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Aggiornato Lunedì 07-Gen-2013

 

 

16 Gennaio 2007

È bello l’amore, tanto bello quanto pericoloso” – no, pericoloso è non amare. Non saperlo/volerlo fare. L’anima se ne va alla deriva, tra le secche – e vi rimane incagliata, talvolta senza più riuscire a liberarsi. Ma ad amare, ad esprimere, conoscere, capire l’amore, s’impara – giorno dopo giorno. S’impara a non averne timore e, soprattutto, s’impara a dare valore alle persone, ad averne rispetto – a prescindere da noi stessi, dalle nostre convinzioni e necessità. Sono cose, queste, che hanno a che fare con il grado di consapevolezza/conoscenza (di sé, degli altri, della storia), con l’educazione e, in senso più esteso, con la cultura.

Una società che educa alle disparità, all’ignoranza, al silenzio, alla dissimulazione e al nascondimento, all’irrisione e all’indifferenza, alla paura dei sentimenti, del coraggio, dell’onestà e della fantasia, al disprezzo delle differenze, che determina il valore dei suoi membri in proporzione alla quantità di potere che hanno ottenuto e possono esercitare, che li giudica per come appaiono, per quello che possiedono e non per quello che sono, è una società che si condanna all’infelicità, all’ingiustizia, alla violenza e all’autodistruzione. Così gli uomini e le donne che la compongono, che la rendono tale, che ne stabiliscono, ne accettano i limiti, le regole, dimenticando, fingendo d’ignorare o non sapendo di esserne l’ossatura, gli artefici, in prima persona, ognuno con la propria parte di responsabilità. Quando quegli uomini e quelle donne puntano il dito contro un loro simile, contro la famiglia, la scuola, la società – accusano se stessi. Nondimeno, ne sono realmente vittime.

Intorno a noi orde di balbuzienti, analfabeti dei sentimenti, armate claudicanti perciò ancor più feroci ed arroganti. E le persone? Dove sono le persone? Là in mezzo, naturalmente - confuse, spaventate, impegnate a non farsi domande, a non avere dubbi, a non cercare risposte, perché questo le renderebbe distinguibili, inadeguate, vulnerabili. D’altronde, ognuno ha imparato a proprie spese che si ha diritto ad essere accettati solo se conformi, che se ci si fa scudo degli altri si hanno meno probabilità di soccombere, che il bottino si spartisce tra camerati, vivi... soltanto i pazzi vi rinunciano, e chiunque lo sia è una minaccia, il malato da curare o il nemico da combattere, isolare ed eliminare.

In una cultura come questa può esservi spazio per le libertà individuali che comprendono il rispetto, la tutela e la valorizzazione dell’altro, l’autoderminazione, la pluralità, il diritto alla conoscenza e all’uguaglianza, ad avere ed esprimere senza subire punizioni, ritorsioni, proprie opinioni e aspirazioni, propri modi di essere e amare ancorché minoritari? Sì, ovviamente, ma non è vero – è puro illusionismo. Né chi stabilisce i limiti e le regole di questa cultura, chi vi si adegua e riconosce, potrà mai davvero accettare e trasmettere valori diversi dai propri.

Ciò che avviene nei rapporti interpersonali, anche nelle relazioni impropriamente definite “affettive”, non è che una proiezione (in piccolo), lo specchio e una conseguenza di questo oscurantismo, di questa (in)civiltà materialista, prevaricatrice, intollerante, discriminatoria, oppressiva e repressiva che, forse per poterla sopportare, millantiamo essere la migliore possibile, in cui si predica bene ma si pratica malissimo – perché non vada in pezzi annullando in un colpo tutti i privilegi, gli equilibri che la tengono in piedi sostanzialmente identica a se stessa da milioni di anni. Se crollasse si creerebbe un vuoto che altri riempirebbero, a modo loro. Spaventoso è l’ignoto, ma ancor più spaventosa è la prospettiva di perdere il possesso, il potere, il controllo, le false certezze su cui abbiamo edificato la nostra identità, su cui pretendiamo di modellare ogni esistenza affinché ci somigli e soddisfi. Ecco perché rimaniamo ostinatamente fermi sui nostri errori, orrori, perché ci ostiniamo a difenderli, reiterarli.

Non c’è amore – o ce n’è poco, qualche lacrimella appena, aspersa qua e là, spesso dove nessuno va a cercarla. Chi ha imparato ad amare, sa che l’amore è come certi fiori semplici: sboccia inatteso tra le pietraie e solo lì lo si può notare, apprezzare, senza coglierlo però, perché viva più a lungo, perché i suoi semi possano essere presi e portati dal vento in altre pietraie, in altri deserti, per il godimento raffinato di altri solitari camminatori.

22 Marzo 2007

Il “mondo omosessuale” non è solo quello che sguazza tra locali, associazioni, salottini pubblici e privati, ma, purtroppo, è solo questo che scende in piazza, si mostra e dà potere contrattuale a se stesso e a quei capoccioni che campano a sbaffo del contribuente/consumatore. Questa gente non la cambiamo, nemmeno sotto tortura, e l'altra è troppo impegnata a nascondersi, ad occuparsi dei cacchi propri per avere/trovare il tempo, la voglia e l'energia di ripensarsi, dire basta, agire. Siamo nella merda, sin sopra i capelli. Questa è la nuda e dura verità.

La reazione delirante di fronte ai Dico dei cattolici et simili, pure di centro-sinistra e non solo etero, non può stupire. E' una delle più gigantesche messe in scena che questo paese abbia mai visto. Ognuno, per motivi anche molto diversi, vi partecipa - batte la grancassa strafregandosene delle conseguenze, tanto a rimetterci non sarà lui...

I Dico sono una prospettiva scellerata, una proposta indecente, un patto con il diavolo, ma in fondo farebbero comodo, a tutti. Non lo si può dire, però, men che mai far vedere. I Dico, da qualunque punto di vista li si guardi e per qualunque ragione li si sostenga o condanni, sono un’arma potentissima e non convenzionale. Farebbero il gioco dei nostri capoccioni perché così potrebbero sventolare la bandiera della vittoria - di Pirro. Farebbero il gioco degli omofobi e dei fascisti i quali, grazie al più discriminante disegno legge della Repubblica Italiana, ci potrebbero finalmente, legittimamente prendere a calci. Sarebbero anche un precedente che permetterebbe agli uni e agli altri di inventarsi chissà quali altre nefandezze legislative - a nostro danno. Dico e Pacs sono, inoltre, la scusa che aspettavano per darci addosso, farci passare per quello che siamo: una massa eterogenea e inconcludente senza alcuna consapevolezza di noi stessi e del mondo nel quale ci illudiamo di vivere. Se i Dico non passassero significherebbe che abbiamo a che fare con una dirigenza politica ancor più stupida e incapace di quel che sembra. Se passassero... avremmo comunque la prova che sempre di cerebrolesi e criminali si tratta... si salvi chi può.

Ma c’è di più. I Dico contraddicono l’intenzione dissuasiva e discriminatoria che hanno perché implicitamente affermano (nonostante le acrobazie linguistiche e concettuali inventate per nasconderlo) che due persone dello stesso sesso possano persino volersi bene, vivere insieme, prestarsi cure reciproche come se ne fossero capaci, come se potessero deciderlo e farlo, come se fosse e fossero normali – fuori dagli schemi, dai dogmi e dalle regole prestabilite. Da qui potrebbe aver inizio una nuova spartizione del potere, la ridefinizione dei ruoli anche di genere allo stato attuale soprattutto subordinati alla moltiplicazione di quegli “ammortizzatori” sociali (le famiglie) entro cui gli individui sono confinati dalla nascita – perché gravino il meno possibile sul sistema economico, sul corpus sociale, in modo che li si possa controllare, tenere a bada, condizionare, costringere a far parte dell’ingranaggio produttivo sino al momento in cui non ne potranno più fare a meno riconoscendosi pienamente in esso, condividendolo ed eternandolo.

In questo senso, è vero, i Dico sono un grimaldello – rozzo e dannoso come un piede di porco, ma efficace quanto una fiamma ossidrica. Un salto nel vuoto. Ecco spiegata tanta trasversale contrarietà.

La storia umana è piena di piccole rivoluzioni silenziose, anche private, o grandi, epocali sconquassi. Il “diritto” può esserlo e gli esseri umani talvolta gli affidano il compito di fare cultura. Ma l'imposizione e la negazione del diritto, sono le due facce della stessa moneta con la quale la maggior parte degli uomini e delle donne si garantiscono il privilegio di starsene seduti senza far nulla, risparmiandosi la fatica di mettersi in discussione, di capire, imparare, crescere, modificarsi e modificare – per questo i diritti vanno e vengono, secondo le convenienze contingenti, per questo non si possono e non si devono considerare acquisiti, certi. Affidare ad una noma, ad una legge, il compito di fare cultura, equivale a non farla affatto o a fare l'esatto contrario creando nel cittadino schizofrenie, dicotomie, vuoti di memoria e tensioni profonde destinate ad esplodere o implodere. Un esempio: fino al 1945, l'Italia era monarchica e fascista, poi, all'improvviso, basta, finito. Tutto dimenticato, risolto. Risultato? Dopo 62 anni l'Italia è ancora fascista e monarchica, ma non lo sa, non capisce di esserlo, vota un po' qua e un po' là - secondo capriccio o convenienza, senza rendersi conto di cosa sta o non sta facendo. Quando non si fanno i conti con la propria storia e la propria cultura, non c'è legge, norma che possa modificare, incidere profondamente, definitivamente. Uno straccione è uno straccione anche se si è dato una ripulita e veste griffato. Così qualunque norma che implicitamente o esplicitamente riconosca l’omosessualità, seppur tentando di renderla per alcuni invivibile e per altri ancor più odiosa. Ma vai a spiegarglielo.

Ed ora la questione Reggio Emilia che merita qualche considerazione in più, fuori dai denti, al di là di tutto quello che ho già scritto nell’editoriale “Conoscere la realtà” e che è di pubblico dominio, basta avere la voglia di andarselo a leggere.

Ancora una volta rimango basita di fronte all’indifferenza di chi fa politica, cultura, informazione, soprattutto all’interno del “movimento” omosessuale, lesbico, femminista e transessuale. Mi raggela questa totale incapacità di mettersi in comunicazione, di cercare e accettare il confronto, collaborazioni, di guardare oltre l’inconsistenza, la vacuità dei propri argomenti e delle proprie miserabili necessità, oltre se stessi e i propri squallidi, insulsi referenti. Ciò che è altro, fuori dai propri confini e dalla propria rete di relazioni, connivenze e complicità, è fonte di disturbo, irritazione, o semplicemente non esiste.

Non esisto io. Non è mai esistito il seminario, il mio lavoro. Non esistono i dati che vi si possono ricavare né le conseguenze di essi. Chi se ne frega.

È accaduta una cosa importante. Ho portato dentro una scuola pubblica cose che sono a malapena bisbigliate dentro e fuori le protettive, esclusive quattro mura del ghetto. Un fatto straordinario, e non è l’unico dal 2003 ad oggi, non è nemmeno il più importante, grave o significativo! Cosa è accaduto? Nulla. Nulla di nulla. Non un commento, una domanda. Chiunque altro, simpatizzante o attivamente impegnato nel movimento, per molto meno o niente sarebbe chiamato a darne conto, potrebbe parlarne, cercare di dare un seguito costruttivo a questo piccolo miracolo. Chiunque altro, non io.

Un’amica mi ha suggerito di scrivere un articolo per “Liberazione”. A parte che c’è già, ma, le ho chiesto, lo pubblicherebbero? A quale scopo? A quale scopo dovrei io improvvisarmi giornalista dato che i giornalisti, anche di sinistra, ci sono già e sono pagati per dare informazioni? Perché dovrei chiedere loro di pubblicarmi? Per far parte, anch’io, almeno una volta, del teatrino di quelli che contano, di quelli che se la suonano e se la cantano? Per dire cose che i loro lettori conoscono già e di cui non gli importa un fico secco? Che possono civilmente continuare ad ignorare o sbeffeggiare, con le quali possono civilmente pulirsi il culo, trovarsi d’accordo o dissentire? Cosa cambierebbe? Sarei finalmente benaccetta? Degna di ascolto, partecipazione e protezione? Mi si chiederebbe, dopo, di continuare a parlare, raccontare, dare il mio contributo? Si aprirebbero quelle porte che adesso guardo da lontano, quando riesco a vederle, chiuse a doppia mandata, per me, le mie ragioni, la mia storia, ciò che do e potrei dare ancora di più se solo me lo permettessero?

Non sono allergica alle consorterie – so perfettamente che il grosso del lavoro andrebbe fatto lì e che senza la loro sponsorizzazione non si va da nessuna parte. Sono i partecipanti alla spartizione della torta che si rifiutano di far posto a chi non fa già parte dell’allegra brigata condividendone comportamenti e scopi. Se decidono di non farti entrare non c’è strepito, merito, talento, buona ragione o guadagno che tenga. E questa è un’altra nuda e dura verità.

Sto imparando a non aspettarmi niente persino da quelle persone che pur avendone le possibilità, pur stimandomi e apprezzandomi, si guardano bene dal darmi udienza, prendermi in considerazione. Non sia mai che voglia levargli qualcosa o non possa restituirgli il favore.

Che schifo.

5 Giugno 2007

Non andremo da nessuna parte se non la smetteremo di chiuderci in piccoli gruppi autoreferenziali. La conoscenza e la comprensione reciproca non si costruisce spiandosi dal buco della serratura.

8 Novembre 2007

Per l'ennesima volta mi hanno chiesto di portare la mia testimonianza in una trasmissione televisiva che voleva affrontare il tema della campagna contro l'omofobia promossa dalla Regione Toscana, dei diritti e dei problemi connessi all'omosessualità, della violenza. Anche avessi potuto non sarei andata perché parlare dei fatti del 18 Aprile senza contestualizzarli, non serve a niente. Parlarne contestualizzandoli richiederebbe approfondimenti che i tempi televisivi non permettono. Parlare di omo, lesbo e transfobia nelle forme più odiose e attuali, quando il pubblico è portato a credere che le persone omosessuali siano perfettamente inserite nel tessuto sociale, siano rispettate, riconosciute e tutelate addirittura più di altre, rischia di sembrare un modo per attrarre gli spettatori inventando "emergenze" che in realtà non ci sono, problemi che riguardano una minoranza sfigata anche statisticamente inutile, non rappresentativa. In queste condizioni, diventa difficile, se non impossibile, far capire al cittadino medio come stanno le cose. Il cittadino medio, etero ed omosessuale, accende la TV e ha la prova che i gay sono dappertutto, nessuno li tormenta, si accanisce contro di loro. Vivono bene, anzi, prosperano. Ridono e fanno ridere. Si divertono e fanno divertire. Siedono in parlamento, rilasciano interviste, recitano nei format e nelle fiction, sfilano, si mostrano spavaldi, orgogliosi - ostentano! Parlano di unioni civili e adozioni come se non avessero altri problemi, altro a cui pensare, di cui occuparsi. Sì, è difficile, quasi impossibile, far capire che QUELLA è la minoranza statisticamente inutile, non rappresentativa. Il cittadino medio non conosce personalmente omosessuali o non è in relazione diretta e stretta con essi. Di omosessuali e omosessualità sente parlare - poco e male. Pettegolezzi, dicerie, forzature o vere e proprie falsità giornalistiche, ideologiche, politiche, religiose, storiche. Magari ha amici, parenti, colleghi, conoscenti che forse sono omosessuali, oppure lo sono sicuramente ma se la passano bene, addirittura meglio di lui - e allora, dov'è la violenza? Lui e loro mica lo dicono cosa fanno in camera da letto, mica lo sbandierano: la vita privata è sacra. Si chiama "quieto vivere", "si fa ma non si dice" - ed è comodo per tutti che sia così. In quella sacralità, si consumano ordinarie tragedie quotidiane fatte di piccoli e grandi sopprusi, violenze, negazioni, offese e umiliazioni - chi ne è vittima, per primo tende a non percepirle come tali, o almeno tende a sottovalutarle. Sopporta, minimizza, poi, lieto va a chiudersi nel ghetto tra quelli che considera suoi simili: balla, fa sesso dove capita, con chi capita, cerca consolazioni e rassicurazioni televisive, cinematografiche - gli hanno insegnato come e cosa fare, ha imparato la lezione, sa che se starà alle regole sopravvivrà, vedrà sorgere un altro giorno.

Leggendo le mie considerazioni, non viene il sospetto che stia esagerando? Le parole "vittimismo" e "pessimismo" non girano nell'aria come mosche moleste? La mente non pensa immediatamente agli amici, a quei conoscenti omosessuali magari un po' eccentrici e superficiali ma abbastanza sereni, realizzati? Qualunque cosa si pensi, in qualunque modo appaiano, essi hanno in comune con ogni altro omosessuale esperienze che cominciano in famiglia alle prime avvisaglie di difformità e poi si ripetono ovunque, comunque, sottese o evidenti, andando a costituire quel bagaglio di piccoli e grandi sopprusi, negazioni, offese e umiliazioni che dovranno trascinarsi dietro per tutta la vita, spesso senza nemmeno rendersene conto. Un bagaglio con il quale gli eterosessuali non dovranno mai fare i conti, di cui, come avviene a molti, troppi omosessuali, non potranno mai capire sino in fondo il peso, il senso, le ragioni e le conseguenze che riguardano, colpiscono e coinvolgono non solo la singola persona, la vittima, ma anche l'intero corpus sociale. Una cancrena silenziosa e invisibile che condiziona, ammorba, stordisce, uccide. Amputare (rimuovere) è l'unico rimedio riconosciuto e accettato.

Questa è la realtà, la verità, la violenza - queste le responsabilità individuali e collettive, la CULTURA che giornalismo e politica non possono o non vogliono indagare, discutere e cambiare.

 

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