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Aggiornato Venerdì 21-Dic-2012

 

A frequentare un po’ l’ambiente cosiddetto "gaio", si ha l’impressione che tutto si sia ridotto ad una questione di dominio, gestione, uso e sfruttamento degli spazi ludico/commerciali GLBT*. Anche il Gay Pride è diventato una vetrina fine a se stessa, qualcosa da difendere e separare dalla realtà - un evento che assomiglia sempre di più ad uno show destinato a chi ne fa parte, sempre meno rappresentativo, utile. Ormai non vi è confronto né interesse verso i temi politici, culturali ed etici che dovrebbero vederci impegnati, in prima linea, concretamente. Questi sono finiti a fare da sfondo, sono divenuti una copertura per chi lucra e chi non vuole altro che essere lasciato in pace, continuare ad avere l’illusione di aver finalmente varcato il cono d’ombra, di non rischiare niente, di essere bene o male benaccetto. Nessuno vuol sapere, vedere quello sta succedendo veramente. Un bar, una discoteca, i Gay & Friends Village non solo marinareschi, sono oasi per privilegiati, la prova di una normalizzazione che non c’è, sono aree di esibizione-affermazione-appartenenza-beccaggio da difendere con le unghie e con i denti, guai a chi le tocca e a chi le mette in discussione, dentro e fuori la comunità GLBT* - sono un tappeto nemmeno grande sotto il quale troppi si affannano a nascondere spazzatura e fantasmi. Chi crea questi luoghi senza scocciare con la politica e la cultura (robaccia noiosa per gente “out” o, peggio, di sinistra), o ne propone le briciole perché a qualcuno che le produce serve, va sostenuto, piaccia o meno quel che fa. E costruiamo monumenti al disimpegno, al qualunquismo e all’individualismo – ma ci sono alternative?

I gay e le lesbiche, eccezioni a parte, non si sono mai distinti per coraggio, apertura, partecipazione attiva e sensibilità – nel sociale, in politica, ovunque oltre se stessi, l’autoreferenzialità, gli interessi personali e di categoria. Alcuni protagonisti del baraccone mass-mediatico pseudo cultural-politico, dello star-system imprenditorial-turistico LGBT*, fra cui alcuni leaders del movimento (in odore di conflitto d'interessi e questo non è solo un argomento da salotto, perlopiù bisbigliato com’è nelle abitudini di chi i salotti li frequenta per diletto o necessità, è una realtà che condiziona pesantemente, esclude o appiattisce il dibattito politico là dove il problema si verifica), uomini di spettacolo, certi giornalisti, scrittori, studiosi e pensatori (non si offendano quelli che lo sono con merito) hanno trovato terreno incolto e fertile dove costruire la loro piccola lobbie, hanno trovato un target facile e senziente. Dare e avere – almeno c’è reciprocità. Ce n’è meno, o non ce n’è per nulla, negli ambienti dove si grida allo scandalo e ci s’indigna di fronte a tutto questo. Può non piacere, ma chi critica farebbe meglio ad interrogarsi sulle proprie responsabilità. Cosa hanno fatto gli intellettuali e i leaders della miriade di associazioni, enti, circoli, gruppuzzoli, gay, lesbici, lesbofemministi, femministi e chi più ne ha più ne metta, per garantire un dialogo reale all’interno e con l’esterno della comunità GLBT*, alternanza e democrazia, per incoraggiare interazione, una partecipazione che non si limitasse alla manovalanza spicciola, acritica e asservita, per promuovere un dibattito che si aprisse su temi più generali e quindi più condivisibili, accessibili? Glien’è mai importato davvero, al di là delle parole, nemmeno belle, con le quali si riempiono la bocca? No, altrimenti al posto di tante inutili maschere che niente dicono e niente hanno da dire, adesso ci sarebbero persone capaci di empatia, di battersi come leoni per chiunque, non solo per se stesse, per i propri interessi personali e quelli degli amici. Perché, vedete, là fuori – fuori dal ghetto, dalle consorterie, i salottini, le élite – c’è tanto, tanto di più, ma non conviene dargli la parola. Chi ha acquisito potere, prestigio, privilegi, notorietà, chi vi trae guadagno, non è disposto a mollare l’osso, a far spazio. È disdicevole, controproducente, ma… questo è, e questi sono coloro i quali ci rappresentano, con diritto, perché eletti, scelti da pochi fra i pochi che possono permettersi di metterci la faccia, e non solo quella.

Tuttavia eviterei di contrapporre i luoghi dove si consuma il divertimento fine a se stesso, dove l’indifferenza, l’ignoranza, gli integralismi e la etero/omo/lesbo/transfobia alligna come un cancro, e la provincia dove quello stesso cancro produce le violenze attraverso le quali si tenta di ridurre al silenzio i pochi che ci mettono la faccia pur non potendoselo permettere perché privi di coperture, legittimazione. Suona proprio male - e male fa. Fa male perché ad usare così le disgrazie, chi quelle disgrazie le vive, si sente messo spalle al muro, chiuso in un angolo, costretto a prendere posizione, ad entrare a far parte di una tifoseria – ma non ci si guadagna nulla e, che se ne resti fuori o se ne accettino le regole, si finisce per farne le spese, invariabilmente.

Lo so, lo spero, lo credo - criticare serve, ma la critica da sola è inutile se non c'è volontà di cambiamento, proposività e consapevolezza, se non si è disposti a sporcarci le mani, a guardare in faccia la realtà. Accanto agli episodi drammatici di discriminazione e violenza subiti dagli attivisti impegnati nel movimento gay, dobbiamo imparare a mettere quelli subiti da tutte le persone che erano sole e isolate e sole sono state lasciate – e non sono soltanto i gay e le lesbiche visibili senza amici importanti, pronti a difenderli per convenienza e/o sincera indignazione. Ci sono extracomunitari, zingari, ebrei, mussulmani, prostitute, transessuali, handicappati, negri, venditori ambulanti, donne non necessariamente femministe, oppositori politici, persone impegnate a fare quello che i più giudicano utopistico e anacronistico, che gli procura tanto fastidio perché li mette di fronte alla propria indifferenza, alle proprie responsabilità: politiche, morali, culturali, sociali. Esattamente come sessanta/settanta anni fa – anzi, peggio, perché la storia la conosciamo non solo per averla studiata, ma per averla subita. 6.000.000 di ebrei hanno perso la vita, ma delle altre 5.000.000 di vittime cosa ne è stato? Che ne sarà di noi se non capiremo che non si possono usare due pesi e due misure, se non saremo capaci di uscire dal ghetto, se non impareremo a dialogare con il mondo là fuori, a guardare con i suoi occhi, creare alleanze vere, forti, per affermare la cultura del rispetto e del diritto, per difendere la democrazia, la libertà di espressione, orientamento e identità, per contrastare, impedire quello che sta avvenendo e ci coinvolge, offende, minaccia tutti?

Ritengo che sia giunto il momento di fare un discorso più ampio sulla violenza come conseguenza di un mancato progresso culturale, sui diritti e le libertà negate e quelle a rischio, sulla necessità d’introdurre normative specifiche che difendano e tutelino tutte le minoranze, non solo la nostra, sulla omo/lesbo/transfobia etero e omosessuale, sul superamento dei condizionamenti sessisti e separatisti, sull’assenza o il fallimento delle politiche GLBT* e sulle perverse dinamiche che ammorbano le nostre associazioni paralizzandole, facendole avvitare su stesse. No, la guerra fra “poveri” non finirà, ma non è fra quelli che ha senso stare. Un’alternativa è possibile, occorre costruirla, lavorare in questa direzione. Occorre uscire dal ghetto, abbattere i muri, gli steccati, servono sinergie, alleanze con chiunque sia disposto a confrontarsi, ad agire al di là dei personalismi e degli interessi corporativi. Chi non sa o non vuole farlo, stia pure al palo. Non possiamo più sprecare tempo ed energie. Niente cambierà se non cambieremo noi per primi, se per primi non ci faremo promotori di un modo nuovo, realmente aperto e partecipato di porci, dialogare e fare.

Lo so, su questi argomenti vi è una sostanziale e generale chiusura se non proprio ostilità, poco spazio per poterli promuovere e spesso ancor meno attenzione, interesse, specie se non si fa parte dell’entourage di qualche ottuso/a capoccione/a. Non dappertutto è così, ma dove questo problema c’è, si crea un vuoto… va riempito. Dovremmo avvicinare le persone che quel vuoto lo sentono e talvolta lo subiscono, metterle in contatto fra loro, unirle sui temi più sottovalutati o del tutto ignorati, anche da chi ne fa le spese, far circolare idee, informazioni, elaborazioni, esperienze, costruire una rete attraverso la quale tutto questo fluisca, dall’interno verso l’esterno, dall’esterno verso l’interno, sino al giorno in cui non vi saranno più confini e porte da varcare, muri da abbattere. Creare e mettere a disposizione un luogo fisico e ideale, riempirlo di contenuti, per l’azione. Il potenziale umano e intellettuale non manca, è uno spreco enorme con ricadute negativissime trascurarlo, non far niente per trarne il buono che ha. Qualunque mezzo va bene per non rimanere isolati, perciò inesistenti, ininfluenti, senza diritti, opportunità. È esattamente questo quello che vuole il sistema, dentro e fuori la comunità LGBT*, ed è esattamente quello contro cui credo occorra battersi.

C. Ricci

 

 

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