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Aggiornato Venerdì 21-Dic-2012

 

L’ho visto. L’ho trovato di una retorica, di una superficialità e di una scontatezza avvilente - un’ora e mezza di luoghi comuni a palate. Un’offensiva, generalizzata esemplificazione della realtà. Un’allegoria evidentemente destinata ad un’audience di semi-mentecatti. Tutte le maschere umane prese a modello per dire a questo popolo di “ottusangoli”, ammorbati dal catechismo “usa e getta” della nostra ipocrita cultura, quel che vogliono sentirsi dire: “se ti comporti male sarai punito, se ti comporti bene sarai premiato - ma non preoccuparti, questa è una favola, la vita per fortuna è un’altra cosa”...

Bella morale, non c’è che dire, frutto dell’italico cattolicesimo che istruisce alla tolleranza e poi, di fronte al diverso, istiga alla discriminazione, consente l’uso di due pesi e due misure, dice “siamo tutti fratelli ma c’è differenza fra quelli buoni e quelli cattivi” (quelli buoni si sposano, fanno figli biologici, hanno diritto ad una casa, possono scambiarsi effusioni per strada, possono prendersi cura dei loro compagni malati e via dicendo - quelli cattivi no).

Ne “Il bello delle donne” c’è il plagio (“Cuori nel deserto” nella scena delle due che fanno shopping, ad esempio) e c’è persino il lieto fine (che non ci fa dispiacere, dopo tanto sangue e sofferenze cinematografiche). Insomma, un’improbabile pizza quattro stagioni piena zeppa di tutto quello che poteva umanamente starci: da guinnes dei primati.

Le protagoniste sono brave e carine, le scene riservate al loro menage, delicate. Nulla che possa disturbare o offendere davvero - se l’obiettivo degli autori era farsi guardare senza scandalizzare e scontentare troppo, è stato centrato in pieno.

C. Ricci

 

 

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