come popolo, poi, non hanno mai avuto un pensiero unitario (a parte la parentesi fascista che ha "magicamente" messo tutti d'accordo). Se gli italiani, singolarmente, avessero tra le virtù che si attribuiscono la lungimiranza, la consapevolezza di sé e degli altri, di cos'è il bene comune, se gliene fregasse qualcosa, non saremmo qui a parlarne, non avremmo questo governo di farabutti e questa opposizione da operetta. Possiamo solo augurarci di toccare il fondo nel più breve tempo possibile - dopo, o non esisteremo più, o ricominceremo a salire. In ogni caso non mi faccio illusioni: non penso che saremo capaci di ripensarci veramente, non penso che saremo disposti a metterci in discussione sino in fondo, non penso che rinunceremo alla nostra ridicola, auto/distruttiva identità culturale. Per questo siamo destinati, ciclicamente, a ripercorrere le medesime strade, a rivivere i medesimi orrori, a commettere i medesimi errori.

22 Febbraio 2009

Mi piacciono le parole "libertà" e "rispetto", mi piace il loro significato profondo. Affermo e difendo anche il valore di altre parole, una di queste è "autodeterminazione" - non è bella, ma è più specifica, precisa. A queste due parole se ne aggiungono altre, non per appeal o semplice associazione, ma per senso, storia, importanza: diritto, ad esempio. Affermo, difendo e rivendico il diritto/dovere ad avere e ricevere rispetto, il diritto all'autodeterminazione e alla libertà individuale in relazione, almeno, alla PROPRIA vita e alla PROPRIA morte. Affermo, difendo e rivendico il diritto/dovere di assumermi, in proprio, personalmente, la responsabilità delle mie azioni. Tutto qui. Occorre aprire la mente, il cuore - e che il cuore, soprattutto, si faccia grande abbastanza da lasciare spazio alle istanze, alle opinioni, alle scelte degli altri, anche se non li condividiamo. Come io non mi sognerei mai di imporre la morte a chi non la vuole, così egli non deve nemmeno lontanamente pensare di impormi di vivere se io decido altrimenti - e viceversa. Tutto qua, di nuovo. E' una questione semplice-semplice. Non sono credente, ciò non m'impedisce di pensare che l'esistenza di un Dio sia possibile - ma il Dio che vagheggio ha una più alta considerazione degli esseri umani di quello cattolico/cristiano, non li divide tra buoni e cattivi, non li mette gli uni contro gli altri, con o contro di lui. Non ne ha bisogno, ci pensano da soli, millantando di farlo su sua delega, a nome suo. Questo non li rende migliori - questo semplicemente gli risparmia la fatica di provarci.

18 Maggio 2009 - Scoppia lo scandalo delle veline candidate nelle liste elettorali del centro-destra alle prossime elezioni europee e qualcuno afferma che la causa del degrado culturale italiano sia da attribuire alle TV commerciali del Premier...

Il 3 gennaio del 1954, le prime trasmissioni Rai cominciarono a diffondersi nell’etere. A poco a poco, gli italiani ne furono catturati e grazie all’infernale marchingegno scoprirono cose che altrimenti avrebbero ignorato. Crebbero con lei, diventarono più civili, istruiti e aperti: impararono l’italiano, una parte della storia, la geografia, conobbero il teatro e la lirica, ebbero a che fare con la scienza, le innovazioni tecnologiche, e il mondo non fu più tanto lontano, inarrivabile, sconosciuto. Poterono vedere con i propri occhi, ascoltare con le proprie orecchie, tutte quelle personalità di cui, forse, nemmeno immaginavano l’esistenza: gli uomini (e nel tempo anche le donne) della politica, dell’economia, della cultura, della scienza, dell’arte - mai prima di allora gli parvero tanto simili a loro, raggiungibili, eguagliabili. La prima vera rivoluzione culturale di massa era cominciata e da allora, ogni cambiamento è stato veicolato dalla TV, è passato o è nato lì, tra le sue spire mortali. Mortali, sì, perché la TV è sempre stata uno strumento in mano al potere economico e politico, e sempre ha avuto scopi demagogici (populisti) e propagandistici (sia dal punto di vista politico, sia commerciale). Quando l’Italia era in mano ad una elite colta, forte del passato recente che l’aveva formata, la TV diffondeva temi e linguaggi che oggi potremmo definire di alto profilo, ma la storia, specie se imbarazzante e impegnativa, può essere dimenticata, rimossa, persino riscritta, e le aristocrazie decadono, sempre sono rimpiazzate dalle caste di rango inferiore. Non esiste gruppo di potere al mondo che non si erga a modello, mostrando e imponendo se stesso. Così in Italia. Un deterioramento, una sciatteria, una progressione al ribasso cominciata con l’avvento della democrazia capitalista e, poco dopo, della TV - emanazione e strumento di ogni leadership moderna.

La Rai, monopolista dal ’54, era già una tv commerciale asservita alla politica quando, negli anni Settanta, nacquero le prime emittenti private che trasmettevano in ambito locale. Non avendo concorrenti, la Rai accontentava ogni istanza, coniugava esigenze qualitative, commerciali e politiche senza complicazioni, conflitti rilevanti. A partire dal 1978, però, Berlusconi e soci fondarono una serie di società (Fininvest, Mediaset, Publitalia, ecc.) con l’obiettivo di acquisire il controllo del mercato pubblicitario - l’idillio finì. Come attrarre la committenza, sottrarla alla potente TV di Stato? Producendo programmi televisivi capaci di sedurre l'ignaro telespettatore, mostrando ciò che per la Rai era tabù in ossequio almeno al buongusto, al moralismo di facciata, ai desideri della chiesa e dei partiti di maggioranza. Pelo e turpiloquio, soprattutto, invasero le case degli italiani. In quest’Italia bacchettona, pecoreccia, ipocrita e faziosa, nulla poteva funzionare di più. Berlusconi e soci, sfondarono una porta aperta, soddisfarono un prurito che già c’era, poi impararono ad indurne altri, a governarli, e tutto quello che è seguito (le alleanze strategiche con la politica e la mafia, la “discesa in campo” del cavaliere, l’affermazione e il consenso quasi plebiscitario del suo imperio) non ha avuto e non ha altro scopo che la conservazione del potere, la difesa dei privilegi e dell’impunità conquistata sulla pelle degli italiani - beoti. Soldi, affari, successo personale, consenso - il cavaliere non ha altro in testa. Nessuna ideologia, possiamo starne certi. Il problema, non è lui, ma chi se ne serve, chi si serve delle sue abili manipolazioni. Berlusconi (e il berlusconismo - affaire Lario e veline incluse, prodotti di sue precise scelte di marketing che gli hanno dato notorietà e successo, lo hanno trasformato in un modello accattivante, conseguenza di almeno tre decenni di silenzi, omissioni, bugie e complicità trasversali) siede ancora sul suo trono di carta perché fa comodo ai cortigiani della corte dei miracoli che gli abbiamo permesso di allestire, sono sul suo personale libro paga o hanno qualsiasi altra cosa da guadagnare dal suo devastante delirio di onnipotenza. Non temo Berlusconi, temo la rete di collusioni che si è costruito intorno per garantirsi potere, denaro, impunità. Anche morisse domani o si ritirasse dalle scene, rimarrebbe in piedi il "sistema" che ha creato per perpetuarsi, consegnarsi alla storia. Dietro di lui c'è una massa enorme di uomini e donne che vogliono somigliargli e sono disposti a tutto pur di riuscirci anche solo un po', pur di compiacerlo. E’ vero, il livello culturale e morale di questo paese non è mai stato più basso, ma un popolo che accetta di essere manipolato e rappresentato da un uomo simile e dai suoi scagnozzi, che si identifica nel modello che egli e i suoi compagni di merende hanno imposto in trent'anni di autoincensamenti, menzogne, condizionamenti mediatici, il sistematico sovvertimento delle regole, delle leggi e delle consuetudini a loro uso e consumo, è un popolo che merita la rovina. Nessuna pietà.

E’ ridicolo che il tardivo scandalo derivi “soltanto” dalla (paventata?) candidatura alle prossime elezioni europee di alcune anonime, incolte e compiacenti signorine gradite al cavaliere e soci. Non è nemmeno la prima volta. E’ invece significativo - e sospetto - che a lanciare l’allarme siano gli alleati dell’ormai disciolta Alleanza Nazionale. Ogni poltroncina destinata ad una nuova marionetta, è una poltroncina in meno per chi pensava di averne diritto e nuovo del teatrino non è. Sollevare il problema, adesso, in questi termini, puzza lontano un miglio di manovra elettorale e scarica barile. Non ci si tira fuori dalle responsabilità additandole, prendendone le distanze. Che una parte degli ex di Allenza Nazionale, Fini su/contro tutti, stia lavorando ad una alternativa a Berlusconi e alla sua disgustosa intesa con Bossi e la lega, mi sembra evidente, ma che improvvisamente faccia del moralismo contro i vizzi e i vezzi del partito in cui lietamente è confluita, mi par proprio una boutade, tanto per distinguersi e attrarre il voto di chi fatica ad adeguarsi al berlusconismo più spudorato. Dilettanti, imbroglioni - nascondono le mani sporche di sangue dentro un guanto di velluto e c’è chi gli crede.

Da un siffatto disastro, non si potrà che risalire, ma non prima di aver toccato il fondo. Ciò che soltanto ora qualcuno definisce riprovevole e dannoso, non è che l’evidenza, nemmeno la più indecente e nota, di un bubbone purulento che ha già disseminato i suoi umori e miasmi mefitici contagiando ogni coscienza.

Non so come e quando ne usciremo, ma so che nulla è per sempre. Occorreranno decenni (tanti, probabilmente di più dei trenta già trascorsi), ma è certo che diventeremo, saremo altro. Mi consolo così - scioccamente, vanamente.

5 Giugno 2009

Il primo che mi viene ancora a dire "parlare di democrazia in pericolo è da paranoici" e "cosa voto a fare, tanto destra e sinistra sono uguali", gli stacco la testa e ci gioco a palla.

8 Giugno 2009, ore 02:26 - A caldo sulle elezioni europee...

Stando alle attuali proiezioni, la sinistra italiana è fuori ANCHE dall'Europa, mentre i partiti di centro-destra (PD e IDV inclusi), hanno già pronte le valige per andarsene a Strasburgo. Cosa fa una palla su un piano inclinato? Rotola. Rotolano, gli stronzi, allegramente, sfacciatamente, con le loro veline, le attricette, i cantantucoli, gli attorini, i paparini in odor di pedofilia, gli eredi di cotanto padre, i compagni di merende, i dilettanti allo sbaraglio, i magnifici mediocri che affollano i palazzi e le pubbliche piazze. Questa Italia ostenta la sua vera faccia, di bronzo. Senza nemmeno doversi vergognare, può finalmente pisciare sulla democrazia, il pluralismo, la laicità, l’uguaglianza, la giustizia, i diritti, la libertà di espressione e movimento, la verità, la storia. Questa Italia freme per mostrare agli europei cos’è diventata, o cos’è sempre stata. Stavolta, però, è in buona compagnia. Là, tra tante bandiere inutilmente colorate, torna forte l’omofobia, allignano i nazionalismi, attecchisce la cultura del disprezzo e del privilegio. Là, ognuno costruisce la sua roccaforte contro l’avanzata degli islamici, dei difformi, degli stranieri. Nell’Europa del futuro, l’Europa che troppi europei (votanti o meno) vogliono, circoleranno le merci, i denari, i potenti, gli indigeni ariani, bianchi, cristiani, benestanti - il resto, gli altri, fuori. Chi confidava in lei, in Italia e all’estero, chi, soprattutto qui, credeva che ci avrebbe salvato, dovrà ora destarsi. Si torna indietro, signori, al passo dell’oca, nel gioco dell’oca.

13 Giugno 2009

La paura, lo scoramento, il disincanto, lo stupore, la resa - il buio si misura in quantità di silenzio. Quanto più grande e profondo è, tanto più il silenzio assorda.

9 Agosto 2009

Una lettrice mi ha scritto chiedendomi cosa deve fare per diventare “qualcos'altro”. Già la domanda è mal posta: qualcun'altro, semmai. Ma non si può essere o diventare qualcun'altro. Si è, si può diventare o si può parzialmente smettere d'essere soltanto chi siamo. Persone, in ogni caso e prima di tutto. Accidentalmente di genere maschile o femminile. Etero, bi, omo o asessuali. Possiamo, al più, nel tempo, cambiare le nostre opinioni e/o il nostro aspetto per adeguarlo all'idea che abbiamo di noi stessi e del ruolo che pensiamo di dover/poter ricoprire nel mondo. Possiamo persino condizionare i nostri desideri e le nostre necessità indirizzandole secondo capriccio o convenienza - ma niente di quello che siamo può essere cancellato definitivamente o completamente modificato. Poiché è questa la parte di noi che conta, e che pesa, è ad essa che dobbiamo rivolgerci, essa dobbiamo guardare in noi stessi e negli altri.

Si può tentare di assumere o conservare qualsiasi aspetto socialmente riconosciuto e accettato (maschile o femminile), o si può “giocare” con il proprio corpo forzandolo ad essere o non essere entrambe le cose. Se si decide di percorrere la strada del transgenderismo si fa una scelta coraggiosa e pericolosa di cui non è possibile conoscere sviluppi e conseguenze, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista psicologico. Un tale sovvertimento, anche biologico, non è reversibile e non può non avere ripercussioni a 360 gradi. Allo stato attuale non conosciamo le controindicazioni a lungo termine causate dall’assunzione continuativa di ormoni (testosterone, estrogeni, antiandrogeni) e d’altro canto, non si possono apportare modificazioni sostanziali al proprio corpo senza assumerli e senza ricorrere alla chirurgia.

Se questa lettrice volesse “semplicemente” integrare o ridurre il suo aspetto femminile con qualche tratto esteriore caratteristico del maschio, dovrebbe cominciare una cura ormonale seria (testosterone somministrato sotto il controllo medico), la quale implica vistosi e incontrollabili mutamenti: riduzione del volume delle mammelle, ingrossamento del tono vocale, forse caduta dei capelli con possibile inizio di calvizie, nascita della barba e forse di una certa villosità, accentuazione del tono muscolare, possibile accumulo di adipe nella zona addominale, sparizione delle mestruazioni, ecc.). Lascio immaginare le conseguenze che tali mutamenti potrebbero avere sul piano delle relazioni sociali se non vi fosse da parte sua l’intenzione di procedere ad una transizione completa e, quindi, alla rettifica dei dati anagrafici.

Una transizione completa implica, per legge, il ricorso alla chirurgia: isterectomia (asportazione di utero e ovaie) e mastectomia (asportazione delle ghiandole mammarie). Lo stato italiano concede la variazione dei dati anagrafici da femmina a maschio (FtoM) e da maschio a femmina (MtoF) solo se ha la garanzia che il richiedente non possiede più gli attributi sessuali che lo rendono riproduttivo. Lo so, è una follia (se fossimo in un paese civile e se questo fosse il problema, basterebbe chiudere le tube nella donna o i deferenti nell'uomo, e in ogni caso, l’assunzione di testosterone interrompe le mestruazioni rendendo di fatto sterile la donna), ma in fondo sul corpo delle donne e dei “diversi” si giocano da sempre molte partite sporche, si muovono molti sporchi interessi, a tutti i livelli: ideologie, farmacologia, sperimentazioni, soldi, consenso politico e, non ultimo, il tentativo di “normalizzare” ad ogni costo qualunque scelta o individualità che sfugga il rigido e gerarchico dualismo eterosessuale maschio/femmina. Una società fallocentrica, maschilista e paternalista può tollerare l’esistenza di un maschio senza pene (sia che si tratti di uomini divenuti donne, sia che si tratti di donne divenute uomini), ma non può assolutamente accettare che vi siano maschi forniti di utero e ovaie, funzionanti! Ecco perché una transizione completa obbliga all’isterectomia ma non ad un intervento di falloplastica. D’altronde, tale intervento può avere complicanze molto serie: l’organo (un pezzo di carne inerme azionato con una pompetta) tende a necrotizzarsi causando infezioni che, se trascurate, possono portare al camposanto. Ma chi se ne frega: fior di chirurghi lo consigliano, tanto a rischiare la vita sono quelle quattro sceme che si sono messe in testa di somigliare agli uomini... I transessuali FtoM (da femmina a maschio) più assennati sono quelli che hanno rinunciato alla falloplastica - poco importa che lo abbiano fatto per paura di un altro intervento (peraltro dolorosissimo e con un decorso interminabile) o per consapevolezza.

Nel mondo vi sono alcuni casi di donne che tra enormi difficoltà hanno deciso di assumere un aspetto transgender (un po’ maschi e un po’ donne, conservando i propri dati anagrafici e non rinunciando ad utero e ovaie) - le più note sono scrittrici, artiste, persone che sul genere, l’identità sessuale, hanno costruito la loro vita, la loro carriera, la loro azione politica. Una donna che non abbia gli strumenti per fare di se stessa una bandiera in campo artistico, culturale o politico, farebbe meglio a lasciar perdere. Se non ci si vuole ritrovare completamente ai margini, costretti ad una quotidiana ed impari difesa di se stessi, meglio tenersi il corpo che si ha, o cambiarlo così come gli altri hanno stabilito che sia.

16 Agosto 2009

"Disforia di genere". Molte più persone di quanto si possa credere hanno dovuto o devono farci i conti - nella maggioranza dei casi senza nemmeno saperlo.

Le varianti, nella sessualità umana e nella percezione di sé, sono tantissime (parecchie decine) - talune davvero sorprendenti. Ma poiché le nostre culture tendono a semplificare per avere un maggior controllo sugli individui, sui ruoli loro assegnati e sui loro desideri/bisogni, qualsiasi variante che si allontani dal dualismo maschio/femmina, da una visione etero ed omosessista dell’emotività, delle relazioni e dei ruoli, è inaccettabile, incomprensibile, stigmatizzabile - appare (e, in questo contesto, è) sovversiva. Ridurre tutto ai minimi termini, è un buon sistema per non complicare le cose e mantenerne, appunto, il controllo. Abbattere questi rigidi e ristretti confini significherebbe uscire dal buio e dalla sofferenza in cui, da milioni di anni, gli esseri umani si costringono per il terrore che hanno verso la morte e l’ignoto. Ciò che non conosciamo è spaventoso ma al contempo enormemente attraente - il vaso di Pandora.

A parte le necessità dettate dall’imperativo biologico di perpetuare e conservare la specie umana, il calvario comincia quando le comunità si strutturano e diventano gerarchiche - è a questo punto che hanno inizio i condizionamenti culturali, e gli istinti, le paure, cominciano ad essere scientemente utilizzate per creare ignoranza e subordinazione. Nessuno può ambire ad avere e mantenere il potere all’intero di una comunità senza creare un clima di seduzione, terrore e dipendenza. La conoscenza ci rende liberi, né inferiori/peggiori, né superiori/migliori di chiunque altro, con pari diritti e opportunità, responsabili in prima persona, consapevoli, possibilisti, fantasiosi, curiosi, aperti - perciò invisi. Non è una condizione che i più possano sopportare. I più hanno soprattutto bisogno del consenso sociale che passa attraverso l’accettazione supina e acritica delle caste, dei valori, delle regole e dei ruoli imposti - dall’alto. Ecco perché il giogo continua, non accenna a mutare e forse non cambierà mai.

In questo quadro, ogni difformità è perniciosa e soggetta a punizioni, anche autoinflitte. L’omofobia interiorizzata (non consapevole) che tormenta la maggioranza degli omosessuali è una di queste. Allo stesso modo, decidere di cambiare sesso può essere solo il tentativo di rientrare nella  “normalità” per essere socialmente riconosciuti e accettati, non la reale e insopprimibile esigenza di adeguare il sé interiore al sé esteriore. Si tenga presente che il sé interiore è asessuato. Successivamente alla nascita, con la crescita, si è indotti ad identificarci nel genere biologico del nostro corpo, a connotarci sessualmente di conseguenza. Ma l’identità di genere e l’orientamento affettivo sono, in tutta evidenza, costruzione culturali - se non lo fossero, non staremmo qui a parlarne e gli esseri umani sarebbero generalmente più felici e realizzati.

La prova che l’eterosessualità non è l’unica variante naturale e che il genere biologico di nascita non è un impedimento verso l’esplorazione di altre possibilità, ci viene dall’osservazione degli animali. Delle scimmie antropomorfe, soprattutto (i Bonomo, ad esempio), ma non solo. Ogni specie ha le sue naturalissime “devianze” vissute senza drammi, tanto più sorprendenti, quanto più somigliano alle nostre. Coppie di uccelli maschi che sottraggono le uova ai vicini per crearsi una famiglia. La sessualità sfrenata e senza confini dei delfini e delle scimmie, usata per comunicare, pacificare le controversie e rinforzare i legami sociali. Gli esempi sono tantissimi e coinvolgono ogni specie. Non sono fenomeni marginali e recenti, è sempre stato così e da sempre gli studiosi li osservano, ma - può stupirci? - hanno prudentemente evitato di approfondire e renderli pubblici. Ancora il vaso di Pandora - a scoperchiarlo se ne vedrebbero delle belle! Addio luoghi comuni, preconcetti, ignoranza, paure. Molto dovrebbe essere riscritto, messo in discussione. Impensabile.

3 Settembre 2009

Forse in anticipo sui tempi, ma era il 2005 quando lanciavo l'allarme. Dati alla mano, nel primo semestre del 2006 c'era stato un incremento dei casi di violenza contro le persone LGBT* di poco inferiore al 100%. Parole, urla al vento. Fui derisa, sottovalutata, tacciata di fare allarmismo. La solita vittimista. Ora piovono coltellate e bombe carta. Non mi consola nemmeno un po'. Qui in Italia si sono investiti anni di risorse ed energie intorno alla questione delle unioni civili. C'era una crescente e ben più importante emergenza da affrontare: la violenza e l'incitamento alla violenza che parti importanti delle istituzioni politiche e religiose attuavano nell'indifferenza della società civile e del legislatore. La violenza non ha appeal, non fa colore. La violenza fa solo paura, annoia, irrita... crolla l'audience, tutti a sbuffare - e allora, giù nel cesso. Il ritardo è enorme e, data l'attuale situazione politica e culturale del nostro paese, non recuperabile. Mi spiace ripeterlo, ma il peggio deve ancora arrivare.

23 Settembre 2009

Non lasciare sole le persone che si espongono, dentro e fuori la comunità LGBT*, darebbe l'impressione di doversi confrontare con un gruppo culturalmente rappresentativo, coeso almeno su certi temi comuni, pronto all'autodifesa, maturo abbastanza per sentirsi parte integrante del corpus sociale. L'indifferenza che colpisce le sue voci isolate, invece, non solo rafforza l'opinione generale secondo la quale il cosidetto movimento LGBT* sia talmente disimpegnato, superficiale e autoreferenziale da non avere alcuna autorevolezza (il che, allo stato attuale, è abbastanza vero), ma impedisce che al suo interno vi siano pluralismo e alternanza. Senza autocritica, senza la volontà di guardare oltre la punta del proprio naso, il proprio asfittico orticello, non c'è crescita, integrazione - si è condannati all'immobilismo, all'invisibilità, vittime prima di tutto di noi stessi.

24 Settembre 2009 - Sulla pervasività della televisione, sugli scopi del condizionamento mediatico e sui danni che produce...

L'identificarsi completamente in uno o più modelli preconfezionati (non imposti, certo, ma suggeriti, insinuati sì - si chiama persuasione, pervasione, condizionamento), non è già una forma di auto/distruzione di sé e, per estensione, di ciò che non rientra nel ventaglio delle possibilità date o/e ritenute desiderabili, adeguate? In Italia, i programmi televisivi cominciano a diffondersi nell'etere nel 1954, ma era dagli anni Venti che i gruppi di potere politico-affaristici imparavano a servirsi dei mezzi di comunicazione di massa per "orientare" i cittadini, scolarizzati o meno che fossero. Non possiamo dimenticare il ruolo che radio e carta stampata hanno avuto nell'affermazione del nazifascismo, prima, e della "democrazia", dopo. La propaganda, non solo in Germania e in Italia, se n'è largamente servita, con successo - diversamente, nessun regime avrebbe potuto persuadere, attrarre a sé un così grande numero di persone. Senza tali mezzi e senza che ne fosse (ne sia) fatto un uso strumentale, il consenso non avrebbe mai potuto essere (né mai potrebbe essere) così trasversale e condiviso. I mezzi di comunicazione (tutti) sono un po' come il biblico albero della conoscenza, al contrario. Non mostrano tutta la realtà, ma una parte di essa, quella che piace o fa comodo a chi li possiede e governa. Servono a riportarci indietro a quando, nudi e beoti, non sapevamo nulla di noi stessi e del mondo. Eravamo ubbidienti e ignoranti, a quel tempo, ma tanto, tanto, tanto felici. Non è questo lo scopo? Renderci felici in cambio dell'ubbidienza? E per la maggioranza delle persone, la felicità non vale il prezzo che chiede? Senza consapevolezza non c'è mortificazione di sé, il fine giustifica i mezzi, non può esservi alcuna percezione di quello che era e resta un atto di auto/distruzione. Il primo e il più irrimediabile che si possa compiere.
Cos'è la felicità? La felicità è una sensazione talmente aleatoria, fugace, evanescente e soggettiva, che non è nemmeno possibile darne un'interpretazione univoca, universale. Ciò che rende "felice" me, qui, adesso, può essere del tutto incomprensibile (o incondivisibile) non solo a qualcuno che sta dall'altra parte del mondo, ma anche al mio vicino di casa. Non vi è dubbio che possa sentirsi "felice" chi trova realizzazione, consolazione, rassicurazione e protezione all'interno del sistema, ed è ovvio che faccia di tutto per prolungare questa piacevole ebrezza. La ricerca della "felicità", quando la felicità dipende dalle convenzioni sociali, passa attraverso l'approvazione degli altri, è una compulsione auto/distruttiva. Ma, ripeto, per avere una seppur minima, realistica percezione di sé, occorre consapevolezza - e come si può essere consapevoli se ci si rifugia/condanna (scientemente o meno, indotti o meno) in un perenne stato allucinatorio, individuale e collettivo?

26 Settembre 2009

Il bene e il male sono due facce della stessa medaglia, due fratelli gemelli separati alla nascita.

Per molti motivi pensiamo il contrario, ma da sempre, nella lotta tra il bene e il male, il male vince. Il male non è più forte e non è nemmeno imbattibile, è solo più tenace e lungimirante, non si concede distrazioni o scappatelle, non ha mai dubbi, non cade mai in tentazione e mai si contraddice, non crede di essere l’eletto e non pensa che la sua missione sia sconfiggere il bene. Il male agisce per se stesso, se ne frega del bene.

Il male è seducente, mantiene quello che promette, costa poca fatica, solleva da ogni responsabilità. Il male non ha bisogno di arringare le folle, non ha bisogno di persuaderle - esse, in ogni luogo e tempo, sono pronte a seguirlo perché lui sa pensare e agire come loro, per loro.

Il male non è particolarmente selettivo, non giudica i suoi servi, non li lascia soli, non li tratta con disprezzo o sufficienza - li ascolta, impara, elargisce favori e potere, ne soddisfa bisogni e desideri. Un servo che abbia l’illusione di avere la pancia piena, è un servo ubbidiente che non ha niente da chiedere e nulla aspetta.

Gli opposti spesso si toccano, così il bene talvolta somiglia molto al male e riesce ad essere persino peggiore di lui, ma il bene non possiede le virtù del male - non le conosce e se le conosce non le capisce. Il bene, in fondo, è un mentitore, un dilettante accidioso, altezzoso e petulante che non sa perdere.

1° Dicembre 2009 - Sulla violenza contro le donne, le campagne di sensibilizzazione, la realtà...

C'è un evidente e, per me, spaventoso scollamento tra ciò che si enuncia/mostra e ciò che si fa/pensa. Da una parte, una campagna mediatica senza precedenti contro la violenza alle donne - dall'altra, le reazioni collettive e individuali che vanno esattamente nella direzione opposta tornando a vecchi pregiudizi/condizionamenti che ci ostiniamo (per comodità o ignoranza) a considerare superati. Ecco un aneddoto avvenuto pochi giorni fa: scuola di formazione professionale, cattolica ma gestita da personale laico che in chiesa non ci mette piede. Cinque ragazzine, dopo mesi di angherie e abusi subiti da un coetaneo, trovano il coraggio per parlarne alle insegnanti. Lui le ha più volte avvicinate strusciandosi contro di loro, ha chiesto esplicitamente, in modo molto volgare, prestazioni sessuali ed altre cosucce simili. Le cinque minimizzano, hanno paura delle conseguenze, vogliono solo che la smetta. Le insegnanti, direttrice e psicologa in testa, che fanno? Un osceno processo alle ragazze perché indossano abiti vistosi e provocatori, perché si comportano in modo troppo socievole e disinibito, perché, evidentemente, devono avere qualche motivo per lanciare accuse tanto gravi contro un coetaneo così per bene, addirittura belloccio, mica un extracomunitario! Forse sono invidiose, forse sono arrabbiate perché lui fa lo scemo con tutte, forse... Se davvero le avesse importunate, perché non si sono ribellate magari prendendolo a ceffoni? E perché hanno aspettato tanto a parlarne? Lui si è ovviamente difeso accusandole di mentire - se l’è cavata con un blando e generico rimprovero. Loro sono finite sulla graticola, accusate di aver quantomeno esagerato, di averlo senza dubbio provocato. Infine, è stato imposto a loro e a tutte le ragazze della scuola un abbigliamento e un comportamento più riservato, altrimenti, giù voti bassi in condotta. Insomma, dopo le consuete premesse relative al comportamento maschile che potrebbe anche, forse, chissà, essere percepito come esagerato, ecco girarsi la frittata e la parte lesa, come al solito, è fatta oggetto di quello che io non esito a definire un autentico linciaggio. Gli uomini (povere, incolpevoli vittime della sfacciataggine femminile e di un eccesso di testosterone) nelle retrovie, perlopiù zitti, quasi imbarazzati, le donne in prima fila, con la bava alla bocca, gli artigli sfoderati. Ancora le medesime dinamiche. Nulla è cambiato, nulla cambia - di fatto.

14 Dicembre 2009

Il Burqa non è solo un abito con il quale le donne pensano di proteggersi, con il quale gli uomini le nascondono a sé e agli altri, il Burqa è un’espressione, un’esteriorizzazione culturale. Basta questo solo pezzo di stoffa per raccontare la violenza, la dicotomia che da millenni avvita su stesso il genere umano. Ci sono Burqa esteriori e Burqa interiori. Ogni donna, in ogni luogo del mondo, che lo sappia o meno, che lo voglia o no, ne ha uno al quale non può sottrarsi, nel quale è costretta già prima di nascere e nel quale, spesso, finisce per identificarsi completamente. Da là sotto, filtrato, osserva il mondo. Impedita nei movimenti, ne conosce, percorre ed occupa uno stanzino. Come si può credere che vi sia spontaneità, libertà, quando la coercizione e il condizionamento sono così profondi, totali? Come si può parlare di ruoli, attitudini e comportamenti naturali?

15 Dicembre 2009

Ogni aspetto della "realtà" è mediato, filtrato, dalla percezione soggettiva e/o collettiva che ne abbiamo - e le percezioni, in massima parte, sono il prodotto dei molti condizionamenti che subiamo. Tuttavia, se una cosa esiste, esiste per se stessa, qualunque opinione se ne possa avere, qualunque utilità abbia, qualunque uso si pretenda di farne.

I colori, ad esempio: non è possibile definirli univocamente perché ognuno li vede (se li vede) a suo modo. Se osservassimo uno smeraldo, il mio sarebbe diverso dal tuo e da quello di chiunque altro, perché io vedrei una tonalità di verde che tu e gli altri non vedete. Ma, anche se non potremo mai vedere le cose allo stesso modo, le cose esistono, in sé, pure se spengiamo la luce. Il problema nasce quando si vedono cose realmente esistenti (non immaginarie) di cui altri (in buona o cattiva fede) negano l’esistenza - e il problema diventa serio quando i secondi, credendosi superiori, conoscitori e possessori della verità assoluta, esigono dai primi supina concordanza. La verità, quando è una costruzione arbitraria, dogmatica, finisce sempre per contrapporsi alla realtà e a chi la osserva senza farsi ingannare o intimidire. Per chi, dunque, pretende di stabilire, sapere, cosa è vero (buono, bello, legittimo) e cosa è falso (cattivo, brutto, illegittimo), la realtà è un impedimento, un pericolo, un nemico da combattere, annientare, cancellare.

Si può spiegare altrimenti l’apparente impazzimento dei singoli e delle folle che si fanno irretire nuocendo prima di tutto a loro stesse?

Non vi è pazzia, ma solo la cieca volontà di manipolare l’esistente per farlo aderire, somigliare, alla verità in cui si vuole ad ogni costo credere. Credere, appunto - siamo nel campo della fede, dei sogni, delle illusioni. Chi vive, osserva la realtà, non crede - pensa, suppone, dubita, indaga. I detentori del verbo ci definiscono relativisti e, se potessero, ci sottoporrebbero a lobotomia. Hanno perso qualche battaglia, non la guerra - e il tempo dell’età adulta delle coscienze, purtroppo, è ancora molto, molto lontano.

18 Dicembre 2009 - Libertà...

Libertà. Che bella parola. Ha in sé l’impeto furioso di una tempesta o la brezza della sera in un giorno d’estate, le grida del popolo in rivolta o il silenzio dignitoso delle lacrime, le risa dei bambini e l’antico dolore delle donne. Se la si potesse mangiare, saprebbe di farina di castagne e ricotta fresca, saprebbe di latte appena munto e mandorle amare. E’ pane salato sfornato da poco, è focaccia croccante che unge le dita, è uva rossa pigiata coi piedi, è acqua cristallina che zampilla e disseta.

Libertà è un sorriso sincero, una frase schietta, un ragionamento onesto, libertà è un buffetto, un pizzico, un pugno nello stomaco. E’ potersi incontrare o sfuggire, è camminare andando dappertutto o in nessun posto, è scambiarsi i corpi, i pensieri che li abitano, ciò che esprimono o nascondono. Non ce n’è ovunque, non è per sempre. Molti non la capiscono, la buttano via. Troppi la vogliono soltanto per sé, la sottraggono agli altri con l’inganno - troppi ne fanno mercimonio.

Libertà non è come respirare, non è il vento che va dove vuole. Libertà è una conquista quotidiana che richiede fatica, impegno, consapevolezza. Non se ne può avere nemmeno un briciolo se non la si condivide, non è di nessuno se non è di tutti, e se non tutti possono goderne, non è libertà - è il suo opposto orrendo, criminale, è privilegio e spregio.

Vi prego, vi prego! Aprite i libri, scorrete e indagate la storia, prestate ascolto, cercate sul viso dell’altro le domande e le risposte che vi mancano. Ogni giorno, ogni istante, ripetete a voi stessi quello che sapete della libertà, fatelo a voce alta cosicché chiunque vi senta impari ciò che ignora. Fatelo - perché se non lo fate, se rinuncerete a farlo, a poco a poco dimenticherete, e se non saprete più cos'è la libertà, come potrete difenderla, riconoscerla, desiderarla?

 

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