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Aggiornato Venerdì 21-Dic-2012

 

Pareva un puntino bianco, là, in fondo alla piazza. La mamma di Paolo si volta, alza la mano e regala un lungo saluto mentre l’applauso non smette, si fa ancora più intenso fra sguardi attoniti, pieni di lacrime: un unico fiato, sospeso… Centinaia di persone hanno gridato così, così hanno pianto martedì 19 Luglio, alla fiaccolata organizzata a Roma per ricordare Paolo Seganti, torturato e trucidato da un branco di criminali legittimati da questo Papa, da questo governo, questo paese, ammazzato come un cane perché omosessuale – e per un attimo, uno soltanto, la stupidità e l’indifferenza hanno smesso di esistere. Subito dopo la folla si è allontanata, silenziosa, composta, e chiunque avesse cercato sui volti una risposta non vi avrebbe letto che smarrimento, impotenza. Rabbia (quella vera che unisce al di sopra delle parti e trasforma la paura in coraggio, lucidità) no, non ancora. I tempi di una Stonewall Italiana sono ancora lontani, temo.

Con Paolo non se ne è andata solo una persona conosciuta o sconosciuta, con lui evapora l’illusione che certe cose capitano solo a chi, in fondo, un po’ se le cerca, a chi non sta dalla parte giusta, nel modo giusto, fra le persone giuste, con i giusti mezzi per garantirsi il giusto grado di visibilità, riconoscimento, libertà. Con lui se va definitivamente la certezza del diritto e, lasciatemelo dire, del privilegio. Paolo non era un marchettaro a caccia di sesso nel parco, non aveva sordidi conti in sospeso (come se ciò potesse giustificare un omicidio). Paolo era un bravo ragazzo, un ragazzo normale senza grilli per la testa, credente in sofferenza perché rifiutato da quella comunità cattolica alla quale sentiva di appartenere, della quale voleva far parte. Era solo andato ad annaffiare le sue amate piantine e ha pagato con la vita il prezzo dell’odio e del disprezzo, delle crociate moralizzatrici partorite dalla mente malata di Ratzinger, sostenute dal centro-destra nel silenzio colpevole e ossequioso del centro-sinistra, condivise dagli integralisti di questo ed ogni altro paese maschilista ed eterosessista.

I giornali e la TV quasi non hanno parlato dell’assassinio di Paolo e quando lo hanno fatto non sono riusciti a risparmiare all’intelligenza e, soprattutto, alla vittima, un supplemento di offesa, evidente o sottesa. Figuriamoci se poteva rimbalzare sulla stampa nazionale la notizia di una fiaccolata straordinariamente partecipata, sentita, con motivazioni tanto importanti che non riguardano più, ne mai hanno riguardato soltanto i gay, le lesbiche e i/le transessuali.

Si dice che il Comune di Roma intitolerà a Paolo Seganti un albero o un parco, non so. Chiunque sia sopravvissuto a gesti di violenza e discriminazione diretti o indiretti, chiunque ne abbia consapevolezza, non chiede per sé ed altri targhe o medaglie, parole di circostanza o compassione, ma “solo” l’applicazione della legge e il perseguimento senza sconti di chi compie tali atti (cosa che raramente avviene), il rispetto della Costituzione Italiana (se qualcosa vale ancora), la riaffermazione inequivocabile della laicità dello stato, un adeguamento legislativo che riconosca le persone LGBT* e finalmente le tuteli in modo specifico. Oppure lo si scriva a chiare lettere, nero su bianco, che questo paese non è uno stato di diritto laico e democratico, che qui le persone con orientamento sessuale e affettivo non eterosessuale non sono gradite, lo si sancisca, dichiari, cosicché possano scegliere se andarsene dove le libertà individuali sono inviolabili, o restare a rischio della vita.

Perché di questo si tratta, casomai qualcuno non l’avesse ancora capito: in Italia non si corre più “solo” il pericolo di essere insultati, vessati, licenziati, emarginati, picchiati, stuprati – qui, ad essere gay, lesbiche e transessuali, si rischia di morire.

 

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