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Aggiornato Lunedì 07-Gen-2013

 

 

1° Gennaio 2010

Il 2009 è finito con il messaggio a reti unificate del buon nonnnino che in italiavisione dalla Luna ci ha parlato delle sue chimeriche speranze. La mia, assai concreta e modesta, è che nel 2010 finisca l'inchiostro delle sue penne spaziali e la smetta di scarabocchiare firme dappertutto...

4 Gennaio 2010

L’istituzione di un servizio di pronto soccorso per animali domestici è una questione semplice-semplice di civiltà e buon senso. Il problema è che in Italia siamo tanto lontani dall'essere civili. Compriamo animali, invece di adottarli. Quando li adottiamo non sappiamo gestirli. Diventano un problema e li leghiamo ad una catena o, peggio, li abbandoniamo. Se non li abbandoniamo finiamo per disinteressarcene. Li alimentiamo in modo sconsiderato, non li registriamo, non li assicuriamo, non li vacciniamo, li portiamo a spasso senza mettere in sicurezza loro e gli altri, senza rispettare alcuna regola, anche la più scontata. Ovviamente, non parlo di chi ha comportamenti consapevoli e rispettosi, parlo della maggioranza degli italiani, compresi molti tra quelli che si dichiarano amanti degli animali, che addirittura ne hanno e non potrebbero farne a meno! Allora, insieme ad un servizio di pronto soccorso, istituirei anche dei corsi obbligatori per insegnare agli esseri umani come comportarsi sia nei loro confronti, sia nei confronti della collettività.

In un paese realmente civile, non solo dovrebbe esservi un servizio di pronto intervento medico per animali, ma essi dovrebbero beneficiare di una copertura sanitaria gratuita. Poiché i cittadini stornano allo stato circa la metà di quello che guadagnano e dato che gli animali domestici fanno parte del nucleo familiare a pieno titolo, non c’è ragione di scandalizzarsi, né di minimizzare o riderne. L'ho già detto, è una questione semplice-semplice di civiltà e buon senso. Un animale che può essere curato adeguatamente, non è un problema, ma una risorsa - sotto tutti i punti di vista.

Sappiamo quanto costa tenere in buona salute un animale domestico e quanto la sua presenza sia fonte di gioia e conforto per chi se ne prende cura. Non tutti possono garantirgli il necessario e spesso la trascuratezza ne è una conseguenza.

Canili e gattili sono pieni di bestiole abbandonate e ovunque ci sono persone coscienziose che rinunciano a prendersene cura perché non potrebbero mantenerle. Una copertura sanitaria facilmente accessibile e gratuita unitamente all’istituzione di corsi obbligatori di formazione, all’applicazione delle leggi contro i maltrattamenti e l’inosservanza dei regolamenti, ad una migliore e maggiore disponibilità ad accoglierli nei luoghi pubblici (bar, ristoranti, alberghi, spiagge, giardini, ecc.) attrezzando aree loro destinate come avviene all’estero, ridurrebbe il fenomeno degli abbandoni e favorirebbe l’adozione, creerebbe un circolo virtuoso a tutto vantaggio dei singoli e dell’intera comunità.

E' ovvio che in un paese dove nemmeno le persone possono godere dei più elementari diritti, tutto questo può sembrare spropositato, ma se non incominceremo a fare cultura anche attraverso ciò che appare assurdo, poco o nulla importante, finiremo per farci male, molto, molto male.

9 Gennaio 2010

Forse un giorno sarò farfalla - oggi però appartengo alla terra e come il verme striscio, scavo, rumino. In pace con il mio umidore e le tracce odorose che la vita sparpaglia.

15 Gennaio 2010

Ho una forma mentis prevalentemente maschile, non c’è dubbio, ma il mio corpo, per quanto scarsamente corrispondente all’idea che avevo ed oggi ho, per motivi diversi, di lui, non è mai stato un problema, non in senso stretto, né il mio pensiero principale, la mia principale preoccupazione. Sono una “testa che cammina” - la mia identità è fondamentalmente asessuata e tutto quello che sono, come persona, sta lì dentro, perfettamente a suo agio.

Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è stato drammatico. Nel giro di qualche mese avevo perso il privilegio di comportarmi come volevo: non potevo più lordarmi di grasso nell’officina di mio padre, giocare alla guerra e fare la lotta, girare a torso nudo, come lui. All’improvviso, dovevo coprire il mio corpo o metterne in mostra le rotondità, comportarmi da signorina, e la reazione fu di andare esattamente nella direzione opposta. Ciò che volevo fare ed essere non si adattava ai ruoli cui, biologicamente, ero destinata - dipingere, scrivere, lavorare il legno, in teatro con mansioni di macchinista, attrezzista, elettricista, non erano cose comuni per nessuno, tanto meno per una ragazza. In fondo, mascolinizzandomi, cercavo solo di pareggiare i conti, rendere meno evidente lo scollamento che c’era tra i miei interessi e ciò che avrei dovuto essere, fare. La gente lascia stare, fa meno domande se crede di capire che la natura con te si è sbagliata. Mi ci sono voluti molti anni prima di capire che potevo tentare di realizzarmi senza per questo dover dare ad intendere cose che in realtà non c’erano. La mia ambiguità (una via di mezzo tra maschile e femminile) è frutto di questa maturazione, dell’emancipazione dal condizionamento sociale e i suoi diktat.

Non avrei mai voluto essere un maschio, non dal punto di vista sessuale e culturale, ma, se avessi potuto scegliere, avrei preferito un corpo maschile (il corpo, non gli attributi sessuali) perché è più comodo, prestante, più facilmente gestibile e, a mio gusto, più bello a vedersi. Il seno, la struttura corporea femminile, è perfetta se l’obiettivo è corrispondere l’imperativo biologico e culturale che destina ad essere mogli e madri, differentemente, specie se si vogliono fare cose che richiedono altre caratteristiche fisiche, può essere un impedimento ed anche un gran fastidio.

Oggi penso che il sesso e il genere siano due enormi trappoloni in cui gli esseri umani si costringono. Falsi problemi, cartine di tornasole, richiami per allodole. Comodi o dolorosi espedienti che mettono al riparo dal dover far funzionare il cervello su altre e ben più importanti questioni. Soprattutto buoni per evitare la fatica di doversi creare un’identità propria, indipendente, affrancata dal giogo delle restrizioni e delle suggestioni sociali.

18 Febbraio 2010

Il pubblico è suddiviso in Target ed è a ciascuno di essi che si rivolge la televisione, la pubblicità, il mercato - chiunque. Lo scopo è attrarre, persuadere, sedurre. Per vendere. Qualsiasi cosa. Nessun venditore/pubblicitario al mondo potrebbe piazzare il suo prodotto partendo dal nulla, sarebbe una follia - e un fallimento. Non si semina sulla sabbia. Qualcuno ha notato come le pubblicità siano diventate terribilmente sessiste, con una ancor più rigida, netta definizione degli stereotipi di genere? Guardate le pubblicità destinate ai bambini, soffermatevi - capirete molte cose rispetto a quello che NON è accaduto dagli anni Sessanta ad oggi. Anch'io pensavo che la TV e i pubblicitari "inducessero" - dopo molto rimuginare (guardare e leggere), ho capito che non è così. Se ci proponessero prodotti (e modelli) totalmente estranei alla nostra cultura, alle nostre aspettative, nulla al mondo potrebbe convincerci che ci appartengono o siano desiderabili. Non è un caso che gli stessi siano promossi/confezionati in maniera differente da un paese all’altro. Programmi televisivi e pubblicità sono una cassa di risonanza, amplificano, incarnano - diversamente, nessuno vi si riconoscerebbe. Hanno la colpa (per alcuni), o il merito (per altri), di adeguarsi e accontentare il maggior numero possibile di persone. Domanda, offerta. Tutto qua. Se in questi ultimi trenta/quaranta anni ci fossimo davvero evoluti, se qualcosa fosse davvero, profondamente cambiato, non vedremmo in TV tronisti, pulciosi e spogliarelliste, i bambini potrebbero giocare con le bambole se volessero, le bambine potrebbero smetterla di aiutarli a mettere a posto i pennarelli dopo aver disegnato, le mamme non costringerebbero le figlie ad essere perfette show girl, le ragazzine non sarebbero anoressiche o bulimiche, i ragazzini non girerebbero in branco cercando qualcosa da rompere, qualcuno da stuprare o un barbone da incendiare. Ciò che vediamo e siamo è il prodotto della nostra storia, delle nostre incapacità, inconcludenze, omissioni, della nostra pigrizia, del terrore che abbiamo nei confronti di ogni cambiamento, difformità. Ci stiamo auto/distruggendo. E ciò che vorremmo cancellare negli altri è dentro di noi.

Si chiama, in parole semplici, induzione, condizionamento. Con i condizionamenti facciamo i conti sin dal concepimento. Lo scopo è formare bravi figliuoli, solerti consumatori, ubbidienti o almeno mansueti cittadini. Certo. Ma attribuire tutta o buona parte della responsabilità agli abili manipolatori (?) che decidono cosa dobbiamo comprare e pensare, come dobbiamo agire e per conto di chi, puzza un tantino di scarica barile. Se fosse vero e se questa tecnica fosse così efficace, efficiente, non staremmo qui a discuterne. Nessun dubbio, incertezza - tutti in fila per un tozzo di pane o un paio di pantaloni. Il seme mette radici dove la terra è fertile. Qualcuno ci casca, qualcun altro no. E' che fa comodo seguire la corrente, si fa meno fatica e non si è mai soli. Il proprio orticello val bene la pelle del vicino.

19 Febbraio 2010

La violenza contro le donne non è un fenomeno tutto sommato marginale che si consuma prevalentemente al di fuori dall’ambito familiare, lavorativo e amicale per mano di estranei.

Almeno una donna su tre (statistiche alla mano) ha subito abusi o violenze e la maggior parte degli abusi e degli stupri, sulle donne e sui minori, si verifica - da sempre - in ambito familiare, amicale e lavorativo. Ambiti, cioè, condivisi da individui che si conoscono bene, e in cui i ruoli, le gerarchie, i rapporti di forza e potere, sono chiaramente fissati e accettati. L'orco, lo stupratore, il molestatore, può nascondersi sotto il volto sorridente di una persona della quale non si ha ragione di diffidare: il padre, il patrigno, lo zio, il nipote, il fratello, il cugino, il prete, il collega, il datore di lavoro o un superiore, l'amico di famiglia, il compagno o i compagni di scuola. La percentuale di estranei che colpiscono donne e minori "a caso" è molto bassa. Ieri come adesso.

Perché lo stupratore è di norma un parente, un collega, un amico e non un perfetto estraneo? Perché è un avveduto opportunista. Lui sa che un territorio di caccia circoscritto e ben esplorato è più controllabile e difendibile, che se resta tra persone conosciute può prevederne i comportamenti e facilmente ingannarle. Per lui, le donne e i bambini del suo clan sono roba sua (perciò si sente in diritto di disporne come crede) e non ha dubbi che alla fine, tutti (vittima compresa) tenderanno ad alzare un muro di silenzio per difendere se stessi dalla vergogna, dalla colpa, da conseguenze ritenute peggiori del male fatto/subito.

Un altro mito da sfatare è che la violenza abbia come scopo il mero soddisfacimento sessuale. Lo stupratore, il molestatore, attraverso la coercizione, l’umiliazione, le percosse, infine lo stupro e talvolta l’omicidio, compie un gesto punitivo, dimostra prima di tutto a sé (e, nel caso si tratti di un  gruppo, ai compagni), il proprio potere di vita e di morte, la propria forza, superiorità, la propria capacità di controllo e dominio. La violenza sessuale è soltanto un mezzo attraverso il quale egli rivendica il suo ruolo, afferma se stesso, la sua fiera o vacillante identità, appartenenza - se ce ne fossero altri, più efficaci, altrettanto giustificati, tollerati e praticati, se ne servirebbe. E quali vittime sceglie? Le più facili, quelle già educate a pensarsi responsabili dei torti subiti: le donne, gli uomini “deboli” o effeminati, i bambini (maschi e femmine, spesso indifferentemente) - in pratica, la sua odiata, disprezzata o altrimenti irraggiungibile, perduta, desiderata controparte.

L’affermazione che i ragazzi non siano più capaci di concepire il rifiuto è un’altra enorme castroneria. Gli uomini non sono mai stati capaci di sopportarlo perché, semplicemente, da sempre, per loro questa eventualità non è prevista, non seriamente, almeno. L’uomo “non deve chiedere, mai”. L’uomo prende, è suo diritto. L’uomo possiede, conduce, decide. La donna si affida. Il suo compito è applaudirne le prodezze, accontentarlo, favorirlo, al massimo fingere di farsi sedurre, di toccare il cielo con un dito ad un solo suo sguardo, ammiccamento. Cos’altro le rimane se non concentrarsi sulla propria avvenenza fisica - non è forse vero che ha poco cervello e ancor meno capacità? Di che si lamenta? Tutti lo sanno che dice no, ma pensa sì. La carne è debole, l’uomo è cacciatore. L’alternativa allo stupro ce l’ha, ce l’hanno tutte: sposarsi e tapparsi in casa a sfaccendare e sfornare figli. Alle ragazze serie certe cose non succedono. Ecco un piccolo campionario di stereotipi, luoghi comuni, preconcetti. A qualcuno sembra che rispetto a qualche decina di anni fa ci sia qualcosa di diverso? (1)

Raramente le donne opponevano rifiuti, perciò raramente gli uomini dovevano farvi i conti. Il numero crescente di donne assassinate per mano di mariti, fidanzati, ex o ancora tali, non è una conseguenza di un inedito comportamento maschile, dell’impazzimento del maschio che non sa più chi è o reagisce con aggressività perché le donne sono diventate cattive e ce l’hanno con lui, poverino - tutt’altro. Oggi, come mai prima, maschi e femmine sono indotti sin dal primo anno di età a distinguersi e riconoscersi nel proprio genere biologico, secondo precisi dettami eterosessisti, in piena conformità con l’agonizzante, anacronistica suddivisione dei ruoli. Le madri, per prime (e molte di esse non possono certo dire di non sapere cosa sia il movimento femminista, cosa siano state e cosa abbiano significato le sacrosante rivendicazioni femminili), sottopongono figli e nipoti, maschi e femmine, a questo quotidiano, sistematico condizionamento. Lo fanno con le loro scelte, i loro atteggiamenti, le loro aspettative, inducendoli ad essere uomini e donne perfette prima ancora che per essi abbiano un senso tali parole. Gli uomini: va bene anche brutti e semi-analfabeti, purché siano stronzi, ricchi, potenti, arroganti. Le donne: serve, sante o puttane, perché se non ti sposa Dio o la TV, chi ti piglia e sistema? Maschi e femmine, quindi, sanno perfettamente come devono essere per non dispiacere, ma capita, con sempre maggiore ed allarmante frequenza, che alcune donne dicano no, e non un “ni”, un no vero, tondo-tondo, convinto, seguendo l’istinto perché più nessuno insegna loro che possono, devono imparare a dirlo. Ecco allora che il perfetto mondino immaginato dalle nostre mamme e dai nostri papà (che poi sono anche i nostri insegnanti, i nostri politici, i nostri giornalisti, ecc.) va in frantumi e prontamente qualcuno che si sente legittimato a fare pulizia, rimettere le cose a posto. Applauso. Omicidio? Stupro? Il sesso non c’entra niente, questa è politica, spettacolo, ad uso e consumo di chi non vuol vedere, capire, cambiare.

1) Sono nata nel 1964. Mia madre, mio padre, tutta la mia famiglia e le famiglie che ho incontrato, più o meno ragionavano così. Parliamo di quaranta anni fa. Nel frattempo sono accadute alcune cose, in Italia e nel mondo. Il movimento femminista, il ’68, l’avvento del berlusconismo e di Internet, ad esempio. Oggi entro nei bar, parlo con le mie amiche insegnanti, leggo i giornali, guardo la TV, scurioso nei social network e non mi do pace. A parte un numero relativo e minoritario di individui, gli altri ragionano ancora allo stesso modo, anzi, peggio, perché mio padre, nonostante tutto (era un gran fascista, un picchiatore di donne e bambini), alla fine mi ha permesso di giocare a fare il meccanico nella sua officina e nessuno mi ha preso in giro per questo. Oggi, una bambina come me, non potrebbe più farlo e forse, bombardata com’è, nemmeno si sognerebbe di chiederlo.

27 Marzo 2010

Vecchia, cara pellicola, un po' come il vinile... Non c'è confronto tra guardare, tenere in mano una foto magari in b/n, la copertina di un album, e queste meraviglie digitali, spesso perfette, addirittura impietose. Ma sono cose diverse, tanto diverse. In comune, nella fotografia, hanno il gesto, lo sguardo dietro l'obiettivo, la fisicità della macchina, la magia e l'avventura dell'andar a caccia d'immagini, momenti. Ciò che rende unico ogni scatto, ogni ascolto, non è la carta,  il fruscio, l'alta definizione che stordisce, ma la storia che l'ha preceduto, accompagnato - qualcosa che non può essere replicato, né, in definitiva, raccontato.

28 Marzo 2010

Ogni giorno una voce o un silenzio offende. Sarà sempre così, per alcune, alcuni. Chi non sente le parole o i silenzi talvolta affidati al vento perché giungano dove capita, ha rinunciato a vivere o mai ha vissuto. Su chi quelle offese regala ho niente da dire. Non me ne curo più, da un pezzo.

15 Maggio 2010

Si può essere maleducati e al contempo avere attenzione per gli altri. La "maleducazione" che ferisce, che si frappone divenendo intrusione e abuso, non è una pagliuzza, è disprezzo - manifesto, esibito, esercitato. E' una forma di violenza attraverso la quale molti affermano, ri/vendicano se stessi.

11 Giugno 2010

Senza oblio saremmo condannati a camminare in linea retta. Non avremmo alcun motivo di voltarci indietro. Nessun dubbio, incertezza, ripensamento. Nessun balbettio. E il sorriso delle persone care non stupirebbe mai, mai avremmo il desiderio di fermare il tempo, fissare la vita in una fotografia, affidare le parole alla carta.

Così, fingiamo di dimenticare per avere l’illusione di camminare in linea retta, per sentirci assolti, giustificati, per non doverci voltare indietro. Fingiamo, perché agli smemorati si può perdonare ogni negligenza. E fingendo, talvolta, la memoria si perde davvero privandoci della felicità che viene dalle piccole conquiste quotidiane, che è nelle minuzie e nella semplicità, nella concretezza di un pezzo di pane, in una carezza disinteressata, inattesa. Alla fine, ripetiamo i medesimi errori, perdiamo l’occasione di chiedere scusa, rimediare.

Trascuriamo il passato come se non ci riguardasse, non ne fossimo responsabili - mai, o più. Ci comportiamo come se sapessimo tutto o come se sapere non servisse. Serve, ma sapere e ricordare non sono la stessa cosa.

12 Giugno 2010

Vi è dolo e colpa in ogni omissione, trascuratezza.
Passiamo buona parte della nostra vita ad ingannare principalmente noi stessi. Ma siamo mediocri mentitori. Buoni allievi, in gioventù, e poi cattivi maestri nell’arte dell’infingimento.

13 Giugno 2010

Le donne... è un po' come dire "il popolo" - non significa nulla. Le categorie sono buone per i governi, le statistiche - il marketing. Dobbiamo smetterla di stare a questo gioco, di cadere in questa trappola. Non siamo pecore e nemmeno le pecore sono una simile all'altra, tuttavia, ci comportiamo, pensiamo, come se lo fossimo, inseguiamo, pretendiamo comportamenti uniformati e uniformanti, ci rifugiamo dietro ogni paravento possibile, in ogni possibile ingranaggio e lì, al sicuro principalmente da noi stessi, possiamo scrollarci di dosso il peso di responsabilità che sono prima di tutto individuali. Le donne, soddisfatte o insoddisfatte che siano, stanno facendo esattamente quello che è loro richiesto: le madri, le mogli, le compagne, le sottoposte, le vittime, le attiviste - di/per qualcuno. E lo fanno bene, convinte di scegliere quanto e quando farlo. Indignazione e rabbia secondo necessità, tempo e ruoli permettendo. E’ “normale”. La famiglia, il lavoro - prima di tutto. Prima anche di se stesse e ciò che è, sarebbe giusto, sano. Ecco dove sono le donne: ovunque, comunque impegnate a convincersi di far parte di qualcosa che  credono le rappresenti e le realizzi, ma niente esiste a questo scopo, non per loro, almeno.

3 Luglio 2010 - In risposta ad un post pubblicato su http://perseo.blog.kataweb.it/perseo_blog/2010/07/03/la-mia-giornata-e-iniziata-alle-7/

Come la quercia, in un bosco di querce, fai del tuo meglio per restare in piedi, non piegarti sotto il tuo stesso peso. I rami protesi a cercare la luce che, sai, non è molta - né per te che puoi raccontare secoli di primavere e autunni ombrosi, né per quei piccoli arbusti che cercano di crescere nonostante la tua ingombrante ombra. Ecco, sì, è la luce che manca. Manca al bosco di querce che ne ha sempre avuta poca, ma non alle sterpaglie declinanti verso il mare che ne sono inondate senza capirne il valore, senza comprendere come possa una forte e alta quercia lamentarsi, soffrirne la mancanza.

Se divampasse un incendio, sarebbero loro, le sterpaglie, ad avvantaggiarsene. Le querce brucerebbero e ancora non avrebbero la luce.

Chi può spiegare la frescura, l’oscurità o la penombra? Possono farlo le ginestre, il rosmarino, le macchie a cisto, le garighe costiere? Possono farlo i cespuglietti tra le dune, le pietraie? Cosa ne sanno, loro? E, alla fine, di questa gaia ignoranza, possiamo fargliene una colpa?

Serve il cespuglio e serve l’arbusto - uno non saprebbe dell’altro, altrimenti. Serve il buio perché vi sia luce. Servono i silenzi perché in essi vi è ogni risposta. Servono le parole perché senza nulla avrebbe nome. Servono persone ombrose, o aride, per sfamare gatti ammalati, o soccorrere vecchie signore che non hanno più un soldo nemmeno per fare la spesa, servono per far piangere querce di boschi lontani che - forse perché già un po’ morte, o forse semplicemente perché ostinate, come la mole pretende - cercano la vita, sempre, non solo quando la Nera Signora si avvicina.

Ho smesso di scrivere e fare molte altre cose di cui questo mondo non sentiva la minima necessità, e tuttavia il mio cuore non ha smesso di battere, non ho smesso di pensare, gioire o dispiacermi.

Quando vedo gli animali fare cose che dimostrano discernimento (e lo fanno in continuazione, basta fermarsi e guardare), vorrei l’immortalità per non dover rinunciare a tutta questa bellezza, questa perfezione - gratuita. E pure gli uomini, che mi deludono, offendono, minacciano, che considero essere una inarrestabile necrosi, un cancro nel corpo dell’Universo, muovono in me curiosità e insulsa tenerezza - cosicché, alla fine, apprezzo la mia mortalità, perché finalmente venga il riposo dopo tanto penare.

Rimarremo qua, piaccia o meno a qualcuno, noi compresi. Rimarremo per il tempo necessario, non un minuto di più, non un minuto di meno. Contrastando la forza di gravità e protendendoci verso la luce - finché avremo un po’ di vento da raccogliere e restituire.

20 Agosto 2010

Sull’uso della pillola anticoncezionale a basso dosaggio ormonale (da non confondersi con la cosiddetta pillola abortiva RU486), la Federazione internazionale delle Associazioni dei medici cattolici (FIAMC) ha redatto un documento di un centinaio di pagine sintetizzato nei suoi punti principali dal suo Presidente, il Prof. Pedro José María Simón Castellví, nell’articolo “L’Humanae vitae - Una profezia scientifica” pubblicato sull’Osservatore Romano il 3 Gennaio 2009. I “medici” aderenti a questa associazione, attribuiscono alla pillola anticoncezionale e quindi alle donne che la assumono, «effetti ecologici devastanti» a causa «delle tonnellate di ormoni per anni rilasciati nell’ambiente» attraverso le loro urine. Nell’articolo si legge: «Abbiamo dati a sufficienza per affermare che uno dei motivi per nulla disprezzabile dell’infertilità maschile in occidente (con sempre meno spermatozoi nell’uomo) è l’inquinamento ambientale provocato da prodotti della “pillola”». Un po’ come dire che il buco nell’ozono è determinato principalmente dalle scoregge delle mucche. Per evitare i suddetti «effetti ecologici devastanti» esiste un rimedio naturale facile-facile che avrebbe benefiche ricadute non solo sulla vita delle donne: diventare tutte vegetariane e... lesbiche. Troppa grazia Sant’Antonio?

22 Agosto 2010

Ci sono persone a cui non importa nulla degli altri, nondimeno, conducono una vita niente affatto introversa, antisociale o solitaria, e spesso sono tra i più accaniti difensori della normalità, dell’ordine costituito, delle sue regole vessatorie, discriminatorie - specie quelle non scritte, anzi, soprattutto quelle.

A guardar bene, scopriremmo che i normopatici appartengono in larga misura a questa categoria. Ogni gesto, azione, ogni pensiero è dettato dal bisogno di conformità, adeguatezza, controllo. Essi sono il centro dell’universo e tutto ha senso, valore, è sano, giusto e legittimo, solo se conferma la loro visione del mondo, se serve a realizzarne i progetti, a soddisfarne le necessità che sono tanto più sacrosante quanto più incarnano/inseguono modelli socialmente riconosciuti e accettati. Cerca qualcosa chi non la possiede. Recita un ruolo preordinato chi non ha fantasia, chi pensa che apparire sia meglio di essere, chi proprio non sa che si può decidere altrimenti, chi ha di se stesso un’opinione sovra o sottostimata, chi teme i soprusi e l’isolamento a cui, sempre, sono destinati gli indisciplinati, i “diversi”, gli inadeguati.

Se agli egoisti, ai normopatici (qualunque motivazione abbiano per rinunciare alla bellezza e hai benefici della differenza) importasse qualcosa degli altri, ne avrebbero maggiore e migliore considerazione. Ma non gli importa, vogliono solo far parte dell’ingranaggio, avere dei privilegi da preservare, il potere di decidere chi ha il diritto di essere considerato uguale e chi no. L’indifferenza e il disprezzo che ammorbano l’aria rendendola velenifera, sono una conseguenza, nemmeno la peggiore, del trionfo dell’individualismo e del conformismo.

5 Settembre 2010

Sembrerà sciocco, ma le storielle de "La Sacra Pippa" sono nate con molta leggerezza, per gioco, dietro non c'era nessuna velleità letteraria, teologica o altro. Non sono cattolica, non sono ebrea e non me la sento nemmeno di definirmi cristiana, sebbene le mie (le nostre) radici culturali non possano che dirsi tali. Ho verso l'uomo Gesù profondo rispetto e grande ammirazione, non altrettanto ne sento per suo "padre", ovviamente intendo quello millantato dalla chiesa cattolica, dal cristianesimo o da chiunque altro. Ritengo che Dio sia silenzio e luce, persino nominarlo mi crea imbarazzo. Ma il Dio che prendo in giro ne "La Sacra Pippa", non è silenzio e luce, tutt'altro. Perciò, scriverne non ha mosso in me alcuna inibizione, né mi ha fatto venir voglia di verificare le fonti da cui ho attinto. Sberleffi fors'anche superficiali di una laica impenitente e riottosa, diciamo così. Ero tanto giovane. Oggi, se avessi bisogno di mettere nero su bianco qualcosa e se qualcuno avesse un buon motivo per leggerlo, scriverei altro - racconterei, ancora, di uomini e donne messi in croce da loro stessi e/o dai propri simili, senza nemmeno che possano sperare in un briciolo di gloria, neppure postuma. Oggi, m'interesso di minuzie, con minore ironia e crescente preoccupazione.

Sì, sono di Lucca e sì, so che potrei trovarvi una formazione teologica qualificata - se solo me ne importasse, lo ritenessi importante, oltre me stessa. Non penso che lo sia - mi spiace. Lascio le crociate, le prese di posizione fideistiche, lo studio della tradizione cristiana, a chi ha la verità in tasca, a chi la cerca pro suo.

8 Settembre 2010 - Sulla vicenda di Adro (http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/adro-mensa-scuola-mangiare-pagare-bambini-lancini-533835/)

Ho visto quella gente in TV, tempo fa. Ho visto i bravi paesani di pura razza italiana e il loro degno rappresentante, sindaco leghista, scagliarsi contro l'imprenditore che con il suo gesto aveva offeso gli onesti lavoratori di Adro (???). Li ho visti accanirsi contro le mamme extracomunitarie - insolventi o meno, chi se ne frega - che avevano la faccia tosta di chiedere aiuto, rispetto e diritti, proprio lì, davanti alle loro bocche ringhianti, davanti alla telecamere di Santoro. Ho visto le orribili facce delle donne italiane avventarsi persino contro quelle che, tra le straniere, erano pronte a diventare razziste, peggio, leghiste - e il mio pensiero è precipitato nell’abisso che sessanta anni fa ha inghiottito milioni di persone soltanto perché non erano ariane, cattoliche ed eterosessuali.

Quello che sta accadendo ai Rom, non solo in Italia e non da adesso, non è l’ennesimo campanellino d’allarme che dovrebbe indurci ad una qualche reazione - è un mondo intero di campanili che si è messo a suonare campane grosse come case, ma noi stiamo qui con il telecomando in mano a baloccarci davanti ai Talent Show, a contare gli spiccioli che ci girano nelle tasche perché non vorremmo dover rinunciare alle vacanze, qui, moderatamente indignati, preoccupati, senza accorgerci che quell’abisso non si è mai rimarginato ed è ancora il comodo tappeto sotto cui ficcheremmo volentieri chiunque ci spiaccia o contraddica.

Molti solerti ed onesti cittadini hanno già pronte le pale, ad altri già le stanno usando. Ciò che essi considerano spazzatura, non si elimina con la ramazza - ci vogliono i bulldozer, occorre essere in molti, servono chiese, governi ed amministrazioni ispiratrici, istigatrici e compiacenti, opposizioni da operetta, serve quel che c’è, adesso, in questo momento... ed io non mi do pace, non mi do pace.

9 Settembre 2010 - Sul video "Severn Suzuki la ragazzina che zittì il mondo per 6 minuti (1992)"

Era il 1992, già. Un tempo in cui ad una bambina di 12 anni era ancora permesso di dire, ma soprattutto pensare, queste "ovvietà" meravigliose. Potrebbe, oggi, un bambino qualsiasi, sperare di essere seriamente ascoltato dagli eredi di quei padri e quelle madri? Non lo liquiderebbero, invece, dandogli pacche sulle spalle, complimentandosi per l’eloquenza, come si farebbe a scuola con uno studente che ha ben imparato la lezione, nella certezza che diventato adulto metterà in pratica gli insegnamenti ricevuti diventando esattamente come deve: un perfetto, avido, ottuso consumatore che insegna ai propri figli cosa non devono fare... gli altri?

E passata la commozione, l’indignazione, lo schifo di fronte all’immagine di quel bimbo coperto di mosche con il biberon vuoto in mano, saprebbero, vorrebbero quegli uomini privarsi dei loro bei privilegi per alleviarne le sofferenze? Domanda retorica - certo che no, esattamente come ognuno di noi non rinuncerebbe mai al poco o tanto che gli è toccato o ha raggranellato, magari rubandolo a qualcuno che ne aveva maggiormente bisogno o lo meritava di più.

Ipocriti. Siamo stramaledettamente, incrollabilmente ipocriti. Ipocriti, dimentichi e infingardi - come serve che sia, a noi.

Ma il video è bellissimo. Mi chiedo cosa ne è stato di quella bambina, alla fine che scelte di vita ha fatto, se anche lei ha dovuto chinare il capo...

P.S.: Spippolando in rete ho scoperto che Severn Cullis-Suzuki (Vancouver, 30 novembre 1979) è figlia della scrittrice Tara Elizabeth Cullis e del genetista e ambientalista David Suzuki. Oggi anche lei è un'attivista ambientale, conduce programmi televisivi e fa tante altre belle cose. Dio, quanto sono ingenua a volte.

Ottobre 2010

Avevo un amico cacciatore. Partiva per le sue lunghe passeggiate nei boschi, da solo. Lui e il suo fucile. Non è mai tornato con qualcosa nel cesto. Un giorno sono andata con lui e ho capito perché: non sparava - semplicemente - e l'idea di uccidere un animale lo ripugnava. Ma gli piaceva vestirsi di tutto punto, pulire l'arma, attrezzarsi, scarpinare. Lo so, avrebbe potuto farlo anche senza portarsi dietro la doppietta, ma quello era il suo modo per onorare simbolicamente un'antica tradizione di famiglia. Qualche anno fa, ho saputo, ha lasciato tutto e si è rifugiato in una casetta isolata, in montagna, senza acqua, luce, gas. Un altro modo, forse, per non sporcarsi le mani.

Le tradizioni, spesso, sono una trappola mortale.

Nella maggioranza dei casi, quando una donna arriva ad uccidere un uomo, lo fa come ultima ratio dopo anni di violenze subite e richieste di aiuto rimaste inascoltate, quando ormai è certa di non avere alternative. La condanna, tuttavia, è immediata - senza sconti, attenuanti. La donna che uccide il marito infrange un tabù. Ovunque nel mondo, anche in America, in Iran e in Italia (dove a morire, però, sono quasi solo le donne). Per questo il suo crimine è inaccettabile, totalmente imperdonabile - e la punizione deve essere esemplare, deve scoraggiare ogni altra donna dal compiere un tale sacrilegio.

Ci solleviamo in difesa di Sakineh perché per noi non ha ammazzato solo un uomo, un marito (ammesso che lo abbia fatto davvero), ha ammazzato la personificazione del male, un islamico - il nostro nuovo nemico. Ci solleviamo in difesa di Sakineh perché la lapidazione ci disgusta - non la pena di morte, in sé. Se, semplicemente, l'avessero condannata ad un supplizio meno plateale, culturalmente più vicino a noi (iniezione letale, sedia elettrica, ad esempio), probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto. Soprattutto, ci solleviamo in difesa di Sakineh perché è diventata un caso mediatico, simbolico, attraverso il quale possiamo lavarci la coscienza. Concentrando tutta la nostra attenzione su Sakineh possiamo continuare a credere che il problema non ci riguardi direttamente, possiamo continuare a trascurare noi stesse e le altre - le decine, centinaia, migliaia di donne che in tutto il mondo (anche in Italia) pagano con la vita il prezzo della subalternità al maschio.

Avete notato che le reazioni contro gli islamici (o meglio, contro la cultura islamica) sono sempre più parossistiche, evidenti? Tutta la campagna demonizzatrice sorta intorno all’uso del burqa, o il problema delle moschee, ad esempio, non puzzano lontano un miglio di strumentalizzazione nazional/razzista, più genericamente di scontro tra civiltà, qui e altrove? Ai nemici storici della razza ariana (machista, bianca, cristiano/cattolica, ovviamente eterosessuale) si sono aggiunti gli islamici avvertiti come una minaccia quanto mai realistica dalla maggior parte dei cittadini del mondo cosiddetto “occidentale”. Francamente, non mi sembra che ne avessimo bisogno.

Le religioni (soprattutto quelle monoteistiche) sono il mezzo attraverso il quale un pugno di uomini soggiogano e mantengono in schiavitù il genere umano.

Dietro certe affermazioni c’è, nel migliore dei casi, disimpegno, nel peggiore malafede, feroce, compiacente ignoranza. Di cattive intenzioni e cattive coscienze è lastricato il mondo.

Controllo totale, progressivamente, un poco alla volta - uno stillicidio quotidiano, inarrestabile. Un giorno ci sveglieremo e scopriremo di non aver più alcuna libertà a cui aggrapparci, alcun diritto da rivendicare - e non riusciremo nemmeno a capire come sia stato possibile, come abbiamo fatto a non accorgercene, a permetterlo. Quel giorno sarà troppo tardi anche solo per lamentarsi.

Non mi preoccupo per me stessa, temo le reazioni distruttive di chi non ha consapevolezza, le risorse interiori, culturali ed emotive, per far fronte nel modo giusto alla deriva vergognosa che ci sta portando a fondo. Temo le conseguenze del processo degenerativo che queste persone hanno contribuito ad innescare e di cui sono le vittime principali.

Ci sono persone che non solo negano l’olocausto, ma persino ne contestano i numeri. Cinque, sei o sette milioni di ebrei - mi viene il vomito, ma non fa molta differenza. Il fatto è che ci dimentichiamo degli altri sessanta milioni! Omosessuali (uomini e donne), zingari (sinti, rom), testimoni di Geova, handicappati, invalidi, malati mentali (anche tedeschi), comunisti, oppositori politici, dissidenti, intellettuali (filosofi, scrittori, musicisti, pittori, attori, medici, scienziati, ecc.)... Civili, soprattutto - persone inermi, incolpevoli. Riusciamo ad avere un'idea visiva della quantità di corpi senza vita che le dittature di ogni colore hanno lasciato dietro di sé il secolo scorso? Riusciamo a quantificare l'ammanco di talenti che non hanno potuto contribuire alla crescita culturale del mondo intero? Abbiamo un'idea, seppur pallida, del danno enorme, irrisarcibile, che questo immane sterminio ha causato al genere umano, tutto? Riusciamo a guardare entro ed oltre i confini europei per scorgervi le premesse, le determinazioni, le complicità politiche, economiche e culturali che hanno contribuito alla cancellazione di ogni alternativa a questo presente? L'unico modo che abbiamo per comprenderlo è indagare a fondo la nostra storia, studiarla minuziosamente, senza preconcetti, con umiltà e pietà, mettendoci in ascolto di quelle voci lontane. Finché daremo per scontato di sapere, non sapremo un bel niente, o troppo, troppo poco.

Di fronte al dolore si ha, o si dovrebbe avere, una forma di rispettoso pudore, decenza. Farsi da parte, che non significa lasciare sole le persone, scrollarsi di dosso il fastidio, ma trovare nel silenzio il modo per essere, se possibile, più vicini, solidali.

Nella vita allineiamo lacrime come perline tenute insieme con il filo evanescente delle chiacchiere o la catena arrugginita dei rimpianti, del rancore. Alcuni ne fanno sfoggio, altri, più riservati, dignitosi, lesi o spaventati, le stringono a sé come fossero fanciulli bisognosi di conforto, o in sé le celano per nasconderle soprattutto ai propri occhi.

La perdita di una persona amata non si supera mai. Mai si dimentica. E’ una ferita aperta sempre pronta a sanguinare, a dolere. Ma è questo vivido ricordo che dà senso all’esistenza di chi abbiamo perduto - in un certo senso lo tiene in vita, accanto a noi e nel mondo.

Per quanto si sia capaci di empatia, più grande è un dolore, tanto più difficile è comprenderne, condividerne la profondità. Si deve ricorrere ad uno dei propri per avvicinarsi un poco - e mai basta, è davvero sufficiente.

L’orticello di casa propria non sta sulla luna, è sulla terra. Credere che non possa capitarci quello che succede agli altri, è da idioti.

15 Ottobre 2010

Ho appena finito di vedere l'ultima puntata di "Annozero" e alla fine, tutti in piedi, cantando “La Libertà” di Giorgio Gaber, mi sono commossa sino alle lacrime. Eh, la vecchiaia è proprio una brutta bestia...

Ho visto Giorgio Gaber dal vivo una sola volta, a Lucca, al Cinema Moderno. Non ricordo che anno era, ma ricordo perfettamente quel che accadde: come intonò le prime note di "Io se fossi Dio" (nella versione originale, non censurata) tutta la platea si alzò in piedi, metà se ne andò, l'altra metà cominciò ad applaudire e smise solo alla fine della canzone. Ero una ragazzina e francamente capivo e sapevo poco di molte cose, ma quell'esperienza (insieme ad altre) mi ha fatto comprendere che il mondo non era come ce lo avevano insegnato.

Chi non ha amore e rispetto per gli animali, non può averne nemmeno per gli esseri umani.

16 Ottobre 2010 - Su Sarah Scazzi...

Pochezza. Pochezza emotiva, di risorse interiori, di conoscenza, consapevolezza. Nessun valore, niente sogni, speranze, aspirazioni. Questa gente si fa il segno della croce, va in chiesa e forse vota, pensa di sapere tutto, ma in realtà non sa nulla e niente di più vuole sapere. Non sa cos'è l'amore, cos'è il rispetto, cos'è la bellezza - non conosce i sinonimi, non conosce i contrari. Queste persone guardano la Tv dalla mattina alla sera ma non capiscono un accidente di ciò che li circonda. E se non sono capaci di comprendere quello che vedono, come possono avere interesse, empatia per il resto? Hanno belle macchine, belle case, bei cellulari, bei computer, bei vestiti - poi uccidono una bambina, un giorno d'estate, in una cantina buia e fredda, così, per tapparle la bocca, perché non possa dire al mondo e a loro stessi che suo zio è un maiale e sua cugina una stronza. Solo per questa ragione uccidono e forse sperano che ciò basti a salvarli, a cancellare l'offesa di sapersi inutili, insulsi e mostruosi. Ma la vita non è un Reality Show. Ora, almeno questo, dovranno impararlo.

29 Ottobre 2010

Oltre il 70% degli italiani non comprende i concetti più semplici, figuriamoci quelli più complicati. Di questi, il 5% è completamente analfabeta, il 33%, pur avendo conseguito titoli di studio (dalla licenza media alla laurea) non è capace di capire un articolo di giornale o le istruzioni d'uso di un qualsiasi manuale, né può utilizzare il linguaggio scritto per ricevere o formulare messaggi relativamente facili in forma decorosa (si chiama analfabetismo funzionale o anche illetteratismo), e un altro 33% sta progressivamente perdendo le competenze culturali, linguistiche e logiche, debolmente apprese in età scolare (analfabetismo professionale o di ritorno). Insomma, tramonta l'era dell'Homo Sapiens rapidamente soppiantato da altre e più devastanti specie: l’Homo Stupidus Stupidus, l'Homo Zappiens ed un omologo di entrambi, il tremendo Homo Videns - colui che sa (nulla o poco e male) soltanto di quello che crede di vedere.

Per chi non lo sapesse o sottovalutasse la forza evocativa ed etimologica delle parole: il "Bunga Bunga" è la pratica adottata in Africa per punire la violazione del territorio sottoponendo ad un brutale stupro anale di gruppo. Interessante e significativo che si definiscano in questo modo i festini del Premier. E mentre lui fa il “Bunga Bunga”, il 70% degli italiani (uomini e donne) rosica. Dio, come siamo messi male...

30 Ottobre 2010

L'indifferenza è il disprezzo espresso senza assunzione di responsabilità.

Sì, talvolta basta veramente poco: basta vincere la pigrizia, certi automatismi davanti agli scaffali del supermercato - e della vita. In poche parole: basta collegare il cervello. Ma per accenderlo (il cervello) ci vogliono buoni motivi e senso di responsabilità, non tanto verso noi stessi, quanto, piuttosto, verso gli altri. Generosità. Che bella parola.

3 Novembre 2010 - Sull'articolo di Franco Berardi "Bifo", "TUTTI DEVONO SAPERE CHE FB E’ UNA TRAPPOLA"...

Facebook è una trappola. Vero, ma nessuno, o pochissimi, sono/sarebbero disposti a rinunciarvi. Matrix. Oltre, ormai, c'è solo una guerra che nessun essere umano disconnesso dalla rete può combattere. Combattere per combattere. Non può esservi vittoria. L'alternativa è servire il padrone, lietamente evaporare realizzandosi in lui. Così non va bene. Mi consolo nella certezza che la terra, prima o poi, si riprenderà il maltolto.

Senza vento, fango
Una sola, almeno, zitta - nera
Magma-ghiaccio
Brodo-caos
Indietro
Buco nulla
Notte tempo.

Chiudere gli occhi
...E finalmente dormire.

4 Novembre 2010

Con il finanziamento alla scuola privata, in realtà non si vogliono favorire le famiglie benestanti (mica hanno bisogno di favori, loro), ma solo quegli enti (religiosi o laici è indifferente) che senza i soldi dello Stato non esisterebbero. La scuola pubblica non porta clientele significative e le privatizzazioni servono proprio a creare le condizioni affinché il "sistema" dei favori, dei ricatti e delle corruttele si generalizzi, con poche, insignificanti eccezioni.

Magari potessimo fregarcene degli altri, ma essi non vivono su un altro pianeta, il loro miserabile orticello confina con il nostro e sono lì, feroci, ingordi, con il coltello tra i denti, pronti ad allargarsi ad ogni nostra minima distrazione, indifferenza. Pochi centimetri all'anno, ma guardate dopo appena due decenni che disastro! Tra un po' non avremo più nemmeno il posto per una sedia a sdraio - e, prima o poi, si prenderanno anche il resto. Il problema è che siamo numericamente e culturalmente ininfluenti. Carne da macello - sacrificabile. Sin tanto che ci sarà questo squilibrio in favore di una larga maggioranza di privilegiati (non m’interessa stabilire il peso specifico di ciascun privilegio, ognuno ha i propri e tutti, anche i più ingiusti, stupidi, veniali e distruttivi, sono irrinunciabili per chi li possiede), nulla cambierà. In queste condizioni, qualsiasi reazione potrà essere facilmente repressa, nascosta, con la complicità e il consenso di coloro i quali hanno qualcosa da difendere o conquistare, foss’anche solo una promessa, una speranza, un’illusione.

Non mi faccio illusioni e non le voglio. Non sarò tra quelli che vendono persino gli amici per una speranza o una promessa. Morirò, forse, per questo - forse mai avrò diritto ad essere riconosciuta per il mio valore, la mia consapevolezza e la mia integrità. Di certo non mi serve a niente averne e di certo, averne, non sposta di un millimetro l'ago della bilancia. Combatto e combatterò finché avrò fiato semplicemente perché non voglio stare tra quelli che non lo fanno o fingono di farlo. E' una stupida questione di principio, personale.

La terra se la caverà benissimo senza il genere umano - quel giorno tutto tornerà a posto, sarà perfetto. Ecco un pensiero che mi rende felice.

La parola “combattere” evoca scenari di guerra civile o militare, tra condottieri e moltitudini altisonanti. Ma combattere, oggi, non ha nulla di romantico o eroico - è cosa modesta e silenziosa che si fa non visti, in solitudine e disarmati. E’ saper dire “no” specialmente se non conviene - a se stessi. E’ anteporre i principi, l’equità e il rispetto agli interessi personali o di casta. E’ incessante ricerca. E’ irrinunciabile bisogno di conoscenza, integrità e giustizia. E’ difendere la libertà e l’autodeterminazione anche a costo del più totale isolamento e disconoscimento. Questo combattere non è per servi, padroni e mercenari - e a questi ignoti combattenti, nessuno erigerà mai un monumento.

5 Novembre 2010

L’intera storia dell’umanità è ciclica: massimo splendore, rovinosa caduta e poi ancora risalire e precipitare. Più d’una volta siamo stati sul punto di estinguerci ed ogni volta abbiamo dovuto ricominciare tutto daccapo perché ogni volta abbiamo perso la memoria di noi stessi. Ma ora è diverso. Siamo troppi e troppo scellerati. La nostra specie non è più un pericolo solo per sé, oggi ha i mezzi che non ha mai avuto prima per fare tabula rasa. Il genere umano ha dato ampia dimostrazione di non essere in grado di trovare un punto di equilibrio tra la propria esistenza e ciò che la circonda, non è nemmeno stata in grado di sopportare se stessa ed operare per la propria sopravvivenza in modo sensato. Non è capace di lungimiranza ed ha molti altri ponderosi, irreparabili difetti che sarebbe inutile elencare. Naturalmente, ogni specie è fatta di tanti individui e tra questi ve ne sono di generosi, onesti, intelligenti, saggi, sapienti, evoluti e meritevoli - ma sono una piccolissima, insignificante minoranza. A questi dobbiamo le pagine più belle della nostra avventura terrena, le più onorevoli ed emozionanti, tuttavia, il genere umano nella sua totalità - o almeno la maggior parte di esso - non ne ha tratto insegnamento, nella sostanza non è affatto mutato, non è diventato migliore, non ha cambiato opinioni, atteggiamenti e strategie. Come al solito ha perseverato nel male e nell’auto/distruzione.

Io penso che siamo ad un punto di svolta, cruciale e definitivo: indietro non si torna e andare avanti, in questo modo, non ha e non può avere alcuna ricaduta positiva.

Sono stanca della sofferenza, dell’ingiustizia, della stupidità, della violenza che gli esseri umani sono determinati ad infliggere a loro stessi e ad ogni altra forma di vita - e siccome so che niente di tutto questo può essere evitato o governato, per spezzare la catena non vedo altra soluzione che l’estinzione.

Che la terra possa, almeno lei, sopravviverci e ritrovare la pace che noi non abbiamo voluto, né compreso.

Nessuno sentirà la nostra mancanza.

9 Novembre 2010

Vorrei che ogni essere vivente avesse una ciotola di cibo sempre disponibile ed acqua in abbondanza, giacigli asciutti, caldi e puliti, amici premurosi che accompagnano dal dottore e non fanno sentire soli. Vorrei che ogni essere vivente avesse la possibilità di dimostrarci quanto la vita può essere armoniosa, sorprendete, e quanto, nella generosità e nell’empatia, non possano esservi nemici, creature pericolose, odiose o fastidiose da allontanare, abbandonare, lasciar morire. Vorrei che non vi fossero più cani, gatti ed esseri umani appesi in bacheca, assediati sulle gru, rinchiusi in gabbie e scatole di cartone, buttati nei cassonetti, ficcati sotto il tappeto come la polvere che non vogliamo vedere, mostrare, lontano dagli occhi obnubilati delle nostre cattive coscienze. Vorrei svegliarmi una mattina e finalmente scoprire di aver fatto solo un brutto sogno. Vorrei che ogni creatura potesse vivere almeno gli ultimi anni della sua vita dignitosamente, protetta, amata, rispettata. Lo vorrei per lei ma, soprattutto, per me stessa - perché non può esservi benessere e giustizia per nessuno dove non vi è riguardo e accoglienza verso qualunque forma di vita, foss’anche incarnata in un cane, un gatto, un vagabondo o un extracomunitario senza permesso di soggiorno.

Ho appena finito di vedere il discorso di Fini a Bastia Umbra... Memoria corta (sulle proprie responsabilità) e chiacchiere - in insopportabile sovrabbondanza. Ma chi vuole prendere in giro? Certe posizioni (difesa della laicità, omosessualità, coppie di fatto, diritto di cittadinanza, ecc.) sono oggettivamente inconciliabili con le opinioni di una parte consistente dei suoi fedelissimi, di una bella fetta dei suoi potenziali elettori e di tutti i suoi futuri, possibili alleati, UDC in testa. Approfittare di lui è l’unica chance che ha il centro-sinistra per contribuire (senza meriti di rilievo) alla caduta di Berlusconi, ma poi? Al voto, va bene... ma poi? L'ho detto recentemente e lo ribadisco: in queste condizioni, Berlusconi, il berlusconismo e, all'apposto?, una concezione concordataria, confessionale o teocratica dello stato, sono insuperabili.

Scoprire, attraverso l'obiettivo, cose che altrimenti sfuggirebbero - e benevolmente catturarle, per ripensarle e regalarne l’essenza, la magia.

Tutti abbiamo sempre qualcosa da imparare. E' questo che rende la vita un'esperienza interessante.

10 Novembre 2010

Gli ultimi sondaggi Ipsos per Ballarò, sebbene non includano dati relativi ai partiti minori, mi pare confermino l'evidenza: se si andasse al voto ora, il centro-destra (PdL 26,5% + Lega 11,6% = 38,1%) vincerebbe con almeno 7 punti di vantaggio sul centro-sinistra (PD 23,4% + IdV 7,6% = 31,0%).  7 punti, quelli di Vendola - perciò, se il centro-sinistra si alleasse con lui, sarebbe pareggio, ma il centro-destra può ancora ricorrere a Fini: un'alleanza con Futuro e Libertà (7,7%), lo riporterebbe in vantaggio. E l'UDC (5,8%) dove si collocherebbe? Di certo non con il PD alleato di Vendola e Di Pietro. E pure se si costituisse una vasta coalizione di centro allargata a forze che propriamente centriste non sono (Bersani e Fini, ad esempio, con Casini, Rutelli, Lombardo, Tabacci e chiunque sia disposto a turarsi il naso pur di vincere le elezioni), non si avrebbe una proposta politica attendibile, né, di conseguenza, una maggioranza sufficiente. Siamo alle solite, dunque: tutto cambia perché nulla cambi.

Non c'è dubbio che Berlusconi ben si adatti alle aspettative di un gran numero di elettori, la stessa cosa, anche se in misura minore, accade per Fini, Di Pietro, Grillo e Vendola. Nel PD il posto è vacante e non vedo candidati convincenti all'orizzonte. In quanto alla Lega... beh, è l'unico partito che non ha bisogno di un Leader carismatico per attirare consensi, i "padani" fanno quadrato intorno all'illusione del federalismo e al sogno della secessione, il resto conta poco. Io non credo che ci sia un problema di leadership (PD a parte), ma di ideologia, più precisamente di cultura. La gente, nonostante tutto, vota quello che i partiti incarnano, propongono, garantiscono. Da che parte stanno la maggioranza degli italiani è del tutto evidente - e lì starebbero, staranno, anche quando Berlusconi non ci sarà più.

Quante cose si capiscono dopo - troppo, troppo tempo dopo.

11 Novembre 2010

Berlusconi annuncia: “Per gli aiuti al Veneto il Governo stanzierà 300.000.000”... di lire.

Chi piscia fuori dal vaso non ha nessuna intenzione di centrarlo.

12 Novembre 2010

Non è possibile costituire un gruppo più o meno organizzato senza incaricare (direttamente o indirettamente) un numero ristretto di persone a rappresentarlo. Sempre manipoli malevoli operano per i propri interessi personali sfruttando una causa comune, sempre cercano di accaparrarsi il potere, agiscono con l’intento di condizionare aspettative e istanze a proprio vantaggio, e alla fine sempre deteriorano anche le esperienze migliori rimanendovi da soli, sostenuti da un piccolo numero di accoliti in buona o cattiva fede. Le organizzazioni associative strutturate, che si dotano di statuti, regole condivise anche elettive, meccanismi ed organi di controllo, hanno alcuni strumenti per cercare di contenere o almeno governare questo fenomeno. I movimenti più o meno spontanei, per loro stessa natura, no. Va da sé che se non si è disposti a partecipare attivamente alla vita associativa - assumendosi in proprio responsabilità ed oneri, soprattutto concorrendo a ricoprirne le cariche che devono essere elettive, concordate e condivise, determinate secondo modalità ben definite e regolamentate -, poi non ci si possa lamentare. E’ altresì vero, che in assenza di tali meccanismi, non può esservi controllo, trasparenza, democrazia ed equità. Perciò, se il cosiddetto “Popolo viola” vuole proseguire il suo cammino, dovrà potenziare e proteggere se stesso costituendosi in un’organizzazione legalmente riconosciuta - con tutto quello che comporta anche in termini di perdita di popolarità, spontaneismo, ecc.

E piove. Piovono stronzate. Piovono minacce e manganellate. Il governo, la politica, le istituzioni, vogliono lo scontro - per identificare, pesare, contare, dividere e isolare. Poi, tutti a casa, davanti alla TV - aspettando che altri si facciano spaccare la testa al posto nostro.

Che scoramento mi prende in certi momenti e, per quanti sforzi compia, nulla mi rincuora o rassicura, allontana da me la certezza che abbiamo imboccato una strada senza ritorno. Vi sono e sempre di più vi saranno affinità con la storia che circa Settanta anni fa ci ha resi immondi. Tali eravamo e tali, nella sostanza, siamo rimasti - altrimenti non mi spiego questa deriva, questo imbarbarimento, questa degenerazione. Il berlusconismo si è affermato perché, semplicemente, la maggioranza di noi non aspettava altro per poter finalmente esprimere se stessa e prendersi una rivincita. Gli anni Sessanta e Settanta, nel nostro paese, sono stati un fuoco di paglia, l’esalazione gassosa delle putrescenti, cattive coscienze dei nostri padri. Chi, riferendosi a quegli anni, parla di guerra civile, rivoluzione, mente - e lo fa sapendo quantomeno di esagerare. Ora non possiamo far altro che vigilare stando pronti: arriverà, è certo, il tempo delle scelte importanti, quelle cambiano la vita e la storia. Sapremo non tirarci indietro? Non lo so, ma lo spero.

2 Dicembre 2010 - “SATIRA E PUBBLICITÀ SESSISTE, MISOGINE, RAZZISTE E OMOFOBE”, in riferimento alla meritevole “Iniziativa contro le pubblicità sessiste, misogine o omofobe”, che tante polemiche sta suscitando (vedi la nota di Marino Buzzi), e alla conseguente nascita del “Gruppo contro le pubblicità sessiste, misogine, razziste e omofobe”...

E' sempre doloroso essere attaccati quando si sostengono opinioni ed iniziative giuste, argomentando in modo civile e sensato. Non ci si fa mai l'abitudine. E tuttavia, più le reazioni sono scomposte e rabbiose, più si ha la prova che abbiamo colto nel segno, non ci sbagliamo. E' successo anche a me, nei giorni scorsi, in piccolo, quando, di fronte ad un brutto montaggio fotografico che ritraeva Mara Carfagna apparentemente impalata in un improbabile stanzino delle scope a Palazzo Grazioli (autore tale The Razz, vedi l'immagine), ho protestato ed ho invitato i miei "amici" di Facebook a riflettere sul loro, per me sconcertante e inaccettabile, divertimento.

Come si può immaginare, la levata di scudi è stata immediata. Quello era davvero lo stanzino delle scope di Palazzo Grazioli (???) e Mara Carfagna non era impalata, era la scopa! Anche se l’intenzione dell’umorista fosse stata davvero di fare assomigliare la Carfagna ad una scopa, l’immagine suggeriva altro e, in ogni caso, poteva essere facilmente fraintesa, ma la questione è un’altra: abbiamo interiorizzato la cultura dello stupro a tal punto che, invece di inorridire di fronte ad una vignetta che richiama (volutamente o meno) un abuso sessuale, non ce ne accorgiamo, ci spanciamo dalle risate, vorremmo noi stessi partecipare e, di fatto, partecipiamo - con l’assenso plateale o sotteso, incitando, minimizzando, plaudendo o giustificando, non l’ironia, ma la violenza che essa invoca, evoca.

“A volte pecchiamo di leggerezza e forse, in taluni casi, è necessario farlo, ma rispetto a certi temi (tra cui lo stupro contro chiunque e in qualunque modo sia inflitto) dovremmo stare più attenti. Non c'è nulla di terapeutico, nulla di cui ridere nel messaggio (monito) intrinseco che simili immagini (parole, concetti) trasmettono, veicolano - sdoganano. Il fatto che la maggior parte delle persone non si renda minimamente conto della loro portata, dimostra quanto profondamente hanno interiorizzato la cultura dello stupro, quanto la abbiano fatta propria, si riconoscano in essa e la condividano. Lo stupro è umiliazione inguaribile, sopraffazione onnicomprensiva, è rivendicazione, dimostrazione di superiorità, esercizio di potere e controllo, è annichilamento, annientamento dell’identità dell’altro/a. E’ un'eventualità praticabile, possibile, tutto sommato sopportabile, accettabile. Talvolta lo stupro è inevitabile e giusto - ammissibile, almeno. Non lo diciamo, non sta scritto in nessun posto - ma lo pensiamo. Quando l’abuso sessuale è pratica largamente diffusa soprattutto in ambiente familiare e amicale, si esprime anche attraverso le immagini e il linguaggio comune, quando, nell’immaginario collettivo, le vittime sono di fatto responsabili dei torti subiti - non siamo più di fronte a forme incoerenti e accidentali di ferocia e coercizione, ma ad una vera e propria cultura che le genera, incentiva e legittima.

Dovremmo, perciò, stupirci se un branco di giovanotti ficca il tubo di un compressore nell'ano di un coetaneo e gli sfonda l’intestino cercando di gonfialo come un pallone? Una "ragazzata". Un'umiliante punizione contro chi si ribella, non è, non si comporta come vorremmo. Mica si muore, no? Se ti capita vuol dire che  te lo sei cercato - no? E se alla Carfagna ficcassero davvero nel culo un bastone, magari chiodato, come facevano i nazisti con i froci, non sarebbe una bella e spassosa soddisfazione?

Neanche per scherzo dovremmo dirlo, pensarlo, augurarlo.

Ieri si celebrava la giornata contro la violenza alle donne.

Accendiamo il cervello, di tanto in tanto. Male non fa.”

Uno spunto di riflessione. Ognuno tragga le conclusioni che vuole.

 

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